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Politica

Salvini non si arrende a lasciare la poltrona e sparge veleni e zizzania in campo M5S

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“No, non è chiusa”. Matteo Salvini non si lascia scoraggiare neanche dalle parole tombali di Giuseppe Conte sull’alleanza M5s-Lega. Finchè a dire che è finita non è Luigi Di Maio – e il capo M5s ancora non l’ha detto – la speranza di un ritorno di fiamma con i Cinque stelle è un tentativo che la Lega persegue a tutti i livelli. Salvini e Di Maio tornano a sentirsi via whatsapp in giornata. L’offerta sul tavolo, anche se finora non dichiarata, è la premiership al capo pentastellato. Remano contro tanti fattori e lo stop di Conte tra le fila della Lega non viene reputato il più preoccupante: pesa di più la spinta verso il Pd di Grillo e dei gruppi M5s. “Le parole di Conte ‘semplicemente’ sembrano avvalorare il sospetto che dietro il preaccordo con Renzi ci sia il premier. Basta mettere insieme un po’ di pezzi. L’asse fiorentino sembra avere fatto il suo corso, sulla pelle dei Cinque stelle”. È questo il ragionamento con cui vengono liquidate, ai piani alti della Lega, le parole di Conte da Biarritz, con allusione ai trascorsi del presidente del Consiglio come professore a Firenze (conosceva già Maria Elena Boschi, si ricorda).

La tesi ricorrente, nei ragionamenti leghisti, è che Conte stia facendo una partita personale, da candidato premier in pectore del M5s in caso di elezioni. La scommessa è che Di Maio, come altri ministri e dirigenti M5s, scelga di giocare un’altra partita. Ma, con ogni rispetto per i toni propagandistici di Matteo Salvini, la sua narrazione sembra davvero povera di contenuti e ricca di veleni per creare zizzania in campo pentastelalto. Tentativi peraltro reiterati in questi giorni. Salvini è rimasto a Roma per giocarsela fino in fondo: “Mai arrendersi, mai!”, scrive in serata sui social, allegando la foto di un tramonto. La risposta a Renzi che lo definiva “quasi ko”. Tutto si consumerà, e’ la convinzione condivisa con Di Maio, in 48 ore. I due vicepremier, nonostante le scorie della rottura traumatica, hanno ripreso a scriversi. Ma i contatti si sarebbero intensificati nelle ultime ore “a tutti i livelli”: tra ministri gialli e verdi, sottosegretari, dirigenti dei gruppi parlamentari. Dal Pd, ma anche dalle fila del M5s, c’è chi sostiene che “l’80% dei parlamentari vuole il governo con i Dem”. Ma i salviniani non si danno per vinti: anche Davide Casaleggio, dice qualcuno, propende per un governo con la Lega. Il leghista Lorenzo Fontana, entrando a casa di Salvini in serata con una vaschetta di gelato, assicura che anche Alessandro Di Battista nell’estremo tentativo di M5s e Lega e’ un alleato. Fontana si spinge anche a non escludere un bis con Conte premier. Ma e’ a Di Maio che l’offerta di Palazzo Chigi, per ora non in pubblico ma solo per le vie riservate, è stata presentata. “Siamo pronti a sederci a un tavolo con M5s per aggiornare il programma su tutto e superare le difficolta’ della crisi”, dicono fonti leghiste. Anche se tra i dirigenti di via Bellerio c’e’ chi teme che cosi’ si lasci campo libero al M5s: “Speriamo nel miracolo delle elezioni ma forse a questo punto c’è solo l’opposizione”, dice sottovoce qualcuno.

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Politica

Regionalismi in tensione: Giani sfida Schlein, De Luca ferma su Fico

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Oggi pomeriggio Eugenio Giani varcherà il portone del Nazareno per un faccia a faccia con Elly Schlein, deciso a difendere la sua ricandidatura alla guida della Toscana. Ma il vero scontro interno al PD è anche in Campania, dove Vincenzo De Luca continua a frenare sull’ipotesi Fico.

