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Rush finale per liste regionali, poi campagna e voto

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I giochi sono fatti, ma il risultato finale e’ tutto da immaginare. Fra un mese gli elettori di sei regioni sceglieranno i loro nuovi presidenti. Ormai al rush finale sulle liste dei candidati (tempo massimo, domani alle 12), si entra nel vivo della gara. Il centrodestra corre unito ovunque, il Pd e i 5 Stelle solo in Liguria. Sulla carta, potrebbe essere una remuntada del centrodestra che raddoppierebbe le sue attuali pedine (Veneto e Liguria), conquistando Puglia e Marche e magari strappando la quinta con la “rossa” Toscana. Oppure una conferma o una perdita contenuta per il centrosinistra: oggi amministra Toscana, Campania, Puglia e Marche, ma potrebbe restare a 3. Molto peggio, si prevede, per il M5s che ha il carniere vuoto e cosi’ potrebbe restare. Il 20 e 21 settembre si disegna insomma il futuro al nord, centro e sud d’Italia. Nello stesso weekend si vota anche in 1.184 Comuni e per il referendum costituzionale che propone di sfoltire il Parlamento, tagliando 230 deputati e 115 senatori. E’ la riforma targata Movimento 5 stelle e quella che sta piu’ a cuore al popolo del Vaffa day e dell’anti casta. Ma forse sara’ l’unico goal che segneranno. Sono proprio i 5S a rischiare di piu’ nelle regionali. Cruciali le alleanze saltate con il Pd, che pure erano state sdoganate dal si’ della “base” agli accordi con i partiti tradizionali, votati una settimana fa sulla piattaforma Rousseau. Questo il risiko oggi:

– CAMPANIA: l’attuale presidente Vincenzo De Luca, passato a sinistra e un presente da ‘sceriffo’ specie nell’emergenza Covid, si presenta per il bis. A sfidarlo e’ il berlusconiano Stefano Caldoro che ha guidato la regione prima di lui. Terzo litigante in gioco e’ Valeria Ciarambino del M5s, new entry della politica scelta su Rousseau e originaria di Pomigliano d’Arco come Luigi Di Maio.

– LIGURIA: nella terra segnata dalla ferita del ponte Morandi, e’ una corsa a due. Il centrodestra ha scommesso, compatto, sull’attuale governatore: Giovanni Toti che con l’esperimento di “Cambiamo!” ha provato a dare un futuro a Forza Italia, ma invano. A sorpresa e con la benedizione di Beppe Grillo, Dem e 5 Stelle sostengono il giornalista Ferruccio Sansa.

– MARCHE: all’orizzonte non c’e’ nessun bis. Il presidente uscente Luca Ceriscioli non si ricandida. Al suo posto, Maurizio Mangialardi, due volte sindaco di Senigallia e presidente dell’Anci Marche con un passato da prof. In corsa per il M5s c’e’ Gianmario Mercorelli, il consigliere comunale di Tolentino scelto a marzo dagli iscritti on line e che giorni fa ha espressamente detto no all’appello di Conte. L’uomo del centrodestra e’ Francesco Acquaroli, deputato di Fratelli d’Italia che tenta di nuovo l’impresa, fallita nel 2015. Allora era sostenuto da FdI e Lega e arrivo’ terzo.

– PUGLIA: la terra di Giuseppe Conte e’ contesa da 4 candidati. In primis il governatore uscente, l’ex magistrato ed ex sindaco di Bari Michele Emiliano, che ha spesso diviso i Dem per le sue posizioni controcorrente. Per il centrodestra corre Raffaele Fitto: eletto presidente della Puglia nel 2000 a 31 anni, e’ stato il piu’ giovane d’Italia. Fu anche ministro, deputato ed europarlamentare. Gli altri due candidati sono Antonella Laricchia del M5s, pasdaran del Movimento che ha puntato i piedi per restare in corsa da sola e il renziano Ivan Scalfarotto.

– TOSCANA: e’ uno dei trofei piu’ ambiti. Qui si teme un testa a testa (stile Emilia-Romagna lo scorso gennaio) tra il candidato del Pd Eugenio Giani, nome della vecchia guardia di sinistra e ora alla guida del Consiglio regionale, e la pasionaria della Lega Susanna Ceccardi. Contro di loro Irene Galletti, portavoce del Movimento a Toscana e con esperienze nella cooperazione internazionale.

– VENETO: e’ il feudo ‘inespugnabile’ di Luca Zaia, il ‘doge’ della Liga veneta e governatore che, complice la gestione del coronavirus, parte dal miglior pronostico. Con il rischio pure di offuscare i consensi del ‘capitano’ Salvini. I suoi sfidanti sono, per il Pd, il vicesindaco di Padova e prof universitario Arturo Lorenzoni e per il M5s l’imprenditore ed ex senatore Enrico Cappelletti.

