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Ruggero Pasquarelli è l’idolo dei ragazzini in Sudamerica: da X Factor a Violetta e Soy Luna

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A tradire subito le sue origini fu la scelta di cantare “A me me piace ‘o blues” di Pino Daniele come cavallo di battaglia a XFactor: era il 2010 e Ruggero Pasquarelli era il cantante più giovane di quell’edizione, la quarta. Poco più di 16 anni. Era nella scuderia di Mara Maionchi e fu eliminato alla decima puntata, arrivando sesto. Adesso è il cantante e attore più famoso nel mondo fra i teenagers grazie a serie di tv di successo come Violetta e Soy Luna, dove il giovane nato a Città Sant’Angelo, in provincia di Pescara, ma di origine napoletana, riveste il ruolo di protagonista.

In particolare Ruggero è famoso in Argentina graze a Disney Channel e ai suoi ruoli nelle serie, in Italia pochi se lo ricordano eppure ha quasi 14 milioni di follower sui social. Fra Instagram, 7 milioni e 350 mila, Facebook, circa 5 milioni, e Twitter, più di 1 milione e 350 mila follower, è probabilmente uno degli italiani più seguiti sul web.

La svolta sembra sia arrivata proprio durante una puntata di X Factor dove Mara Maionchi lo paragonava a un giovane Morandi quando nel pubblico una responsabile di Disney Channel lo notò. Dopo poco arriva il vero successo: Ruggero Pasquarelli viene scelto per interpretare Federico nella prima stagione di “Violetta”, la telenovela argentina con protagonista Martina Stoessel campione d’incassi. Ruggero diventa super popolare, poi partecipa alle altre puntate dello show, accompagna con una formazione la Stoessel e va avanti. Lo show campione di ascolti ha reso l’attore una star. Ha scritto un libro, abita quasi stabilmente a Buenos Aires e si è fidanzato con Candelaria Molfese, attrice conosciuta sul set di “Violetta”. Adesso che ha sfondato, parla e recita in spagnolo, è pronto anche per il suo primo disco.

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Esteri

L’Iran e gli alleati celebrano il massacro di ebrei

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Razzi e anatemi: così il sedicente ‘asse della resistenza’, o quel che ne resta, ha celebrato i massacri in Israele di un anno fa, costati la vita a centinaia di civili inermi. Da Teheran, che tira le fila dell’alleanza, stavolta non sono partiti missili ma i velenosi commenti della Guida Suprema iraniana che ha deciso di pubblicare su X – che in Iran è ufficialmente vietato – un messaggio in ebraico. “L’operazione diluvio di Al-Aqsa ha riportato il regime sionista a 70 anni fa”, ha scritto Ali Khamenei, o presumibilmente il suo staff visto che è difficile immaginare l’85enne leader intento a cinguettare sul web.

Nel corso della giornata, un lungo comunicato del ministro degli Esteri della Repubblica islamica ha celebrato il 7 ottobre 2023 come “un punto di svolta nella storia della legittima lotta del popolo palestinese contro l’occupazione e l’oppressione del regime sionista”. L’attacco è stato “l’esplosione della rabbia storica repressa del popolo palestinese contro otto decenni di occupazione, uccisioni e genocidio”.

Intanto da Gaza Hamas tentava senza successo di lanciare un ampio sbarramento di razzi contro Israele: i caccia dello Stato ebraico hanno colpito lanciarazzi e tunnel, alla fine i seguaci di Yahya Sinwar hanno sparato solo quattro ordigni, tre intercettati e il quarto precipitato in un campo. Ieri il numero due Khalil al-Hayya dal Qatar aveva sentenziato in un videomessaggio che “il compimento del glorioso 7 ottobre ha infranto le illusioni che il nemico si era creato, convincendo il mondo e la regione della sua presunta superiorità e capacità”. Oggi è tornato a farsi sentire anche Khaled Meshaal, convinto che l’operazione abbia “riportato Israele al punto zero e minacciato la sua esistenza”.