La sfida toscana

Mentre Schlein cerca di mantenere il controllo delle scelte territoriali, Giani ha deciso di passare al contrattacco, forte di quanto previsto dallo statuto del partito: un presidente al primo mandato può essere escluso solo attraverso primarie — cui può partecipare — o con il voto contrario del 60% della Direzione regionale. Così il 9 luglio ha formalizzato la sua candidatura, prima a voce, poi via PEC, infine pubblicamente.

Il sospetto al Nazareno è che Schlein voglia approfittare del veto del M5S su Giani per spingere nomi più vicini alla sua linea: Emiliano Fossi, segretario regionale, o Marco Furfaro. Ma Giani non ha intenzione di fare un passo indietro e ha già pronte 120 firme per chiedere la convocazione della Direzione regionale, spingendo sul fattore tempo: le elezioni sono fissate per il 12 ottobre e il calendario incombe.

Il gelo campano

In Campania la situazione è altrettanto tesa. Dopo la cena con Giuseppe Conte, De Luca ha chiarito che non c’è alcun via libera su Roberto Fico e ha preteso che si parta da un confronto programmatico con l’intera coalizione, prima di affrontare i nomi. Il governatore non intende lasciare a Schlein la regia della partita né vuole che Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli e sostenitore di Fico, si affermi come federatore del centrosinistra in vista delle Politiche.

La sfida di De Luca è dunque doppia: contro il vertice del partito nazionale e contro la manovra napoletana, che punta a creare un nuovo baricentro politico nel Sud.

Anche in Puglia fibrillazioni interne

Altro fronte di tensione per Schlein è la Puglia, dove la segretaria vorrebbe contenere l’influenza di Michele Emiliano e Antonio Decaro. L’obiettivo è chiaro: ridurre il potere dei “governatori forti” e rafforzare una nuova classe dirigente legata alla linea nazionale del partito.

Centrodestra in cerca di equilibrio

Ma anche nel centrodestra non regna la serenità. Mercoledì Giorgia Meloni ha convocato a Palazzo Chigi Tajani, Salvini e Lupi per iniziare a discutere le candidature per le prossime Regionali, a partire dal Veneto. Una riunione che rivela la difficoltà di trovare un accordo anche tra alleati di governo, a dimostrazione di quanto il 2025 sarà un anno politicamente decisivo per gli equilibri nazionali.

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Onorevoli morosi, un buco nelle casse dei partiti

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Onorevoli morosi, che non pagano le quote dovute ai propri partiti: il problema è ricorrente nei bilanci del 2024 di diverse forze politiche, da Forza Italia al Pd, passando per il M5s. Mentre è in controtendenza Sinistra italiana, che vede aumentare i contributi dei propri parlamentari (da 204 mila a 281 mila euro), tutti tra i 42 mila e i 55 mila euro. Il M5s, che ha un avanzo di oltre 2 milioni di euro, iscrive a bilancio 2,8 milioni di euro di crediti verso parlamentari e consiglieri regionali, e 1,4 milioni per indennità di fine mandato. Come “leva per la riscossione dei contributi”, il tesoriere Claudio Cominardi, nella relazione, richiama la regolarità contributiva come “requisito fondamentale per concorrere ed eventualmente mantenere il ruolo nelle cariche associative”.

Rispetto al 2023, per il Pd cala di 55 mila euro la voce crediti verso senatori e deputati, a 441 mila euro. Come spiega la relazione al rendiconto (in avanzo di 650mila euro, con l’incasso record di 10,2 milioni dal 2xmille), “è continuata l’azione di recupero” verso eletti nelle varie legislature, con 9 azioni giudiziarie aperte e 4 accordi transattivi. Anche nel bilancio di Europa verde si prevede un ricorso per decreto ingiuntivo per mancato pagamento spontaneo dei contributi associativi contro Eleonora Evi, deputata passata l’anno scorso fra i dem.

