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Ritardi sul Pnrr, è scontro tra Meloni e Draghi

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Si consuma sul Pnrr lo scontro a distanza tra Giorgia Meloni e Mario Draghi. Il primo. Ritardi “evidenti” e “difficili da recuperare” va all’attacco la leader di Fdi. Nessun “ritardo” e, anzi, una tabella di marcia pure piu’ rapida di quanto preventivato, proprio per agevolare il governo che verra’, risponde indirettamente il premier. Dopo che finora, dalla guerra in Ucraina alla postura da mantenere in Ue nella battaglia sul tetto al prezzo del gas, tra i due si era registrata una sintonia, anche nell’uso delle parole, sotto osservazione nel centrodestra per il rischio – anche in vista della formazione della squadra – di una deriva troppo “filo-draghiana”. La leader di Fdi, che gia’ nei giorni scorsi aveva negato qualsiasi “inciucio”, prova a smarcarsi dalle accuse di essere troppo vicina a Draghi e piazza il suo affondo contro uno dei simboli dell’esecutivo delle larghe intese, quel Piano da 200 miliardi nato contro la pandemia che ora, e’ la linea, non basta cosi’ com’e’ per arginare la nuova crisi energetica. Andra’ “attualizzato”, e’ l’obiettivo di fondo Fdi, per renderlo piu’ vicino alle esigenze di oggi che sono quelle della diversificazione delle fonti di energia e della protezione di famiglie e imprese dai rincari delle bollette. Le regole Ue lo prevedono. E se un aggiornamento non fosse consentito, e’ il ragionamento che si fa a via della Scrofa, non sara’ certo per colpa del governo di centrodestra. E andra’ spiegato agli italiani. Intanto ci sono ritardi “evidenti e difficili da recuperare” attacca Meloni e, mette le mani avanti, “siamo consapevoli che sara’ una mancanza che non dipende da noi ma che a noi verra’ attribuita”. L’uscita – non a caso secondo piu’ di un osservatore – arriva proprio nel giorno in cui il premier uscente riunisce tutti i ministri per fare un punto sull’attuazione del Piano. “Nessun ritardo” dice a chiare lettere Draghi rispondendo indirettamente alla leader di Fdi in cabina di regia, convocata per inviare, tra gli ultimi atti del suo governo, la relazione al Parlamento sul Pnrr. Anche perche’, e’ l’osservazione puntuta del premier, altrimenti “la Commissione non verserebbe i soldi”. Come invece ha fatto finora, staccando i primi due assegni da 45,9 miliardi e come fara’ a breve, con i 21 miliardi della terza tranche per i quali c’e’ gia’ stato un primo via libera informale. Il piano non solo e’ nei tempi ma entro ottobre si chiuderanno 29 su 55 obiettivi del secondo semestre 2022, dice con orgoglio Draghi ai suoi ministri, cui ha chiesto di agevolare quella “transizione ordinata” citata spesso anche dalla leader di Fdi per giustificare i contatti con il governo uscente. Il governo, assicura Draghi, ha predisposto tutti gli strumenti per attuare il piano: sono state stanziate risorse contro il caro-materiali, ci sono i presidi anti-mafia, le strutture di supporto tecnico per i ministeri e per gli enti locali, meccanismi di controllo. Ora che “la prima fase si sta esaurendo”, quella del “disegno e dell’approvazione delle riforme” e dell’assegnazione delle risorse per gli investimenti bisogna “spendere bene”, in modo “trasparente” e “nei tempi”. Ma e’ proprio l’attuazione concreta del Piano a preoccupare non poco Meloni. Perche’ finora i target erano di cornice ma adesso bisogna fare partire effettivamente i cantieri, costruire le infrastrutture e i lavori, ripetono da Fdi, per ammissione dello stesso Daniele Franco, stanno andando a rilento soprattutto a causa del caro-materiali (anche se questo non ha impedito, finora, di raggiungere i target semestrali concordati con Bruxelles). E il Pnrr, e’ consapevole la premier in pectore, sara’ il vero banco di prova per il futuro governo. Insieme alla manovra. Anche per la legge di Bilancio i tempi stringono e Draghi e Franco potrebbero intanto presentare gia’ la prossima settimana il Documento programmatico di Bilancio, rispettando la scadenza Ue di meta’ ottobre ma indicando solo le spese indifferibili. In attesa che si compia la transizione, e che il prossimo governo compia le scelte di politica economica.

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Ritardi Pnrr, la denuncia della Corte dei Conti: spesi solo gli spiccioli, alcuni progetti irrealizzabili

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Nel semestre in corso l’avanzamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) “impone ulteriori 27 obiettivi europei”. Di questi, solo un target quantitativo risulta allo stato come gia’ conseguito. E’ quanto emerge dalla relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) della Corte dei conti, presentata oggi alla Camera dei deputati. Secondo la Corte dei conti, “nel corso del primo semestre 2023, il quadro degli obiettivi da conseguire comprende anche ulteriori 54 scadenze nazionali”.