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Studenti bocciati con il 5 e multe a chi aggredisce prof

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Dalla bocciatura con il 5 in condotta al ritorno della valutazione numerica sul comportamento alle scuole medie fino alle multe per aggressioni al personale scolastico. Via libera del Senato al disegno di legge messo a punto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Il provvedimento, che ora deve passare alla Camera, prevede una serie di novità. Il voto in condotta sarà numerico anche alle scuole medie. Il giudizio sintetico sul comportamento rimarrà, dunque, solamente per i bambini della scuola primaria. Per tutti gli altri ci sarà il voto espresso in decimi e farà media con le altre materie. Sia alle medie che alle superiori, se non si raggiunge almeno il 6 in condotta si verrà automaticamente bocciati.

L’insufficienza si può ottenere per mancanze disciplinari gravi e reiterate avvenute nel corso di tutto l’anno scolastico. Per quanto riguarda le scuole superiori, nel caso di voto pari a 6 si avrà un debito formativo e si dovrà sostenere un elaborato di educazione civica. Il vero spartiacque per gli studenti delle superiori, specie in ottica diploma, è però l’8 in condotta. Se non si supera questa soglia si possono perdere fino a 3 punti di credito scolastico, punteggio che va a confluire direttamente nel voto di Maturità. Anche le sospensioni cambieranno.

Non ci sarà più l’allontanamento da scuola e lo studente dovrà partecipare ad attività scolastiche di riflessione e a una verifica finale da sottoporre al consiglio di classe. Il tenore della punizione dipenderà dalla durata della sospensione. Chi avrà più di due giorni dovrà partecipare ad “attività di cittadinanza solidale” in strutture convenzionate. Per il ministro Valditara si tratta di “un importante passo in avanti nella costruzione di una scuola che responsabilizza i ragazzi e restituisce autorevolezza ai docenti”. “A differenza di quanti parlano di misure autoritarie e inutilmente punitive – ha detto il ministro – io rivendico la scelta di dare il giusto peso alla condotta nel percorso scolastico degli studenti”.

Il provvedimento introduce anche multe per i reati commessi ai danni di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. La somma varia dai 500 ai 10.000 mila euro “a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’istituzione scolastica di appartenenza della persona offesa”. “È anche importante – ha sottolineato Valditara – che chi abbia aggredito personale della scuola risarcisca la scuola per il danno di immagine che ha contribuito a creare”.

E sempre il ministro ha annunciato oggi, rispondendo a un question time alla Camera, che è allo studio una normativa che riguarderà le chiusure scolastiche per festività religiose. “La norma che stiamo studiando è molto semplice – ha detto – non consentire la chiusura delle scuole in occasione di festività religiose o nazionali non riconosciute dallo Stato italiano. Ovviamente senza nessuna discriminazione nei confronti dei ragazzi che vogliano invece festeggiare quelle determinate ricorrenze, che saranno giustificati se rimarranno a casa”.

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Esteri

‘Strategia del tritacarne, i russi morti sono 50.000’

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Mentre il mondo guarda con apprensione al Medio Oriente e a un’eventuale escalation con l’Iran, l’Ucraina continua a essere uno spaventoso terreno di battaglia. Con Vladimir Putin disposto a perdere la vita di migliaia di soldati pur di avanzare la linea del fronte con quella che la Bbc definisce la “strategia del tritacarne”: mandare ondate di soldati senza sosta in prima linea per cercare di logorare le forze ucraine ed esporre la loro artiglieria. Con il risultato di aver superato finora “la soglia di 50.000 caduti”. Nelle ultime ore anche le forze di Kiev hanno colpito in profondità in Russia – fino a danneggiare una fabbrica di bombardieri Tupolev in Tatarstan, stando ai servizi speciali ucraini – e in Crimea, dove secondo media e blogger locali “circa 30 militari russi sono rimasti uccisi e 80 feriti in un attacco notturno all’aeroporto militare di Dzhankoy”, che avrebbe “distrutto un deposito di missili Zircon e S-300”.

In mattinata la rappresaglia di Mosca si è scagliata ancora una volta sui civili, con un triplo raid su Chernihiv, città nel nord dell’Ucraina, una delle più antiche del Paese: i missili russi hanno colpito palazzi residenziali vicino al centro, un ospedale e un istituto scolastico, causando almeno 17 morti, oltre 60 feriti – tra cui tre bambini – e un numero imprecisato di dispersi sotto le macerie dove per tutto il giorno hanno lavorato i servizi di emergenza.

La strage ha suscitato l’ira di Volodymyr Zelensky, impegnato a chiedere con insistenza agli alleati europei e americani di rafforzare la difesa aerea ucraina: “Questo non sarebbe successo se avessimo ricevuto abbastanza equipaggiamenti di difesa antiaerea e se le determinazione del mondo a resistere al terrore russo fosse stato sufficiente”, ha tuonato il presidente sui social, esprimendo sempre più rabbia e frustrazione, soprattutto all’indomani delle manovre occidentali sui cieli di Israele per difenderlo dall’Iran. Di questo passo, e con il morale delle truppe sempre più indebolito dalle “cupe previsioni” di guerra, il fronte ucraino potrebbe collassare “la prossima estate quando la Russia, con un maggior peso numerico e la disponibilità ad accettare enormi perdite, lancerà la sua prevista offensiva”, riferiscono diversi alti ufficiali di Kiev a Politico. Insomma, Mosca ha messo in conto di poter perdere un alto numero di militari anche con la cosiddetta “strategia del tritacarne”.

