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Sarkozy condannato, un anno col braccialetto elettronico

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Mai un presidente francese era stato condannato al carcere. Nicolas Sarkozy lo eviterà soltanto grazie al braccialetto elettronico, che dovrà portare per un anno: questo ha deciso la Corte d’appello alla quale l’ex capo dello Stato aveva fatto ricorso dopo la condanna in primo grado a tre anni con la condizionale per il caso delle intercettazioni. Cupo in volto, con la mascella serrata, Sarkò ha ascoltato la lettura della sentenza dalla quale sperava almeno uno sconto e che, al contrario, ha aggravato la situazione: solo due anni con la condizionale, il terzo è da scontare. Corruzione e traffico di influenze sono i reati dei quali è stato riconosciuto colpevole Sarkozy, 68 anni, che si è sempre proclamato innocente, dichiarando di “non aver mai corrotto nessuno”. Jacqueline Laffont, la sua legale, ha puntato il dito contro una decisione “incredibile, iniqua ed ingiusta”, annunciando immediato ricorso in Cassazione. Un ricorso che sarà sospensivo di tutte le misure restrittive annunciate oggi.

L’ex uomo forte della destra neogollista, che guidò il Paese dal 2007 al 2012, è il secondo ex capo dello Stato ad essere condannato dopo Jacques Chirac, il suo predecessore, al quale toccarono due anni per i falsi impieghi al Comune di Parigi quando era sindaco della capitale. In quel caso però, contro l’anziano Chirac fu pronunciata la condanna a due anni ma entrambi con la condizionale. Con Sarkozy, sono stati condannati a pene identiche il suo avvocato storico, Thierry Herzog, 67 anni, e l’ex alto magistrato Gilbert Azibert, 76. Il tribunale li ha ritenuti colpevoli di una sorta di “patto di corruzione” concluso con Sarkò nel 2014. Per tutti e tre, interdizione dalle pubbliche cariche per tre anni. Stando ai magistrati, Sarkozy è colpevole di essersi impegnato, nel 2014 attraverso l’avvocato Herzog, a sostenere la candidatura di Azibert ad una prestigiosa carica nel Principato di Monaco (che il magistrato non ha mai ottenuto, ndr) in cambio di interventi e comunicazioni riservate riguardanti un caso allora all’esame della Cassazione.

“Sono un ex presidente della Repubblica – aveva detto Sarkozy in tribunale nel processo di prima istanza – non ho mai corrotto nessuno e dovremmo poi aggiungere che si tratterebbe di una corruzione ben strana, senza denaro, neppure un centesimo per nessuno, senza vantaggi, nessuno ne ha avuti, e senza vittime, poiché non ci sono persone lese”. Per la Corte d’Appello, al contrario, il “patto di corruzione” è stato concluso al momento in cui il giudice Azibert “ha accettato di agire” comunicando “informazioni privilegiate” riguardo un ricorso di Sarkozy in cambio “di una contropartita”, cioè “la spinta” per ottenere un posto a Monaco. Su questo si era “impegnato” l’ex presidente, che in un’intercettazione diceva all’avvocato Herzog che quel posto “io glielo farò ottenere”, “lo aiuterò” (parlando di Azibert). Per Sarkozy, però, i problemi con la giustizia sembrano non finire mai. Oltre al filone delle intercettazioni infatti, l’ex presidente è già stato condannato nel settembre 2021, in primo grado, a un anno di carcere senza condizionale per il finanziamento illecito della campagna elettorale del 2012. L’appello – nel caso noto come Bygmalion – è fissato per il prossimo autunno. Infine, giovedì scorso Sarkozy è stato rinviato a giudizio nella vicenda del sospetto finanziamento libico della sua campagna per le presidenziali del 2007.

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Omicidio a Madrid: ucciso Andriy Portnov, ex consigliere di Yanukovich. Un delitto da guerra segreta

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Sembra la scena d’apertura di un film di spionaggio, ma è tutto reale. Andriy Portnov, avvocato ed ex politico ucraino, figura centrale nella stagione presidenziale di Viktor Yanukovich, è stato ucciso a colpi di pistola ieri mattina a Pozuelo de Alarcon, ricco sobborgo alle porte di Madrid. Un’esecuzione in piena regola, avvenuta davanti alla scuola americana, dove Portnov aveva appena accompagnato i figli.

Secondo le prime ricostruzioni, un killer lo attendeva nascosto, spalleggiato da un complice. Almeno cinque colpi d’arma da fuoco, tre dei quali lo hanno raggiunto, incluso uno mortale alla testa. I due sicari sono poi fuggiti. Sul posto sono giunti rapidamente polizia e servizi di emergenza, ma per Portnov non c’è stato nulla da fare.