La Corte, inoltre, ricorda come “risultano tutti conseguiti i 55 obiettivi del secondo semestre 2022. In esito a tale avanzamento, 38 iniziative hanno esaurito gli obiettivi europei per le stesse fissati”. Queste 38 misure “non possono naturalmente considerarsi ultimate, in quanto le stesse potrebbero necessitare di step realizzativi ulteriori, rispetto agli obiettivi concordati in sede europea”. Proprio per accelerare sulla realizzazione delle tappe previste dal Pnrr, si riunisce oggi la cabina di regia del governo. Infatti, l’Italia e’ ancora in attesa dell’esborso della terza rata dei fondi del Piano, dal valore di circa 19 miliardi, inizialmente prevista per fine febbraio e ora slittata a fine aprile. In quel lasso temporale, tra l’altro, l’Italia e’ chiamata anche a presentare il progetto di revisione degli investimenti alla luce del RepowerEu.

Nella sua relazione, la Corte evidenzia che le modalita’ di reclutamento del personale dedicato al Pnrr “con formule non stabili hanno fatto emergere non poche difficolta’, per le amministrazioni, nel garantire la continuita’ operativa delle strutture che, al contrario, necessiterebbero di un quadro di risorse certo per tutto l’orizzonte temporale del Piano”. Nei primi due anni di attuazione, il Pnrr e’ stato oggetto di revisione nella programmazione delle risorse, ferma restandone la dimensione finanziaria complessiva.

“Rispetto alle previsioni iniziali, la nuova pianificazione – gia’ annunciata dal governo nella Nadef 2022 – contempla una traslazione in avanti delle spese originariamente assegnate al triennio 2020-2022, per oltre 20 miliardi complessivi. Il recupero nel trend di spesa avra’ luogo a partire dal 2023, esercizio nel quale e’ prevista un’accelerazione – rispetto al quadro iniziale – di oltre 5 miliardi; al termine dell’anno in corso, nonostante il recupero, il livello della spesa cumulata dovrebbe rimanere inferiore di quasi 15 miliardi, rispetto al quadro finanziario iniziale”. Nel biennio 2024-2025 “e’ stimato il picco di spesa, con valori annuali che supereranno i 45 miliardi”.

Sulla riorganizzazione delle strutture deputate al Pnrr, la Corte segnala che “non puo’ al riguardo non rilevarsi come l’importante azione di riorganizzazione richiedera’ un’attuazione senza soluzione di continuita’ con gli attuali moduli organizzativi; cio’ al fine di evitare che la fase di avvio delle nuove strutture sia caratterizzata da tempistiche e difficolta’ simili a quelle gia’ segnalate con riferimento alla costituzione delle attuali Unita’ di missione, con conseguenti rischi di rallentamenti nell’azione amministrativa proprio nel momento centrale della messa in opera di investimenti e riforme”.

A febbraio 2023 ammontano a 4,8 miliardi i fondi che le amministrazioni centrali titolari di interventi hanno trasferito ai soggetti attuatori o ai realizzatori delle specifiche iniziative di spesa. Si tratta – osserva la Corte dei conti – di circa il 70 per cento di quanto ricevuto in disponibilita’ (7 miliardi) dai conti centrali su cui transitano le somme del Fondo di rotazione Next Generation Eu-Italia.

Secondo il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, la relazione della Corte dei conti “ci offre un solido quadro di informazioni sull’attuazione del programma di spesa”. Il Pnrr “costituisce un’opportunita’ straordinaria per avviare quel processo di ammodernamento del Paese da tempo atteso e per superare i divari territoriali e generazionali che ne ostacolano lo sviluppo e la crescita”. Lo ha dichiarato il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, in occasione della presentazione della relazione semestrale 2023 sul Pnrr della Corte dei conti alla Camera dei deputati. In occasione della presentazione della relazione alla Camera dei deputati, e’ intervenuto il presidente della Cortedei Conti, Guido Carlino, sottolineando che la visione d’insieme sul grado di realizzazione degli obiettivi prefissati dal Pnrr permette al legislatore di “individuare le migliori leve da azionare al fine di indirizzare l’economia verso un percorso di crescita, capace di arginare le disparita’ e di creare nuove opportunita’ per il nostro tempo e per il futuro”.

