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Sanremo 2019, il Festival decolla: Baglioni mattatore, solito Pippo Baudo, Virginia Raffaele finalmente c’è, Bisio fa bingo con la Hunziker

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Le pagelle della seconda serata del 69/o festival di Sanremo. Una seconda serata con meno tensione da debutto, dunque con alcuni protagonisti mattatori più sciolti.

CLAUDIO BAGLIONI: Visibilmente piu’ sciolto della prima sera, come anche gli altri suoi compagni. Da Lerch imbronciato, si trasforma in Stanlio con le sue smorfie a beneficio degli sketch con Virginia Raffaele. Si riprende anche la scena musicale per mettersi al servizio dei suoi ospiti. Regala, per la gioia delle ugole di tutti, anche il tanto atteso momento karaoke con Questo Piccolo Grande Amore. Nel suo duetto con Mengoni  sparisce un poco. Ma Mengoni è Mengoni. VOTO: 7

VIRGINIA RAFFAELE: Gli spazi allargati le donano. Come il meraviglioso vestito rosso nel numero dell’Habanera. Quando riesce a dare sfogo al suo genio e’ inarrestabile. Se chiami Virginia, perche’ imbrigliarla nella liturgia schematica del festival? VOTO: 8

CLAUDIO BISIO: Meglio anche lui. Non vuole portare la politica al festival, dice. Poi con Michelle Hunziker canta La Lega dell’amore. Sberleffo a Matteo Salvini o omaggio a Elio e Le storie tese, autori della canzone? Nel dubbio, per noi la coppia Bisio-Hunziker funziona meglio di quella Bisio-Raffaele. VOTO: 6,5 di stima

FIORELLA MANNOIA: Eleganza, stile, classe. E voce. Nonostante il festival non l’abbia mai premiata con la vittoria, lei riesce sempre a essere una stella che illumina l’Ariston. E poi lei gioca sporco, giocandosi l’asso pigliatutto e cantando Quello che le donne non dicono con Baglioni al suo fianco. VOTO: 8

PIPPO BAUDO: E’ il monumento vivente del festival. Come l’anno scorso il pubblico dell’Ariston gli tributa una standing ovation (ne tributa diverse a dire il vero… le poltrone saranno scomode?). Giustifica la sua presenza: “come si fa a rinunciare a questo affetto? a questo abbraccio?”. Workaholic anche a 80 anni suonati. VOTO ALLA CARRIERA: 8

MICHELLE HUNZIKER: Si diverte, magari anche piu’ dell’anno scorso. Fare l’ospite e’ decisamente piu’ facile. E lei non perde l’occasione: e’ brava e con Bisio si trova a suo agio. VOTO: 7,5

MARCO MENGONI: Emoziona e si emoziona. L’Ariston fa paura anche se lo hai vinto, ti fa tremare le gambe anche se hai una carriera internazionale, ti fa venire i lucciconi agli occhi anche se sei Mengoni. O forse proprio se sei Mengoni e non devi dimostrare niente. E te ne freghi se gli altri se ne accorgono che ti batte il cuore forte mentre canti Emozioni di Lucio Battisti. VOTO: 8.5

PIO E AMEDEO: Irriverenti menestrelli dell’ironia. E non ce n’e’ per nessuno. Nel mirino finiscono Salvini e la Lega, il Pd, il reddito di cittadinanza del M5S. Anche gli animalisti. Riescono a rianimare la platea che sonnecchia dopo la mezzanotte. VOTO: 7.5

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Esteri

Trump apre alla Cina, pronto a ridurre i dazi

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Donald Trump apre alla Cina di Xi Jinping. Assicurando che sarà “molto gentile” durante i colloqui commerciali, il presidente americano aleggia la possibilità di una riduzione sostanziale dei dazi. Una prova di disgelo che fa volare le borse ed è accolta positivamente da Pechino: la porta delle trattative “è spalancata”. Al momento non c’è però alcun colloquio in corso fra le due superpotenze economiche. Washington “non ha ancora” parlato con la Cina di dazi, ha detto il segretario al Tesoro Scott Bessent, a cui Trump ha affidato il dossier commerciale. Parlando di livelli tariffari “insostenibili” fra i due Paesi, Bessent ha messo in evidenza la necessità di una “de-esclation” per poter iniziare un confronto chiaro e costruttivo. In quest’ottica si inseriscono le ipotesi allo studio della Casa Bianca per un taglio sostanziale delle tariffe alla Cina, attualmente al 145%, per allentare la tensione.