Strategia che, stando a un conteggio realizzato da Bbc Russia, dal gruppo di media indipendenti Mediazona e volontari – che hanno scovato i nomi dei caduti anche sulle tombe recenti nei cimiteri – avrebbe già portato il bilancio dei militari di Putin morti in Ucraina (esclusi i separatisti filorussi del Donbass) oltre la soglia dei 50.000, con un’accelerazione del 25% in più nel secondo anno di invasione. “Il bilancio complessivo è 8 volte superiore all’ammissione ufficiale di Mosca – sottolinea l’emittente britannica -. Ed è probabile che il numero sia molto più alto”.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha rivendicato il segreto di Stato sull'”operazione militare speciale”, come del resto nemmeno Kiev pubblicizza il numero dei suoi caduti: l’ultima cifra ufficiale risale a febbraio, quando Zelensky parlò di 31.000 soldati rimasti uccisi. Neppure stavolta Mosca ha confermato le notizie riportate dei trenta soldati russi che sarebbero morti nell’attacco alla base aerea in Crimea, che secondo i blogger russi di Rybar, vicino all’esercito del Cremlino, avrebbe centrato e danneggiato l’obiettivo con 12 missili Atacms forniti a Kiev dagli Stati Uniti. Il ministero della Difesa russo ha tuttavia smentito che droni dell’intelligence militare ucraina abbiano colpito la fabbrica di Tupolev nel Tatarstan, nell’est della Russia: al contrario ha precisato di aver “distrutto un drone ucraino, nella stessa area”, prima che potesse causare danni.

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Esteri

I conservatori di Plenkovic vincono in Croazia

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I conservatori del premier uscente Andrej Plenkovic, stando agli ultimi exit exit poll diffusi dalla tv pubblica, hanno vinto le elezioni parlamentari di oggi in Croazia, anche se forse con un margine più ridotto sul centrosinistra del presidente Zoran Milanovic, rispetto agli ultimi sondaggi della vigilia. Il voto odierno, che ha fatto registrare una affluenza alle urne molto alta, si è tenuto sullo sfondo del duro scontro politico e personale in atto da tempo tra il premier Plenkovic e il presidente Milanovic, protagonisti di una difficile coabitazione segnata da forte antipatia reciproca e da attacchi verbali incrociati, al limite dell’offesa.

In base ai dati degli exit poll, all’Unione democratica croata (Hdz), il partito conservatore guidato dal premier Plenkovic, sarebbero andati 59 seggi sul totale di 151 del Sabor, il parlamento unicamerale di Zagabria. Il Partito socialdemocratico (Sdp) sostenuto dal presidente Milanovic, avrebbe ottenuto 43 mandati, seguito al terzo posto dal Movimento patriottico (Dp, destra nazionalista) con 13 seggi.

La formazione Most (Ponte, destra sovranista) disporrebbe di 11 deputati, 10 seggi sarebbero andati ai Verdi di Mozemo (Possiamo) e 5 ai liberali di centro. L’ultimo dato sull’affluenza, relativo alle 16.30, poco meno di tre ore dalla chiusura dei seggi, indicava una partecipazione molto sostenuta del 50,6%, ben il 16% in più rispetto alle precedenti elezioni di quattro anni fa. In tarda serata, in attesa dei primi dati reali da parte della commissione elettorale, non erano giunte dichiarazioni da parte dei due leader rivali – il premier Plenkovic e il presidente Milanovic.

Ma l’atmosfera nei rispettivi quartier generali a Zagabria era di comune soddisfazione per il risultato delle urne, anche se il fronte conservatore appare favorito per la formazione di un nuovo governo, che sarebbe il terzo consecutivo guidato da Plenkovic. In campagna elettorale, e anche oggi al seggio elettorale, Plenkovic – sottolineando i successi dell’adesione della Croazia all’eurozona e a Schengen – ha promesso stabilità e continuità in tempi di profonde crisi internazionali, annunciando miglioramenti economici e sociali, salari minimi garantiti a circa mille euro, un ulteriore calo dell’inflazione e della disoccupazione, nuovi investimenti nelle grandi infrastrutture.

Nel campo opposto, il presidente Milanovic, candidatosi a sorpresa per la premiership pur mantenendo la carica di capo dello stato, cosa questa ritenuta incostituzionale da parte dei giudici, ha lanciato un appello dai toni populistici a votare per chiunque, a sinistra o a destra, ad eccezione dell’Hdz di Plenkovic. “Quando avete a che fare con dei ladri e dei corrotti che approfittano del loro potere, la reazione deve essere forte”, ha detto Milanovic, sottolineando di essere pronto a parlare e a negoziare con tutte le altre forze politiche, eccetto l’Hdz, pur di formare un nuovo governo che escluda Plenkovic e il suo entourage corrotto. In effetti la corruzione si è rivelato il tallone d’Achille del partito conservatore, con diversi ministri che sono stati costretti alle dimissioni per via di scandali e coinvolgimenti in vicende poco chiare.

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