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Rezza ai pm, ‘indecisione sulla zona rossa ma serviva

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“Mi sembrava che il Presidente del Consiglio non fosse convinto e avesse bisogno di un forte supporto per convincersi della opportunità di istituire la zona rossa” e il 6 marzo “uscii da quella riunione con l’idea che ci fosse indecisione. La mia fissazione restava la necessità” di una misura più restrittiva per Nembro e Alzano Lombardo. A raccontare di quei giorni in cui, nei palazzi romani, all’ordine del giorno degli incontri tra i tecnici del ministero, Cts e Protezione Civile, si era imposta la questione della Val Seriana, con i morti di Covid che si moltiplicavano e un quatro da “catastrofe” è Giovanni Rezza, direttore Prevenzione del Ministero della Salute ed ex direttore Malattie infettive dell’Iss. Sentito come testimone dai pm bergamaschi il 18 giugno 2020, ha raccontato che già a metà gennaio, ai “tempi dell’epidemia a Wuhan”, Speranza “era preoccupato” e “diceva spesso di ‘cercare di stare un passo avanti rispetto agli altri paesi europei'”.

Sulla situazione di Alzano e Nembro ha spiegato di aver “visto una mappa” sulla diffusione del contagio ai “primi di marzo” e di aver “ritenuto che fosse necessario separare questi due comuni da Bergamo; la zona rossa avrebbe “salvaguardato” la città e al contempo avrebbe “rallentato” il contagio nelle due cittadine. Quanto a Speranza “è sempre stato favorevole all’adozione di provvedimenti restrittivi; anche in Regione Lombardia mi sembrava vi fosse adesione”, ma “il Presidente del Consiglio” è parso “dubbioso; ho avuto l’impressione che volesse elevare il livello del controllo all’intera regione”. Inoltre gli pareva “titubante” anche per un altro motivo: “non distogliere le forze” dell’ordine “da altre attività di rilievo” come la lotta al terrorismo. Forze dell’ordine ed Esercito che l’allora ministro dell’interno Luciana Lamorgese, il 6 marzo, mandò nella zona per una attività programmata. Ma Conte “non sapeva” dell’invio di uomini, ha precisato nella sua testimonianza davanti ai magistrati, “proprio perché in quel periodo il fine era di natura preventiva e ricognitiva”, e “ove ci fosse stato un Dpcm di ‘cinturazione'” sarebbe stato informato. Una iniziativa quella del numero uno del Viminale dell’epoca che aveva sorpreso, come lui stesso aveva messo a verbale nel maggio di tre anni fa, il Governatore della Lombardia Attilio Fontana.

“Mi sono stupito” poichè “dopo non si è più fatta la zona rossa”. Questa incertezza su quali misure prendere in Val Seriana – la cui situazione, come ha detto ai pm Giuseppe Ruocco, allora segretario generale del ministero della Salute, il Cts già sapeva l’1 o il 2 marzo – è un altro degli aspetti sintomatici del caos in cui è piombato il ‘sistema’ travolto da quella che è stata definita “un’onda anomala, uno tsunami” e per cui ora nell’inchiesta di Bergamo sono indagate 19 persone tra cui Conte, Speranza e Fontana. “Vi era un piano pandemico vecchio e bisognerà far luce su come e se è stato attuato – ha commentato stamane l’ex viceministro della Salute Pierpaolo Sileri-. Se ci sono state omissioni verranno fuori. Sicuramente qualche problemino c’era ed era un problema di alcuni vertici del ministero che probabilmente negli anni non avevano provveduto ad aggiornare ciò che era un atto dovuto”. A testimoniare quanto in nostro Paese fosse “impreparato” e “indeguato” a gestire la pandemia c’è anche lo sfogo di Andrea Urbani ex direttore della programmazione del Ministero e tra gli indagati.

