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Ruspe a San Ferdinando, abbattuta la baraccopoli dei migranti nella piana di Gioia Tauro

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La baraccopoli di San Ferdinando, la grande vergogna di quella che e’ stata una enclave di disumanita’, senza servizi igienici o acqua corrente, che nei mesi invernali ha accolto per anni anche fino a 2.500 persone prevalentemente di origine africana che arrivavano nella Piana di Gioia Tauro per cercare lavoro nella raccolta delle arance, e’ stata finalmente abbattuta. Da stamani le ruspe dell’Esercito sono in azione per demolire tutte le baracche.

Un’operazione commentata con soddisfazione dal ministro dell’Interno Matteo Salvini: “Come promesso, dopo anni di chiacchiere degli altri, noi passiamo dalle parole ai fatti”. Per anni la baraccopoli – al centro di polemiche infinite – e’ stata il simbolo di un’accoglienza sbagliata di uomini e donne sfruttati da chi assolda manodopera a basso costo e in nero. In questo “non luogo” invivibile nell’ultimo anno, a causa degli incendi, sono morte tre persone, Becky Moses, 26enne nigeriana, Surawa Jaith, gambiano, deceduto pochi giorni prima del suo 18mo compleanno, e, per ultimo, Moussa Ba, 29enne senegalese. Una fine orribile di esseri umani che poteva ripetersi, ragione per la quale, e’ stato deciso di procedere al suo abbattimento. Tutta l’area e’ stata cinturata sin dall’alba da centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Nessun incidente si e’ verificato, nonostante gli allarmi lanciati nei giorni scorsi, nessuna pressione o rastrellamento, nessuna tensione.

Le operazioni di abbattimento sono state precedute da una massiccia azione di mediazione diretta dal questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi e dal prefetto Michele Di Bari con l’aiuto di mediatori culturali e dei volontari delle associazioni che in questi anni hanno operato tra le baracche. Molti migranti hanno preferito anticipare la partenza verso la Puglia, la Campania o la Sicilia, anche perche’ nella Piana di Gioia Tauro la stagione agrumaria e’ di fatto quasi finita. A coloro che sono rimasti e’ stato assicurato un letto e un tetto. Alla fine della giornata 80 migranti sono stati trasferiti nei Cas o negli Sprar e circa 280 hanno trovato accoglienza nella nuova tendopoli realizzata a poche decine di metri dalla baraccopoli e gestita dal Comune. Secondo i dati forniti contemporaneamente sia dal Viminale che dalla Prefettura sono circa 300 i migranti che entro domani dovrebbero trovare alloggio sempre nella nuova tendopoli o in centri di accoglienza regionali. Le operazioni comunque stanno proseguendo in un clima di collaborazione anche da parte dei migranti. Le ruspe e gli escavatori Genio Guastatori dell’Esercito sono entrati in azione attorno alle 9, dopo che polizia, carabinieri e finanzieri hanno sgomberato le baracche e sanificato l’area da bombole di gas e dalle lamiere di eternit. I piccoli ricoveri, sotto la pressione delle ruspe, sono caduti uno dietro l’altro e cio’ che e’ rimasto e’ stato ammassato in una grande area di rifiuti che dovranno essere smaltiti. Le operazioni di demolizione si concluderanno domani. E del “ghetto”, dove migliaia e migliaia di persone hanno condotto una vita indecorosa, non restera’ che il ricordo che dovra’ fungere da monito affinche’ una situazione simile non si ripeta.

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L’ipnosi in sala operatoria per due anziane a Torino

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L’ipnosi in sala operatoria si consolida come una risorsa in più per combattere il dolore in sala operatoria. Per la prima volta a Torino, all’ospedale delle Molinette, due donne in età avanzata (75 anni e 79 anni) sono state sottoposte a un intervento in ipoanestesia, una pratica che alla Città della Salute definiscono “l’ultima frontiera degli approcci destinati a garantire ai pazienti un trauma chirurgico sempre minore”. L’ipoanestesia, che ha già preso piede in numerosi Paesi europei per operazioni di chirurgia complessa, è considerata una valida alternativa all’anestesia generale: non pretende un carico pesante di farmaci invasivi, modula la percezione del dolore e, soprattutto, allontana la percezione del bisturi, riducendo lo stress emotivo. Effetti che, a quanto pare, si riverberano anche sul recupero post operatorio, più rapido ed efficace, con conseguente riduzione dei tempi di ricovero.

Nel caso delle due pazienti torinesi si è trattato di abbinare l’ipnosi all’anestesia locale per poi procedere, tramite delle ‘tradizionali’ incisioni al collo di minima entità (2,5-3 cm), all’asportazione di tumori benigni delle paratiroidi. L’intervento ha richiesto la composizione di un’equipe composta da specialisti di varie discipline: Maurizio Bossotti (responsabile della Chirurgia tiroidea-paratiroidea del Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica della Città della Salute di Torino, diretto dal professor Mario Morino) è stato affiancato da Pietro Soardo e Valentina Palazzo, specializzanda in Chirurgia Generale ed ipnologa, e dagli anestesisti del gruppo di Roberto Balagna.