Un personaggio scomodo, tra Kiev e Mosca

Nato a Lugansk, in passato vicino anche a Yulia Tymoshenko, Portnov era stato una figura controversa nella politica ucraina. Dopo il 2010 fu uno dei più influenti collaboratori di Yanukovich, diventando sostenitore delle “leggi dittatoriali” che tentarono di reprimere il movimento di Euromaidan nel 2014. Era considerato vicino alle forze speciali Berkut, responsabili della repressione violenta delle proteste.

Dopo la fuga di Yanukovich, Portnov lasciò l’Ucraina, rientrando solo nel 2019 per poi fuggire di nuovo nel 2022, dopo l’invasione russa. È stato iscritto nelle liste nere dell’Unione Europea e degli Stati Uniti per uso improprio di fondi pubblici e presunte manovre sul sistema giudiziario ucraino. Per i filorussi era un “paladino”, per molti ucraini un collaborazionista fuggitivo.

Secondo Radio Svoboda, la sua famiglia possedeva immobili in Russia insieme a persone vicine al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Intrecci che gettano ulteriori ombre sul movente dell’omicidio.

Una lunga scia di sangue in Spagna

L’omicidio di Portnov non è un caso isolato. La Spagna, dove la presenza di cittadini russi e ucraini è significativa, è diventata negli ultimi anni terreno d’azione di operazioni sospette.

Nel 2022, sei lettere bomba furono inviate a obiettivi istituzionali e ambasciate, inclusa quella ucraina. Poco dopo, un funzionario spagnolo simpatizzante della Russia venne arrestato. Nello stesso anno, un uomo d’affari legato alla Novatek fu trovato morto con la moglie e la figlia, in circostanze mai del tutto chiarite.

Ancora più clamorosa la vicenda del pilota russo disertore, fuggito con il suo elicottero in Ucraina e poi ucciso a colpi di pistola in un parcheggio ad Alicante. Un’azione che ha portato molti a parlare di vendetta dei servizi segreti russi.

Un delitto da guerra invisibile

L’assassinio di Portnov porta tutte le caratteristiche di un omicidio mirato, inserito nel quadro della “guerra segreta” tra Mosca e Kiev. Un conflitto parallelo che non conosce confini e che viene combattuto anche a migliaia di chilometri dal fronte, a colpi di dossier, esecuzioni e vendette trasversali.

La polizia spagnola e i servizi di intelligence sono ora al lavoro per capire chi ha armato la mano del killer e quali siano gli interessi nascosti dietro questo omicidio che, ancora una volta, trasforma l’Europa occidentale in teatro silenzioso di una guerra senza volto.

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Russia e Ucraina: storia (immutabile) di una trattativa impossibile

Dalla “operazione militare speciale” alla proposta di pace del 2024, le richieste russe restano sempre le stesse: denazificazione, demilitarizzazione e… tutto il resto.

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Russia e Ucraina: storia (immutabile) di una trattativa impossibile

Dalla “operazione militare speciale” alla proposta di pace del 2024, le richieste russe restano sempre le stesse: denazificazione, demilitarizzazione e… tutto il resto

Non è cambiato quasi nulla, se non i dettagli sul calendario. Le richieste della Russia all’Ucraina, sin dalle prime ore dell’invasione del 24 febbraio 2022, sono sempre rimaste le stesse: una Ucraina neutrale, disarmata, denazificata e, se possibile, amputata. Un copione rigido, monolitico, dove ogni nuova dichiarazione del Cremlino non è che una variazione sul tema, con qualche concessione retorica per tenere viva l’illusione della trattativa.

Come già ammoniva Andrej Gromyko, storico ministro degli Esteri sovietico, l’arte della diplomazia consiste nel “convincere l’interlocutore che è inutile opporsi, tanto prima o poi dovrà cedere”. Ed è esattamente questa la postura assunta da Vladimir Putin, che fin dal suo primo discorso alla nazione parlò di “difendere il popolo sottoposto a genocidio”, giurando che l’occupazione non era nei piani. Come tutti hanno poi scoperto, i piani erano ben altri.

Lo scopo: cambiare regime, non solo confini

L’obiettivo iniziale era semplice: far fuggire Zelensky e insediare un governo amico a Kiev, stile Bielorussia. L’operazione non riuscì, e da quel momento la Russia si trincerò dietro un mix narrativo di antinazismo, autodifesa preventiva e tutela delle minoranze russofone.