I dazi – secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal – potrebbero calare in una forchetta fra il 50 e il 65%, venendo quindi più che dimezzati. Un’altra opzione al vaglio è quella di un un approccio a più livelli, con dazi al 35% sui beni Made in China non ritenuti una minaccia alla sicurezza e al 100% per i prodotti invece considerati strategici per gli interessi americani. Nessuna decisione definitiva è stata comunque ancora presa dal presidente. E Bessent ha assicurato che non c’è o ci sarà una riduzione unilaterale: “Come ho detto molte volte, non credo che nessuna delle due parti”, ovvero Washington e Pechino, “creda che gli attuali livelli tariffari siano sostenibili, quindi non sarei sorpreso se diminuissero in modo reciproco”. I toni ammorbiditi di Trump nei confronti della Cina rassicurano i mercati finanziari. Le borse del Vecchio Continente chiudono tutte in positivo, con Francoforte che sale del 3,14% e Milano dell’1,42% . Avanza decisa anche Wall Street, rassicurata anche dal chiarimento di Trump sul presidente della Fed.

“Non ho alcuna intenzione” di rimuoverlo, ha detto il tycoon. Le piazze finanziarie vedono in quella che ritengono “un’inversione a U” del presidente sulla Cina e su Jerome Powell una riduzione dell’incertezza e una possibile soluzione a una guerra commerciale dall’impatto globale. Pur escludendo una recessione, il Fondo Monetario Internazionale ha infatti rivisto al ribasso le stime di crescita mondiali per le tariffe e messo in guardia sui rischi al ribasso che gravano sull’economia. I dazi sono uno dei temi sul tavolo del G20 dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali riuniti a Washington a margine dei lavori del Fondo. La partita fra gli Stati Uniti e la Cina si gioca mentre la Casa Bianca continua il dialogo con l’Unione Europea. Dei primi contatti fra Trump e la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen potrebbero esserci sabato, quando i due leader saranno a Roma per i funerali di papa Francesco. Un’occasione quantomeno per una stretta di mano, se non per brevi colloqui distensivi o per fissare la data di un incontro ufficiale magari fra maggio e giugno, arco temporale che consentirebbe di continuare a lavorare per centrare almeno una cornice di accordo commerciale.

L’Ue continua a sperare di poter raggiungere un’intesa ma si prepara al peggio e, in un assaggio del bazooka che potrebbe usare contro gli Stati Uniti di Trump, ha multato Apple per 500 milioni di euro e Meta per 200 milioni per violazioni del regolamento sui mercati digitali Dma. Una mossa che appare come un avvertimento al presidente americano, che da mesi critica il pungo duro europeo contro Big Tech e si è spinto fino a definire ‘dazi’ le multe inflitte. Trump ha fatto della difesa della Silicon Valley dagli attacchi europei una priorità visti anche i suoi rapporti sempre più stretti con i miliardari tech. Mark Zuckerberg di Meta e Tim Cook di Apple erano alla cerimonia del suo giuramento e hanno contribuito a finanziarlo. La loro speranza ora è che il presidente possa aiutarli nella loro battaglia.

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Cronache

Frode e riciclaggio, Gdf Piacenza sequestra beni per 20 milioni

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La Guardia di Finanza di Piacenza su delega e con il coordinamento della Procura Europea – Ufficio di Napoli e Bologna, ha sequestrato, in via preventiva, immobili, terreni, società, quote societarie, autovetture di lusso, conti correnti e liquidità per un valore di oltre 20 milioni a seguito di una indagine che ha fatto emergere la commercializzazione illecita di prodotti energetici, frode all’Iva e riciclaggio.

Nel dettaglio, le Fiamme Gialle hanno posto sotto sequestro uno stabilimento balneare, situato in una nota ed esclusiva località turistica ligure; 6 immobili di pregio situati nella provincia di Piacenza; 66 tra fabbricati, capannoni e pertinenze oltre a 77 terreni, ubicati nel Piacentino, in provincia di Milano, Brindisi, Novara, Cuneo, Alessandria, oltre al comune di Chiavari, di 8 società, con sede a Piacenza e Milano, relative quote societarie; 9 autovetture, di cui 6 di lusso (una Ferrari 488, una Porsche 911 Carrera 4, due Porsche Macan, un’Audi Rsq8, un’Audi Q3); 3 motocicli, conti correnti e liquidità formalmente intestati a familiari e persone di fiducia ma risultati e nella piena e diretta disponibilità di un residente nel Piacentino, accusato di associazione per delinquere, frode all’Iva e riciclaggio, connessi alla commercializzazione illecita di prodotti energetici e petroliferi nel territorio nazionale.