In Italia il ricorso all’ipnosi clinica è una realtà da diverso tempo e in diversi ambiti. Nel 2020 l’ospedale San Paolo, a Savona, se ne servì a scopo analgesico su un uomo sottoposto a un intervento al cuore, mentre nel 2022 fu il San Michele di Cagliari ad impiegarla nel corso di un trapianto di fegato: il paziente, dopo una serie di incontri preparatori, venne ‘risvegliato’ in stato di ipnosi in sala operatoria anziché in rianimazione, cosa che scongiurò una quantità di complicazioni. Nel 2023, ad Ancona, un tumore cerebrale fu asportato con procedura awake: il paziente, sveglio e cosciente, indossò un visore che lo inondò di immagini e musiche capaci di ridurre l’ansia pre e post operatoria. La sedazione digitale è stata utilizzata al ‘Ferrari’ di Castrovillari (Cosenza) per coronarografie e impianti di peacemaker.

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Abusi su 13enne, spedizione punitiva amici contro l’ex

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Non si è ribellata quando lui le ha imposto un rapporto sessuale perché “avevo paura che lui mi lasciasse”. Protagonista di questa brutta storia che arriva da Genova una ragazzina di 13 anni che ha raccontato di esser stata obbligata ad avere rapporti con il suo fidanzato del tempo, di due anni più grande, nella sua casa quando i genitori non c’erano. Una storia che durava da qualche mese e che è stata scoperta dalla polizia intervenuta per la chiamata al 112 dell’ex fidanzatino della vittima, accerchiato dagli amici della ragazzina intenzionati a portare a termine una vera e propria spedizione punitiva. Tutto nasce un pomeriggio di qualche tempo fa quando la ragazzina va a casa del fidanzatino che ha, appunto, 15 anni.

I genitori di lui non ci sono e avvengono gli abusi. Lei non lo lascia perché ha paura che lui l’abbandoni poi l’infatuazione è finita e lei racconta tutto ai suoi amici. Amici che, dopo essersi radunati, in tutto una decina di ragazzi tra i 13 e i 16 anni, imbastiscono una specie di spedizione punitiva a casa dell’ex. Quel giorno il 15enne è solo nell’appartamento al primo piano del condominio in cui abita con i genitori.

Quando arrivano gli amici della ragazzina iniziano a dare pugni contro le sue finestre e uno cerca addirittura di entrare in casa. Il ragazzo si spaventa, prende un coltello da cucina e poi chiama il 112. Quando la polizia interviene ci vuole un po’ per capire cosa stesse succedendo e che cosa aveva portato a quella reazione esasperata di un gruppo di giovanissimi. I ragazzini amici della vittima vengono tutti identificati e accompagnati negli uffici della polizia: ovviamente ciascuno racconta quello che sa e quello che invece gli è stato solo riferito ma sarà la ragazzina di 13 anni a dover raccontare il retroscena.

Tra l’altro, la vittima aggiunge che aveva tentato di parlarne a casa con i genitori ma che aveva avuto scarso successo. Genitori che, convocati e sentiti dalla polizia, affermano: “Ci aveva accennato qualcosa, ma pensavano fossero questioni tra ragazzi”. Tutta la vicenda adesso è sottoposta a indagini della procura presso il tribunale dei Minori, Un fascicolo in cui un quindicenne è accusato di violenza sessuale aggravata. E negli ultimi giorni la vittima è stata sentita durante un incidente probatorio, fornendo – secondo quanto appreso – ‘significative conferme’.

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Arcivescovo Napoli ad amministratori: bisogna fare di più

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La Costituzione “ci obbliga ad adempiere le nostre funzioni “con onore e disciplina” e l’onore non può che essere quello del “dovere della verità e dell’impegno per la giustizia” non solo formale ma anche sostanziale. In un territorio che, pur cercando faticosamente di adottare “un diverso paradigma”, soffre ancora di tante diseguaglianze e in tante periferie umane e sociali si attendono opportunità civili e dignitose, chi ha responsabilità pubblica ha il dovere di fare di più e bandire ipocrisie e luoghi comuni. Ancora troppa ricchezza mal distribuita, ancora troppo lavoro nero, ancora la prepotenza della criminalità organizzata, sirena per chi, con scarse opportunità, in particolare i giovani, anela al cambiamento del proprio status sociale, cerca scorciatoie”. Lo ricorda nella lettera ai fedeli della diocesi partenopea per l’Avvento 2024 l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che nel prossimo concistoro del 7 dicembre sarà creato Cardinale.

“A noi, il Cristo che viene, ci chiede quel gesto di amore di cui parlò Paolo Borsellino, nella chiesa di Sant’Ernesto, a Palermo il 23 giugno 1992, in occasione del trigesimo della strage di Capaci, ricordando Falcone “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione…. Per amore!” E tali parole richiamano alla mente l’attualità del documento diffuso proprio a Natale dell’anno precedente, il 1991, in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della forania di Casal di Principe, per spingere a prendere coscienza del problema mafioso, ‘Per Amore del mio popolo'”, prosegue ancora l’arcivescovo di Napoli.

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