Da Hezbollah a metà giornata erano partiti almeno 135 razzi, facendo risuonare per ore le sirene di allarme nel nord di Israele. I miliziani hanno reiterato le minacce promettendo di continuare a combattere perché Israele “è un cancro che deve essere eliminato”. Il partito di dio libanese però deve intanto fare i conti con la sua fragile leadership, decimata dagli attacchi israeliani: Ibrahim Amin al-Sayyed, capo del consiglio politico di Hezbollah, potrebbe essere nominato successore di Hassan Nasrallah, ucciso a Beirut a fine settembre. Secondo le fonti dell’autorevole Asharq al Awsat, il partito è attualmente guidato da una “leadership collettiva” dopo la probabile morte di Hashem Safieddine in un attacco israeliano giovedì scorso.

Mentre il comandante supremo della Forza Quds Esmail Qaani, che secondo alcuni si sarebbe trovato nello stesso bunker di Safieddine preso di mira dai missili israeliani, sarebbe invece “in buona salute”, secondo quanto riferito dal suo vice Iraj Masjedi. Domenica due alti funzionari della sicurezza iraniana avevano riferito a Reuters di aver perso i contatti con Qaani dagli attacchi a Beirut della scorsa settimana.

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Economia

Bankitalia, Pil 2024 +0,8%, attenti a equilibrio pensioni

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Si allontana l’obiettivo di crescita fissato dal governo all’1% per quest’anno, e trovare le risorse per la manovra 2025 diventa sempre più complicato. La doccia gelata sulle stime del governo arriva durante le audizioni sul piano strutturale di bilancio in Parlamento: per Bankitalia il Pil del 2024 si fermerà allo 0,8%, e anche per l’Ufficio parlamentare di bilancio l’obiettivo dell’1% diventa più incerto. C’è il contesto esterno, con l’economia mondiale che si raffredda, e c’è la spinta propulsiva post Covid che in Italia si è esaurita. Il quadro indebolito pesa sulla composizione della manovra, e la Banca d’Italia avverte sulle prossime mosse: rendendo strutturali gli sgravi contributivi sul lavoro si mette a rischio l’equilibrio sulle pensioni.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha sempre ritenuto “realistico” l’obiettivo dell’1%. Ma dopo la revisione dei conti economici trimestrali pubblicata venerdì scorso dall’Istat, la Banca d’Italia ha provveduto ad una “correzione meccanica” al ribasso di due decimi di punto percentuale, che comprime il Pil allo 0,8%. Nell’audizione in Parlamento l’Istat spiega che l’Italia è tornata ad una crescita da zerovirgola. “Siamo tornati a una fase di stato stazionario o ‘steady state’ con tassi di crescita abbastanza contenuti che stentano a dimostrare la situazione di un’economia che si sviluppa in forma consistente”, ha detto il direttore per la contabilità dell’Istat, Giovanni Savio, spiegando come “si sono spente” alcune “spinte propulsive” post Covid, e “quindi dobbiamo attendere che ci siano altre forze” a spingere il Pil. Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia, prova a diradare le nubi parlando dei conti che in corso d’anno “mostrano un andamento incoraggiante”. Ma non basta, e dunque “il programma delineato nel Psb non è esente da rischi”.

Primo, perché il piano conta sulle maggiori entrate attese per il 2024, “con l’assunzione implicita che siano interamente permanenti”. Secondo, perché data “l’elevata incertezza” del quadro macro, “anche piccoli scostamenti dai piani di bilancio potrebbero rendere difficoltoso riportare” il deficit sotto il 3% nel 2026. Inoltre, invita a riflettere sull’intenzione di rendere strutturali gli sgravi contributivi sul lavoro: “Verrebbe meno l’equilibrio tra entrate contributive e uscite per prestazioni” che “caratterizza il nostro sistema previdenziale e ne rappresenta un punto di forza”.

Anche per la Corte dei Conti il governo ha davanti a sé un arduo compito. Il percorso del Psb è “impegnativo” e nella manovra “saranno necessarie scelte difficili sull’allocazione delle risorse”, spiegano i giudici contabili al Parlamento. Non si potrà fare a meno, però, di pensare alla sanità, perché per tagliare le liste d’attesa e i tempi al pronto soccorso è indispensabile investire “per superare le carenze di personale, soprattutto infermieristico, che rappresenta al momento il principale deficit”. Inoltre bisogna dare certezza e stabilità al settore della previdenza, “dopo gli interventi temporanei che lo hanno contrassegnato negli ultimi cinque anni”, cercando di “garantire una maggiore flessibilità in uscita”.

