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Cronache

Salerno, sequestro beni per oltre 200 milioni di euro ad imprenditore settore trasporti e logistica di Nocera Inferiore

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Nel quadro della strategia di contrasto all’accumulazione dei patrimoni illeciti intrapresa
dalla Procura della Repubblica di Salerno, nella mattinata odierna, ufficiali di Polizia Giudiziaria
del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato e della
Squadra mobile di Salerno, hanno dato esecuzione, nelle province di Salerno, Reggio Emilia, Bari,
Napoli e Mantova, alla misura di prevenzione patrimoniale, disposta dal Tribunale di Salerno
Sezione misure di prevenzione, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno, con
la quale è stato disposto il sequestro di beni mobili, immobili ed assetti societari, per un valore
complessivo di circa 200 milioni di euro, riconducibili ad un imprenditore di Nocera Inferiore attivo
da circa 25 anni nel settore dei trasporti e della logistica.
Il predetto provvedimento di prevenzione ablatorio, emesso all’esito di una complessa ed
articolata attività d’indagine, ha riguardato il complesso dei beni del citato imprenditore ritenuti
provento di una pluralità di reati fiscali, consumati, per circa 25 anni, grazie al concorso di familiari
e terzi compiacenti e mediante il ricorso a innumerevoli condotte illecite quali la fraudolenta
sottrazione al pagamento delle imposte, l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti,
‘appropriazione indebita, la bancarotta fraudolenta e l’intestazione fittizia di beni a terzi
prestanome.
Secondo quanto ritenuto, allo stato, dalla Sezione Misure di Prevenzione, le indagini,
avviate nel 2016 a carico di esponenti del clan di camorra denominato “Serino”, hanno evidenziato
la spiccata pericolosità sociale del proposto, individuato quale perno di un complesso sistema
economico finanziario di natura criminale basato su un meccanismo seriale, fraudolento ed
articolato finalizzato alla pedissequa distrazione ed evasione fiscale di enormi somme di denaro.
Tali condotte, nel corso degli anni, avrebbero consentito all’imprenditore di arricchirsi oltremodo
attraverso un enorme risparmio di spesa ottenuto mediante l’omesso pagamento di debiti erariali.
Nella ricostruzione del Tribunale, da confermarsi nelle ulteriori fasi del procedimento,
attraverso il costante mancato pagamento dei tributi, per milioni di euro, l’imprenditore avrebbe
dapprima finanziato le società in bonis del gruppo, in grado di offrire le loro prestazioni (logistica e
trasporto dei rifiuti) a prezzi estremamente concorrenziali e, nel contempo, avrebbe costituito una
fitta rete aziendale operante attraverso meccanismi di frode al fisco e società da avviare al dissesto –
c.d. bad companies – sulle quali scaricare i debiti derivanti dal mancato pagamento delle imposte
delle società attive del gruppo. Successivamente le società sarebbero state svuotate secondo schemi
tipici: mutamento della ragione sociale e spostamento della sede, con contestuale cessione delle
quote societarie a ridosso delle procedure di liquidazione.
Si è allo stato ritenuto che l’imprenditore, al fine di evitare accertamenti di natura fiscale,
temendo ablazioni giudiziarie a causa dei plurimi procedimenti penali avviati, nel tempo, sul suo
conto, abbia via via ceduto le quote societarie detenute e le cariche ricoperte a favore di numerosi
prestanome compiacenti.
Nella prospettazione degli organi investigativi si è dimostrato chi questi ultimi, nella
maggioranza dei casi prossimi congiunti, erano in realtà meri esecutori delle disposizioni impartite
dall’imprenditore, vero dominus del sistema criminale, e in realtà meri dipendenti delle aziende, con
redditi modestissimi incompatibili con le ingenti movimentazioni di denaro a loro formalmente
ricondotte.
Le investigazioni della Procura Distrettuale di Salerno e della Polizia di Stato hanno anche
prospettato l’esistenza di plurimi contatti e rapporti di contiguità dell’imprenditore, oggetto del
provvedimento ablatorio odierno, con esponenti di ambienti camorristici dell’area nocerino-sarnese.
Gli approfondimenti investigativi di natura patrimoniale effettuati hanno acclarato come il
nucleo familiare del soggetto proposto, a fronte di una situazione reddituale esigua, aveva la
disponibilità ed il dominio di fatto dei seguenti beni oggetto del sequestro odierno:
11 società presenti in più province italiane;
1500 autoarticolati facenti parte dei numerosi assetti societari dediti alla logistica e ai
trasporti di merce:
circa 100 beni immobili (fabbricati, terreni, 3 ville di lusso e 9 appartamenti);
un’imbarcazione da diporto;
un’autovettura marca Ferrari.

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Cronache

Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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