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Saied rieletto presidente in Tunisia con quasi il 90% dei voti

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Saied presidente Tunisia

Kais Saied, il 66enne docente di diritto costituzionale salito al potere come sedicente difensore della Tunisia da asseriti complotti interni ed esteri, ha conquistato un secondo mandato presidenziale. Un voto scontato – vista l’esclusione di quasi tutti gli avversari – che ha visto il presidente, accusato da più parti di “deriva autoritaria”, incassare l’89,2% dei consensi secondo la società Sigma Conseil. Un dato che probabilmente non si discosterà di molto dai risultati ufficiali. Una vittoria schiacciante che gli è stata però consegnata da una minoranza del popolo tunisino: solo il 27,7% si è recato alle urne, secondo l’autorità elettorale Isie. E’ il dato più basso dall’avvento della democrazia nel 2011.

Addirittura i giovani, che si erano fortemente mobilitati cinque anni fa, hanno disertato le urne, con un 6% di votanti nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni, rispetto al 65% nella fascia tra i 36 e i 60 anni, sempre secondo l’Isie. Solo due concorrenti — figure di secondo piano — erano stati autorizzati a candidarsi sui 17 aspiranti candidati iniziali, dopo l’eliminazione dei rivali più temibili. Ayachi Zammel, un industriale liberale di 47 anni sconosciuto al grande pubblico fino a poco tempo fa, ha ottenuto il 6,9%, mentre l’altro candidato, Zouhair Maghzaoui, 59 anni, ex deputato della sinistra panarabista, ha ottenuto un misero 3,9%. Zammel, oltretutto, non ha potuto fare campagna elettorale poiché è incarcerato da inizio settembre ed è già stato condannato tre volte a oltre 14 anni di prigione per presunte falsificazioni delle firme a sostegno della sua candidatura.

Ong tunisine e internazionali hanno denunciato già in campagna elettorale l’Isie “che ha perso la sua indipendenza” e un processo “manipolato a favore di Saied”. E’ stato infatti questo organismo a escludere quasi tutti i potenziali avversari dalla corsa elettorale. L’ascesa di Saied, nel 2019, era stata sostenuta da molti tunisini – prese il 73% dei voti con un’affluenza del 58% – stanchi dei continui e sterili conflitti parlamentari e delle difficoltà economiche, che il presidente aveva attribuito regolarmente ai “politici corrotti” finanziati da “potenze straniere”, dominatori del decennio democratico, prendendo di mira soprattutto il movimento islamico-conservatore Ennahdha. Ma invece di rilanciare la crescita per combattere una disoccupazione endemica che alimenta i flussi migratori verso l’Europa, il presidente ha dedicato la sua energia, secondo l’opposizione e le ong, a reprimere la società civile in una “deriva autoritaria”.

Dalla primavera del 2023, infatti, più di una ventina di oppositori, tra cui il leader di Ennahdha Rached Ghannouchi, sono stati incarcerati. Negli ultimi mesi, anche sindacalisti, avvocati, commentatori politici e difensori dei diritti dei migranti si sono ritrovati in prigione. E ora in molti temono che le cose possano addirittura peggiorrare, visto che Saied ha già annunciato di voler “proseguire la rivoluzione del 2011”: “Costruiremo come vuole la gente e ripuliremo il Paese da tutti i corrotti e dai cospiratori, e non esagero quando dico cospiratori”, ha detto trionfante dopo l’uscita degli exit poll.

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Giudice sospende caso contro Trump per assalto al Capitol

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Tanya Chutkan, la giudice che supervisiona il caso contro Donald Trump per l’assalto al Capitol, ha accolto la richiesta del procuratore speciale Jack Smith di sospendere le procedure in corso e ha annullato tutte le scadenze pendenti nella fase pre-processuale. Un passo legato alla consolidata prassi del Dipartimento di Giustizia secondo cui un presidente in carica non può essere perseguito.

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Discussioni al Pentagono su come reagire a ordini illegali Trump

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Dirigenti del Pentagono stanno tenendo discussioni informali su cosa fare se Donald Trump dovesse dare un ordine illegale, come ad esempio dispiegare l’esercito internamente, e si stanno preparando all’eventualità che possa modificare le regole per poter licenziare numerosi funzionari pubblici di carriera. Lo riferisce la Cnn. Durante la campagna elettorale, Trump ha ventilato l’ipotesi di impiegare l’esercito contro i suoi nemici politici e anche per respingere i migranti al confine col Messico. La legge americana generalmente vieta l’impiego delle truppe attive per scopi di ordine pubblico. Esistono anche timori che possa smantellare il ruolo dei civili nel Pentagono e sostituire il personale licenziato con dipendenti scelti per la loro lealtà nei suoi confronti.

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Il futuro di Harris dopo la sconfitta

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Kamala Harris non pensa ancora al futuro. La ferita della sconfitta è ancora troppo fresca per consentirle di guardare avanti con lucidità. Ipotizzare la strada che intraprenderà, riferiscono amici e consiglieri, è prematuro ma la vicepresidente potrebbe avere varie opzioni fra cui scegliere una volta che i tempi saranno maturi. La possibilità che resti in politica è la più remota. Al momento anche solo pensare a una sua ricandidatura alle elezioni del 2028 appare un miraggio, considerata la facilità con cui Donald Trump ha vinto. Ma quattro anni in politica sono un’eternità e Harris ha accesso a una vasta rete di donatori che, se il mandato del presidente-eletto dovesse essere caotico, forse potrebbe sostenerla ancora nel cercare di realizzare il sogno di infrangere il soffitto di cristallo. Harris difficilmente – riporta il New York Times – potrebbe decidere di ricandidarsi per il Senato: i due senatori che rappresenteranno la California sono appena stati eletti ed è improbabile che lascino a breve. Nel suo stato Harris potrebbe aspirare a diventare governatrice, raccogliendo l’eredità di Gavin Newsom qualora decidesse, come si vocifera da tempo, di scendere in campo nel 2028.

Fra gli incarichi istituzionali c’è chi sogna che Joe Biden la nomini alla Corte Suprema prima del suo addio alla Casa Bianca. Un’ipotesi irrealizzabile visto che i democratici dovrebbero prima convincere la giudice Sonya Sotomayor a lasciare e poi premere sull’acceleratore per confermare Harris prima del 20 gennaio. Le ipotesi che, al momento, sono le più accreditate fra i sui alleati sono il settore privato, anche nei panni di lobbista, o l’ingresso in un think tank dove avrebbe la possibilità di portare avanti le sue cause senza le restrizioni imposte dal ruolo di vicepresidente di Biden. Harris potrebbe optare anche per scrivere un libro, sulla scia di quanto fatto da Hillary Clinton nel 2016 dopo la sconfitta contro Donald Trump. Quello che appare certo è che la vicepresidente, trascorsi questi ultimi 70 giorni alla Casa Bianca, si prenderà del tempo per sé stessa e per riflettere sulle sue prossime mosse fra passeggiate e cibo non consumato in aereo. Poco prima del voto, per l’esattezza il 27 ottobre, Harris aveva infatti chiarito che fra i suoi piani post-elezioni ci sarebbe stato “ingrassare qualche chilo”. “Mi stanno consumando”, aveva scherzato ignara di quello che l’avrebbe attesa solo qualche giorno dopo.

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