Mentre aumentano di 2 milioni i contributi da terzi e di oltre 300 mila euro le quote associative, la “discontinuità dei versamenti” dovuti “da parte di alcuni eletti” è un aspetto critico del rendiconto di FI (disavanzo di 307 mila euro e un passivo di 90 milioni che continua a essere garantito dagli eredi di Silvio Berlusconi): “Occorrerà adottare decisioni più rigorose per ottenere i pagamenti”, si legge nella relazione, “anche facendo leva” sulle norme interne che per i morosi prevedono ineleggibilità e decadenza dagli incarichi nel partito. I versamenti degli eletti sono in calo anche per +Europa, da 28.530 a 22.950. In FdI i contributi dei parlamentari nazionali ed europei sono volontari, e il bilancio (in disavanzo di 681 mila euro, a fronte di un avanzo di 4,9 milioni di euro nel 2023) registra un calo delle erogazioni liberali (da 3,9 a 2,7 milioni) e delle quote associative annuali (da 2,8 a 2,3 milioni). Nel bilancio 2024 in disavanzo di per 1,4 milioni, anche per la Lega calano le contribuzioni da persone fisiche e giuridiche (da 4,5 a 3,8 milioni), mentre aumentano le quote associative (da 58.624 a 63.227 euro).

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Maxi ricorso sui vitalizi, giovedì la sentenza

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E’ prevista per giovedì prossimo la sentenza del Collegio d’appello di Montecitorio sul taglio dei vitalizi, oggetto di un maxi ricorso da parte di circa 900 ex deputati che chiedono di rivedere la delibera del 2018 sugli assegni. Il “tribunale” di secondo grado interno alla Camera, presieduto da Ylenia Lucaselli (Fdi), è composto da altri quattro deputati (Ingrid Bisa della Lega, Pietro Pittalis di Fi, Marco Lacarra del Pd e Vittoria Baldino di M5s) tutti avvocati, ed ha un ruolo giurisdizionale e non politico. La decisione giunge dopo una lunga istruttoria – partita un anno fa – che ha registrato un’accelerazione nelle ultime due settimane. Ad argomentare le proprie ragioni gli avvocati dei ricorrenti, principalmente ex deputati anagraficamente più giovani di quelli che nel 2022 hanno beneficiato di una sentenza che di fatto ha azzerato per loro la delibera Fico.

Quest’ultima stabiliva che il vitalizio – su suggerimento dell’allora presidente dell’Inps Tito Boeri – fosse calcolato con criteri contributivi: in pratica l’assegno veniva ricalcolato sulla base di coefficienti in cui rientravano non solo il monte dei contributi versati, ma anche gli anni in cui si era beneficiato di un assegno. Un taglio che, dall’oggi al domani, è arrivato anche al 90%. “Il ricorso riguarda una minoranza che subisce ancora un trattamento fortemente discriminato rispetto alla maggioranza dei deputati e a tutti i senatori per i quali dagli organi del Senato è stato applicato il principio costituzionale della legittima aspettativa”, ha lamentato l’Associazione degli ex parlamentari che respinge con forza le accuse di “casta” e di “assalti alla diligenza” prospettando anzi, grazie alle sue proposte relative agli adeguamenti derivanti dall’aumento, risparmi “notevoli” per le casse della Camera.

Tra coloro che lamentano i tagli, molti sono i nomi noti e vanno da Paolo Guzzanti a Ilona Staller, dagli ex sindaci di Napoli Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino all’ex primo cittadino di Imperia, ora alla guida della Provincia del ponente ligure, Claudio Scajola, fino a Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Margherita Boniver. La lista, lunga, vede tra i ricorrenti anche Italo Bocchino, Mario Landolfi, Gianni Alemanno, ma anche Mario Capanna, l’ex magistrata Tiziana Maiolo, l’ex olimpionica Manuela Di Centa, l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, Giovanna Melandri e Angelino Alfano.

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