“Ci sono tante cose da fare, ma noi siamo totalmente destrutturati al ministero. Direzioni deboli e incompetenti e assenza di seconde linee. – scriveva l’8 aprile a Goffredo Zaccardi, capo di gabinetto di Lungotevere Ripa -. L’assenza della prevenzione in questa vicenda è assordante, io non riesco a fare tutto. Per favore datemi persone intelligenti e capaci”. E questo mentre dopo il caso di Paziente 1 e la chiusura dei 10 comuni del Lodigiano “all’estero si pensava che l’Italia stesse ‘iper-reagendo’ rispetto alla situazione”, aveva raccontato ai magistrati Walter Ricciardi all’epoca consigliere dell’allora ministro Roberto Speranza. Intanto le parole del microbiologo Andrea Crisanti, senatore del pd e consulente della procura e da qualche giorno onnipresente su stampa e in tv, stanno sollevando polemiche. “Mi hanno molto indignato, più che darmi fastidio. – ha criticato Fontana – Mi ha indignato che pretenda che teorie, frutto di sue valutazioni del tutto personali, debbano diventare oggetto addirittura di un processo”. Si tratta di “illazioni, assolutamente rispettabili” ma “di uno che, come l’aveva definito Palù”, il presidente dell’Aifa, “è un microbiologo esperto di insetti”.

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Covid: in Italia 188.750 vittime in tre anni

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Curve Covid stabili. Verso l'estate senza mascherine

Sono 188.750 le vittime del Covid registrate in Italia al 16 marzo, a poco più di tre anni dall’inizio della pandemia, mentre i contagi sono stati 25.651.205. Nel mondo, invece, secondo l’Oms, ci sono quasi sette milioni di decessi segnalati per Covid-19, “anche se sappiamo – ha affermato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus – che il numero effettivo di decessi è molto più alto”. Questi i dati che fanno da sfondo alla Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, proclamata per il 18 marzo. Per l’Oms la fine della pandemia appare finalmente prossima, e si è detta “fiduciosa che l’emergenza internazionale possa terminare entro l’anno, ed il virus Sars-CoV-2 diventerà paragonabile a quelli dell’influenza stagionale”. Tornando ai dati italiani, colpiscono anche quelli sugli operatori sanitari, a cui è stata dedicata la Giornata nazionale lo scorso 20 febbraio. Hanno perso la vita, come ha ricordato in quell’occasione il presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, 379 medici e, secondo il sindacato Nursing Up, 90 infermieri. “Nei primi mesi di pandemia – aveva sottolineato Anelli – circa 60-80 medici morivano ogni mese. Metà dei decessi sono stati sul territorio, dove erano soli senza dispositivi di protezione e con mille difficoltà”. La situazione allora era ben diversa da quella attuale, dove, secondo i dati del ministero della Salute, continua a diminuire in Italia il numero dei nuovi casi e dei decessi per Covid-19. Nella settimana 10-16 marzo 2023 sono infatti 23.730 i nuovi casi positivi, con una variazione di -1,1% rispetto alla settimana precedente, mentre i deceduti sono 212 con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente. L’impatto clinico appare essere molto basso.

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Vaccini: studio, risposta più debole se si dorme poco

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Covid vaccino

Le persone che dormono meno di sei ore a notte hanno una peggiore risposta alle vaccinazioni, con una minore produzione di anticorpi e una protezione più breve. È quanto emerge da una ricerca coordinata dall’University of Chicago e pubblicata su Current Biology. La ricerca ha analizzato congiuntamente quattro studi che avevano indagato la relazione tra sonno ed efficacia della vaccinazione contro epatite B o influenza. Dall’analisi dei dati è emerso che chi aveva una durata del sonno inferiore alle 6 ore aveva una risposta alla vaccinazione più debole di circa il 20% rispetto a chi dormiva di più. “Un buon sonno non solo amplifica, ma può anche prolungare la durata della protezione del vaccino”, ha affermato in una nota Eve Van Cauter, coordinatrice della ricerca. L’effetto del sonno, tuttavia, è stato osservato soprattutto nei maschi, mentre nelle donne era più sfumato. La ragione di questa differenza di genere, spiegano i ricercatori, potrebbe essere legata agli ormoni. “Sappiamo dagli studi di immunologia che gli ormoni sessuali influenzano il sistema immunitario – ha aggiunto Van Cauter – Nelle donne, l’immunità è influenzata dallo stato del ciclo mestruale, dall’uso di contraccettivi, dalla menopausa e dallo stato post-menopausa, ma sfortunatamente nessuno degli studi che abbiamo riassunto aveva dati sui livelli di ormoni sessuali”.