La relazione sul Pnrr della Corte dei conti “conferma quanto diciamo da tempo, cioe’ che i Comuni sul Pnrr hanno fatto sin qui in pieno la propria parte, producendo uno sforzo straordinario”, ha dichiarato il presidente dell’Anci, Antonio Decaro. “Nonostante la cronica mancanza di personale e le tante difficolta’ di partenza, i Comuni hanno risposto ai bandi entro i termini stabiliti e anzi hanno presentato progetti per una cifra doppia rispetto a quella disponibile con il Pnrr: cioe’ per 80 miliardi di euro, contro i 40 assegnati”, ha aggiunto il presidente Anci, ricordando che “i Comuni sono destinatari di circa 40 miliardi sui circa 200 che compongono il Pnrr, quindi circa il 20 per cento del totale”.

Decaro ha poi invitato a “stare lontani da polemiche e dalla tentazione di risolvere tutto con il gioco dello scaricabarile. Se vogliamo smentire la convinzione diffusa che la capacita’ di spesa sia un grande e irrisolto problema italiano, allora bisogna fare squadra e accettare una comune assunzione di responsabilita’”. Il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, ha avvertito che alcuni interventi “da qui a giugno 2026 non possono essere realizzati. L’orizzonte temporale di questo governo porta a fare una valutazione su come recuperare le risorse di quei progetti che non hanno una capacita’ realizzativa entro il 2026”. “Abbiamo questa opportunita’ ma non e’ per sempre”, ha aggiunto Fitto, sottolineando l’importanza di “valutare in modo oggettivo la necessita’ di modificare alcuni obiettivi e di cambiare una situazione che in alcuni casi ci porta a non spendere le risorse”.

Per Fitto e’ evidente che per una programmazione di 220 miliardi di euro “e’ necessario mettere in campo scelte strutturate”. Questo governo, secondo il ministro, non si pone il problema della scadenza immediata, ma di quello che accadra’ al 30 giugno 2026. La sfida “e’ da far tremare i polsi, ma posso sottolineare la determinazione, la convinzione e la voglia di riuscire in questo obiettivo da parte del governo”, ha concluso.

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Barelli capogruppo, partita Fi per nuovo governo in Ue

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Poco più di un’ora e quattro interventi per ratificare una decisione già presa. Paolo Barelli è il nuovo capogruppo di Forza Italia alla Camera. L’assemblea dei deputati azzurri lo ha eletto per acclamazione, “su indicazione di Silvio Berlusconi”. Prende il posto di Alessandro Cattaneo, già nominato vice-coordinatore del partito. “C’è unanimità”, ha dichiarato il neoeletto lasciando Montecitorio.

“Serviva un bomber e il fisico c’è”, ha aggiunto ironico. A chi attribuisce la riorganizzazione del partito a un cambio di rotta politica, risponde la capogruppo Ronzulli, che ha appena lasciato il ruolo di coordinatrice in Lombardia. “Trovo enorme – ha detto – che si parli di riequilibrio o di cambio di linea”. Chi ha partecipato alla riunione nel Palazzo dei Gruppi a Montecitorio, racconta “un incontro schietto, dove non ci si è lasciati con l’amaro in bocca”. Ha aperto Cattaneo con un “discorso di piena dignità” in cui non ha rinunciato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Ripercorrendo il suo cursus honorum, ha aggiunto: “io non sono mai andato via dal partito”. Frase che alcuni leggono come una stoccata indiretta verso chi ha preso la guida degli azzurri in Lombardia. Dopo di lui, sono intervenuti Barelli, il ministro Tajani e il vicepresidente della Camera Mulè, che ha ribadito l’importanza per FI di “conservare la propria identità”.

Al termine della riunione, Forza Italia fa sapere con un nota che l’elezione di Barelli “rientra nell’ottica di una rinnovata riorganizzazione del gruppo”. A chi ha chiesto chiarimenti sui mal di pancia che nei giorni scorsi hanno attraversato i parlamentari azzurri, il nuovo capogruppo ha risposto: “non c’è nessun malumore”.

“Il presidente Berlusconi – ha aggiunto – è uno stratega non solo in politica, ma anche nello sport: è giusto che i giocatori possano cambiare ruolo”. Ai cronisti che chiedevano se il cambio avesse l’obiettivo di ridimensionare Ronzulli, Barelli ha replicato: “c’è addirittura la possibilità di new entry nel gruppo della Camera, non c’è nulla da ridimensionare”. Sul punto è intervenuta la stessa Ronzulli, secondo cui sono false le ricostruzioni che attribuiscono il cambio alla guida del gruppo a “un riequilibrio di FI sulla Lega, piuttosto che su Giorgia Meloni”.

