Nella richiesta di proroga inviata al gip l’11 luglio 2019, i magistrati spiegano infatti che “la complessità della vicenda processuale ‘de qua’, unita al notorio carico di lavoro del quale è gravato questo ufficio, rende indispensabile ai fini dell’accertamento della verità nell’interesse della giustizia la prosecuzione delle indagini”. A questa richiesta si sono opposti gli avvocati di Palamara, Mariano e Benedetto Buratti. Secondo i legali, la richiesta dei pm di Perugia è tardiva rispetto ai termini di legge: essendo Palamara stato iscritto a dicembre 2018, i magistrati avrebbero dovuto consegnare la proroga entro giugno scorso e non a luglio, come avvenuto. Ma i magistrati tengono conto anche di una sospensione feriale. Adesso sarà il gip a decidere.
Si tratta infatti di un’ inchiesta molto delicata che nei mesi scorsi ha travolto il Csm, portandosi dietro anche una carrellata di dimissioni tra le toghe. Il caso è esploso proprio nel momento in cui si discuteva della nomina del futuro procuratore capo di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone.
Tutto parte dunque dalle accuse mosse a Palamara, indagato per due episodi di corruzione: perché da componente del Csm avrebbe ricevuto dagli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore 40 mila euro per agevolare la nomina (mai avvenuta) del pm Giancarlo Longo a procuratore di Gela; ma anche perchè avrebbe accettato dall’imprenditore Fabrizio Centofanti – in rapporti con Amara e Calafiore – utilità come soggiorni pagati all’ estero e un anello dal valore di 2 mila euro. In cambio in questo caso, secondo i pm, Palamara avrebbe messo anche a disposizione “la funzione di membro del Csm favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati” Amara e Calafiore.
Ma il trojan installato sul cellulare di Palamara ha svelato molto altro: lo scenario della politica al tavolo con la magistratura per discutere delle nomine. In particolare quella del futuro procuratore capo di Roma. In quel momento infatti erano tre i candidati in pole position: il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, ritenuto vicino a Pignatone, il capo di Firenze Giuseppe Creazzo e il pg del capoluogo toscano Marcello Viola. Era quest’ultimo l’ uomo sul quale volevano puntare l’ex ministro Luca Lotti e il parlamentare dem Cosimo Ferri (non indagati). Agli atti ci sono le conversazioni in cui i politici discutono con Palamara del futuro della Procura di Roma, la stessa che ha chiesto il processo per favoreggiamento per Lotti in uno dei filoni dell’indagine Consip (si attende la decisione del Gip).
In una conversazione quindi si sente l’ ex sottosegretario che dà indicazioni: “Si vira su Viola”. È questo il quadro venuto a galla dopo un anno di indagine perugina: per i pm non è affatto conclusa.