L’indagine, si incardina in un contesto investigativo, coordinato dalla Procura Europea e condotto congiuntamente dai Nuclei di Polizia Economico – Finanziaria di Roma, Napoli e Verbania, che ha consentito, nel marzo del 2024, di smantellare un sodalizio criminale, composto da 59 soggetti e 13 imprese, con ramificazioni in Italia e all’estero, dedito alla commercializzazione illecita nel territorio nazionale di prodotti energetici di provenienza straniera, in completa evasione di accisa e Iva, attraverso l’esecuzione di 8 misure cautelari personali nei confronti dei vertici dell’associazione. L’indagine dei finanziari piacentini ha consentito di segnalare all’autorità giudiziaria 7 soggetti ritenuti responsabili di episodi di intestazione fraudolenta di valori oltre che per riciclaggio e di ricostruire il patrimonio mobiliare e immobiliare, distribuito prevalentemente nella provincia piacentina oltre che in Lombardia, Liguria, Piemonte e Puglia, detenuto, direttamente o indirettamente, dal principale soggetto indagato, anche attraverso la schermatura e l’interposizione fittizia dei familiari e di persone di fiducia.

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Esteri

Musk lascia il Doge, ‘missione conclusa’. Tesla brinda

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Era nell’aria da qualche settimana ma adesso c’è l’annuncio ufficiale. Da maggio Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo entrato a gamba tesa nell’amministrazione di Donald Trump, lascerà la guida del dipartimento creato su misura per lui e si concentrerà sulla Tesla, la sua prima creatura che ha avuto un crollo in borsa negli ultimi mesi. “Probabilmente il mese prossimo, il tempo che dedicherò al Doge diminuirà significativamente”, ha dichiarato il ‘first buddy’ in una conference call con gli azionisti. Da quando il suo fondatore è sceso in campo con il suo programma di mega tagli al governo ha scatenato proteste e ritorsioni in tutti gli Stati Uniti e la casa automobilistica ha registrato un calo del 20% nelle vendite di nel primo trimestre, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre gli utili sono scesi di oltre il 70%.

Alla notizia del passo indietro di Musk, Tesla è immediatamente salita del 3,94% nelle contrattazioni after hours a Wall Street e ha continuato ad avere un andamento positivo per tutta la giornata successiva. I dipendenti pubblici a tempo determinato, come Musk, possono di solito lavorare 130 giorni all’anno, periodo che per lui scadrà alla fine del mese prossimo. Tuttavia non è ancora chiaro quando si dimetterà definitivamente. Il miliardario, che ha sborsato oltre 270 milioni per la campagna di Trump ha spiegato che il lavoro del dipartimento per l’efficienza energetica è “quasi completo” ed ha assciurato che continuerà a lavorare con il team del Doge “per assicurarmi che sprechi e frodi non si verifichino più”. “Un giorno o due a settimana.

Finché il presidente lo vorrà”, ha precisato. Musk aveva promesso durante la campagna elettorale di tagliare “almeno” 2.000 miliardi di dollari dal bilancio federale annuale, ma secondo un indicatore di Brookings Institution la spesa pubblica complessiva nell’anno solare 2025 è leggermente superiore ai livelli del 2024, anche se l’effetto Doge è chiaramente visibile su agenzie più piccole come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale. C’è anche da chiedersi, a questo punto, cosa accadrà al dipartimento che il patron di SpaceX ha modellato a sua immagine e somiglianza assumendo nerd giovanissimi e super intelligenti per cancellare migliaia di posti di lavoro e costi ritenuti superflui secondo i loro complicatissimi calcoli.

Non c’è solo crollo di Tesla dietro le ragioni del passo indietro di Musk. Secondo il Washington Post il miliardario è stanco di dover affrontare quella che considera una serie di attacchi sgradevoli e immorali da parte dei democratici e i dissapori con alcuni membri dell’amministrazione stanno diventando insostenibili. Lo scontro si è inasprito nelle ultime settimane soprattutto con il consigliere economico del presidente, Peter Navarro, l’architetto della politica dei dazi che alla lunga potrebbero danneggiare anche Tesla. Solo qualche settimana fa Musk lo ha definito “un idiota”, dopo che l’altro lo aveva liquidato come “un assemblatore di auto”, con pezzi che arrivano dal Giappone e dalla Cina, e non un produttore. E anche con lo stesso Donald negli ultimi tempi, Elon si è scontrato. Come quando ha cercato di convincerlo ad adottare una linea più morbida sulle tariffe comprese quelli contro la Cina.

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