L’Upb punta il dito, oltre che sull’incertezza del quadro macro, anche sulla carenza di informazioni sulle coperture perché, al di là di 9 miliardi in deficit, il Psb fornisce solo indicazioni “generiche”. Gli enti locali, ancora non toccati da alcuna nessuna ipotesi di taglio per reperire risorse, mettono le mani avanti. Per i Comuni qualunque richiesta di contributo per il risanamento della finanza pubblica diventerebbe “estremamente gravosa”. Mentre le Regioni vogliono rassicurazioni sul tema “per ora congelato” della riduzione delle aliquote Irpef da 4 a 3, che avrebbe un impatto di circa un miliardo sull’addizionale delle regioni a statuto ordinario e di circa 400 milioni per quelle a statuto speciale. Dubbi ai quali risponderà domani il ministro Giorgetti che chiuderà il ciclo di audizioni sul Psb in Parlamento.

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Esteri

Saied rieletto presidente in Tunisia con quasi il 90% dei voti

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Saied presidente Tunisia

Kais Saied, il 66enne docente di diritto costituzionale salito al potere come sedicente difensore della Tunisia da asseriti complotti interni ed esteri, ha conquistato un secondo mandato presidenziale. Un voto scontato – vista l’esclusione di quasi tutti gli avversari – che ha visto il presidente, accusato da più parti di “deriva autoritaria”, incassare l’89,2% dei consensi secondo la società Sigma Conseil. Un dato che probabilmente non si discosterà di molto dai risultati ufficiali. Una vittoria schiacciante che gli è stata però consegnata da una minoranza del popolo tunisino: solo il 27,7% si è recato alle urne, secondo l’autorità elettorale Isie. E’ il dato più basso dall’avvento della democrazia nel 2011.

Addirittura i giovani, che si erano fortemente mobilitati cinque anni fa, hanno disertato le urne, con un 6% di votanti nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni, rispetto al 65% nella fascia tra i 36 e i 60 anni, sempre secondo l’Isie. Solo due concorrenti — figure di secondo piano — erano stati autorizzati a candidarsi sui 17 aspiranti candidati iniziali, dopo l’eliminazione dei rivali più temibili. Ayachi Zammel, un industriale liberale di 47 anni sconosciuto al grande pubblico fino a poco tempo fa, ha ottenuto il 6,9%, mentre l’altro candidato, Zouhair Maghzaoui, 59 anni, ex deputato della sinistra panarabista, ha ottenuto un misero 3,9%. Zammel, oltretutto, non ha potuto fare campagna elettorale poiché è incarcerato da inizio settembre ed è già stato condannato tre volte a oltre 14 anni di prigione per presunte falsificazioni delle firme a sostegno della sua candidatura.

Ong tunisine e internazionali hanno denunciato già in campagna elettorale l’Isie “che ha perso la sua indipendenza” e un processo “manipolato a favore di Saied”. E’ stato infatti questo organismo a escludere quasi tutti i potenziali avversari dalla corsa elettorale. L’ascesa di Saied, nel 2019, era stata sostenuta da molti tunisini – prese il 73% dei voti con un’affluenza del 58% – stanchi dei continui e sterili conflitti parlamentari e delle difficoltà economiche, che il presidente aveva attribuito regolarmente ai “politici corrotti” finanziati da “potenze straniere”, dominatori del decennio democratico, prendendo di mira soprattutto il movimento islamico-conservatore Ennahdha. Ma invece di rilanciare la crescita per combattere una disoccupazione endemica che alimenta i flussi migratori verso l’Europa, il presidente ha dedicato la sua energia, secondo l’opposizione e le ong, a reprimere la società civile in una “deriva autoritaria”.

Dalla primavera del 2023, infatti, più di una ventina di oppositori, tra cui il leader di Ennahdha Rached Ghannouchi, sono stati incarcerati. Negli ultimi mesi, anche sindacalisti, avvocati, commentatori politici e difensori dei diritti dei migranti si sono ritrovati in prigione. E ora in molti temono che le cose possano addirittura peggiorrare, visto che Saied ha già annunciato di voler “proseguire la rivoluzione del 2011”: “Costruiremo come vuole la gente e ripuliremo il Paese da tutti i corrotti e dai cospiratori, e non esagero quando dico cospiratori”, ha detto trionfante dopo l’uscita degli exit poll.

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