Eppure, tra alcuni deputati, la sostituzione di Cattaneo continua a essere vista come “una destituzione”. “In questo dualismo interno – commenta qualcuno in Transatlantico – hanno vinto coloro che volevano ridimensionare la Ronzulli”. Anche dalle parti di chi è dispiaciuto per la partenza di Cattaneo, però, si pensa che l’arrivo di Barelli possa portare “una sinergia tra parlamentari e governo che si era affievolita”. Sinergia ribadita dallo stesso eletto. Barelli ha chiarito che l’obiettivo ora è quello di ricompattare il partito in vista delle elezioni.

“Nel dna di Fi – ha detto – ci sono tutti quegli ingredienti per far sì che le forze di governo arrivino alle elezioni europee, magari anche individuando una forma di governo dell’Europa che sia maggiormente timbrata centrodestra”. Europeismo e atlantismo, dunque, come chiavi per consolidare l’appoggio al governo Meloni e aprire alla futura allenza con i conservatori in Ue. A fine giornata, c’è almeno una cosa che mette tutti d’accordo. “Forza Italia non dipende dai singoli parlamentati ma dalla volontà di Silvio Berlusconi”, dice il nuovo capogruppo. “La linea da noi la dà una sola persona”, ribadisce Ronzulli. Che spiega: “ho chiesto io al presidente di lasciare il ruolo di coordinatrice, fare il capogruppo è un impegno gravoso”.

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In 4 proposte i ‘due forni’ di Calenda

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Il leader del Terzo Polo, Carlo Calenda, rilancia. E punta tutto sui contenuti. Rivolgendosi sia alla maggioranza, sia alle opposizioni. Nel momento in cui il Pd è impegnato a dar forma alla nuova squadra di Elly Schlein e il presidente del M5S Giuseppe Conte continua ad alzare il tiro contro il governo, Calenda prova a sparigliare, tentando di accreditarsi sempre più come uomo del fare. Così, quasi in contemporanea con l’elezione dei capigruppo Dem, convoca una conferenza stampa per presentare 4 proposte di legge che distingue in ‘due per l’opposizione e due per la maggioranza’. Declinate alla stampa con tanto di schede ‘powerPoint’. Perché lui dice di essere “preoccupato per un dibattito politico fatto solo di commenti”, mentre “si perdono di vista le proposte politiche”. E il ‘rilancio’ della sua politica dei ‘due forni’ parte dal salario minimo. Un tema che dovrebbe unire le opposizioni, come detto durante il confronto al congresso della Cgil e che invece Calenda tratta evidenziando i distinguo. Prima di tutto, osserva che “sul salario minimo le proposte di Pd e M5s sono antitetiche e inconciliabili” mentre quella del Terzo Polo rappresenta “una sintesi”, “una piattaforma dalla quale partire”.

“Basta ciance su campi larghi e alleanze – incalza il leader di Azione – perché non ci sono elezioni. Alle opposizioni dico di non fare un teatrino come alla Cgil. Non chiudiamoci in una stanza per discutere di alleanze, ma per parlare insieme nel dettaglio di temi su cui si possono fare battaglie comuni”. In concreto, l’idea è quella di fissare “un salario minimo di 9 euro l’ora che deve essere comprensivo, oltre che della tredicesima e del TFR, anche del cosiddetto “salario differito” e degli eventuali benefit accessori”. Ma si propone anche di concedere “12 mesi alle parti sociali per definire nuovi Ccnl per i lavoratori attualmente scoperti e per adeguare al nuovo salario minimo i corrispettivi economici definiti nei Ccnl vigenti”. Senza contare l’azzeramento delle imposte sui premi di produttività fino a 6.000 euro annui e la detassazione degli aumenti salariali che derivano dalla contrattazione di secondo livello. Ma se l’atteggiamento del M5S, incalza Calenda, “è quello di prendere o lasciare, non se ne discute”. Poi, all’opposizione, Calenda propone anche un intervento che punti ad azzerare le liste d’attesa nella sanità. Mentre i temi che sottopone alla maggioranza riguardano “il ripristino di Impresa 4.0 e la reintroduzione di Casa Italia”. Di Impresa 4.0, spiega Calenda, “ne ho già parlato con Meloni e mi pare di capire che condivida l’approccio”.

La proposta è di ripristinarla usando i fondi del Pnrr per il 2023-2024. Si ripunta sull’iper ammortamento (250%) per i beni strumentali innovativi e sul super ammortamento (130%) per i beni strumentali nuovi. Oltre a estendere gli incentivi per i beni tecnologicamente avanzati agli investimenti per la transizione ecologica. Si vuole potenziare il credito di imposta per ricerca e sviluppo e reintrodurre il credito “formazione 4.0”. Per quanto riguarda ‘Casa Italia’, si punta a ricostituire il dipartimento con la struttura di missione Italia Sicura contro il rischio idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche e la lotta alla siccità.

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