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Inchiesta Covid: Iss, mai chiesti 750 euro a tampone

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L’Istituto superiore di Sanita’ difende il proprio vertice dall’accusa di truffa nei confronti del presidente Silvio Brusaferro per la vicenda dei cosiddetti ‘tamponi d’oro’, test da 3 euro che, secondo l’accusa stralciata a Bergamo e trasmessa a Roma per competenza, erano costati circa 750 l’uno. L’Istituto ha fatto sapere di non avere “mai chiesto” questa cifra e “di non avere mai ricevuto la somma prevista dall’articolo 6 dell’Ordinanze OCBPC n 640/2020, prevista tra l’altro anche per coprire i costi della sorveglianza”.

Nella prima fase l’Istituto “con proprie risorse ordinarie ha processato oltre 5.000 campioni di cui 3.000 provenienti dalla sola Lombardia e non gli 800 di cui si parla” nelle notizie uscite riguardo le indagini. L’istituto ha anche voluto precisare che “i costi effettivamente sostenuti nella prima fase della pandemia comprendono materiali per l’esecuzione dei test, dispositivi di protezione individuale per il personale addetto, materiale monouso e potenziamento dei macchinari” e che in una prima fase della pandemia non esistevano test commerciali e venivano quindi realizzati con protocolli in house sviluppati in aderenza a quelli previsti dall’OMS. Fuori dall’inchiesta arrivano invece i calcoli di Giovanni Sebastiani, dell’istituto per le Applicazioni del Calcolo ‘M.Picone’, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). L’attuazione di una zona rossa nella provincia di Bergamo avrebbe ridotto, dal primo marzo al 30 aprile 2020, il numero di decessi di circa 4.500 unità, indicano le analisi a posteriori dei dati dell’epidemia di Covid-19 in quel periodo di tempo.

Una cifra che si avvicina fortemente ai 4 mila morti evitabili calcolati nella perizia di Crisanti. Dopo la lettera sottoscritta solo pochi giorni fa dai 37 direttori dei dipartimenti dell’Istituto Superiore di Sanita’, oggi e’ arrivato anche dal neo Cda dell’Istituto un documento di sostegno nei confronti del presidente Giuseppe Brusaferro. Francesca Cirulli, Claudio Borghi, Luigi Genesio Icardi e Giovanni Zotta, componenti del nuovo Consiglio di amministrazione insediato lo scorso febbraio esprimono il pieno sostegno umano e professionale al presidente.

“Questo perché sin da prima del nostro ingresso in Istituto, in tutte le occasioni in cui ti abbiamo incontrato, abbiamo potuto apprezzare, che il rigore scientifico e l’onestà, sono state le caratteristiche che ti hanno sempre contraddistinto Siamo certi che la vicenda giudiziaria che ti ha coinvolto renderà giustizia alla correttezza del tuo operato e anche alla generosità con cui in quei mesi ti sei adoperato, lontano dalla tua famiglia, e incondizionatamente, per il nostro Paese. Abbiamo potuto, inoltre, apprezzare nella nostra prima e unica riunione la visione scaturita dal programma di attività che ci hai presentato per i prossimi tre anni e che testimonia la capacità di immaginare un istituto al fianco della sanità pubblica, diverso da quello prepandemico, forte e incisivo nelle strategie di tutela della salute di tutti. Siamo quindi onorati di far parte di questo progetto e ci auguriamo di poterlo realizzare insieme, ringraziandoti di averlo maturato in tempi così difficili con il contributo di tutto l’istituto. Infine, ci fa piacere ricordare una frase di Seneca, ‘è nella tempesta che conosciamo il navigatore'”.

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