Ma già nell’aprile 2022, con il tavolo negoziale di Istanbul ancora formalmente aperto, il ministero della Difesa russoparlava di “controllo totale sul Donbass e sul sud dell’Ucraina per creare un corridoio verso la Crimea”. A dicembre, Putin parlava apertamente di “unificare il popolo russo”. Più che una trattativa, una lista della spesa territoriale.

14 giugno 2024: una proposta per (non) trattare

Nel 2024, a più di due anni dall’invasione, e con la guerra ancora in corso, Putin rilancia. Durante un discorso programmatico al ministero degli Esteri, il presidente russo presenta una nuova proposta di pace, che in realtà è sempre la stessa:
– Statuto neutrale dell’Ucraina
– Demilitarizzazione
– Denazificazione
– Riconoscimento delle “nuove realtà territoriali” (Crimea, Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia)
– Garanzie per i russofoni
– E, già che ci siamo, abolizione completa delle sanzioni occidentali

Altro che cessate il fuoco: una resa totale camuffata da dialogo. Per Kiev (e l’Occidente) inaccettabile. Ma per Mosca, evidentemente, un punto di partenza irrinunciabile.

L’inedito che conferma tutto

L’unica novità emersa negli ultimi mesi è un documento inedito, ottenuto da RadioFreeEurope, relativo al terzo round di colloqui del marzo 2022 in Bielorussia. Un testo di 6 pagine con allegati: disarmo quasi totale dell’Ucraina, esercito ridotto a 50 mila effettivi, niente più aiuti occidentali, nessuna rivendicazione su Crimea e Donbass.

Mancano solo Kherson e Zaporizhzhia. Ma solo perché non erano ancora state occupate.

In sintesi: la trattativa c’è, ma è sempre finta

A distanza di due anni e mezzo dall’inizio della guerra, la linea russa non si è mai spostata. Al massimo, si è irrigidita.
La “proposta di pace” è semplicemente il prolungamento della guerra con altri mezzi: un ultimatum ben confezionato. E, come sempre, il prezzo da pagare lo deve mettere l’Ucraina.

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Sparatoria davanti al museo ebraico di Washington: uccisi due dipendenti dell’ambasciata israeliana

Arrestato un 30enne di Chicago. Le autorità parlano di atto terroristico antisemita.

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Un attacco armato ha sconvolto la capitale degli Stati Uniti. Due dipendenti dell’ambasciata israeliana sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco all’esterno del Jewish Museum di Washington, nel cuore della città. A confermare la notizia è stata la segretaria per la Sicurezza interna, Kristi Noem, che ha parlato apertamente di “omicidio senza motivo”.

L’attentatore ha gridato “Free Palestine” durante l’arresto

Secondo i primi elementi raccolti, il killer, Elias Rodriguez, 30 anni, originario di Chicago, avrebbe aperto il fuoco contro un uomo e una donna nei pressi del museo ebraico, per poi essere arrestato mentre gridava “Free Palestine”, un dettaglio che rafforza la pista dell’odio ideologico e antisemita.

La responsabile della polizia metropolitana di Washington, Pamela Smith, ha confermato che Rodriguez è stato bloccato poco dopo l’agguato, e che le indagini sono in corso per verificare eventuali legami con gruppi estremisti.

Reazioni durissime: “Un attacco terroristico antisemita”

La reazione di Israele è stata immediata e durissima. Danny Danon, ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, ha definito la sparatoria «un depravato atto di terrorismo antisemita» e ha dichiarato che «fare del male alla comunità ebraica significa oltrepassare una linea rossa». Danon ha aggiunto che Israele continuerà a proteggere con determinazione i propri rappresentanti nel mondo.

Sulla stessa linea il presidente statunitense Donald Trump, che ha definito l’attacco «un orribile omicidio basato sull’antisemitismo», aggiungendo: «Odio e radicalismo non hanno posto negli Stati Uniti. È così triste che cose del genere possano ancora succedere».

Il segretario di Stato Marco Rubio ha parlato di «atto vile, sfacciato e antisemita» e ha assicurato: «Rintracceremo i responsabili e li assicureremo alla giustizia».

Le indagini proseguono

Le autorità federali e locali, insieme ai servizi di intelligence, stanno analizzando ogni aspetto del profilo del sospettato, compresi i suoi legami, eventuali viaggi e attività sui social network. L’obiettivo è capire se l’attentato sia stato organizzato o frutto di un gesto isolato ma carico d’odio.

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