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Economia

Rete unica, via libera del governo a società Tim-Cdp ma Sky fa pressing sul ministero dello Sviluppo

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Il progetto Rete Unica, proposto da Tim e Cdp non solo trova l’appoggio del Governo, che lo ha visto nascere, ma anche dei capogruppo della maggioranza. Dall’opposizione poi la Lega converge. Il progetto intanto si consolida e, mentre si lavora alla stesura del Memorandum tra tecnicalita’ sulla governance e il nodo della valorizzazione dal punto di vista industriale, Tiscali si unisce al co-investimento. Le carte di Enel, che puo’ decidere di aderire al progetto ma ha anche una valida ‘exit strategy’ rappresentata dall’offerta del fondo Macquarie, sono ancora coperte. Enel potrebbe scegliere la strada di una trattativa in esclusiva ma anche aprire una gara, si e’ infatti affacciato alla finestra anche il fondo di investimento sovrano del Kuwait e lo stesso fondo Kkr aveva inizialmente messo in conto di potersi impegnare in un’offerta per Open Fiber. Il tentativo di ‘chiamata alle armi’ di Bassanini (“tutti gli Olo investano in Open Fiber”) sembra fallito: per ora la collaborazione sara’ commerciale, migreranno i clienti cosi’ come avra’ la possibilita’ di attivare sulla rete di nuova costituzione una quota significativa dei propri accessi. Ma verra’ poi verificata la possibilita’, tra i paletti delle Authority e quelli di eventuali patti parasociali, di un ingresso di Tiscali nell’azionariato di FiberCop attraverso il conferimento di ramo d’azienda. Il nodo politico appare invece sciolto. “La rete unica e’ un importante passo avanti verso un progetto strategico al centro del programma di Governo”, ha commentato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri mentre il responsabile dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ha puntualizzato che il “percorso dovra’ essere oggetto di monitoraggio costante affinche’ si raggiunga l’obiettivo finale: colmare il gap infrastrutturale del nostro Paese. Sull’importanza di “vigilare” insiste anche Paola Pisano, ministro per l’Innovazione che parla di un percorso ancora “lungo e complesso” e chiede di includere nel progetto non solo la rete ma “anche a 5G, cloud e tutte le tecnologie necessarie a sviluppare l’economia dei servizi digitali”. I tre ministri hanno partecipato con il premier Conte al vertice che ha dato il via libera ‘unanime’ al percorso e che ha visto anche i ministri Bonafede, Franceschini e Speranza, oltre ai capigruppo Andrea Orlando e Luigi Marattin. A tutti loro l’ad di Cdp Fabrizio Palermo ha illustrato i contenuti della trattativa i cui contorni ormai sono definiti. Timcontinuera’ a consolidare l’asset in bilancio (detenendo una quota sopra il 50,1%), la governance sara’ bilanciata, con maggioranze rafforzate e qualificate in cda su diversi temi e con poteri di veto alla Cdp su altri e con una rappresentanza condivisa. L’ipotesi e’ quella di un presidente espressione di Cdp e di un ad di Tim, entrambi sottoposti al gradimento reciproco. Gubitosi puo’ dunque andare avanti con il suo piano e lunedi’ il cda potra’ deliberare, forte anche del sostegno dei due azionisti di maggioranza Vivendi ed Elliott a cui piace il progetto di sviluppo di Fibercop. L’ipotesi di una separazione legale della rete con la creazione di una Netco che la valorizzasse e l’integrazione con Open Fiber erano peraltro gia’ presenti nel Trasforming Tim, la strategia che il fondo americano aveva presentato nel 2018 ai tempi della sua battaglia con i francesi per la governance e la loro posizione non e’ cambiata. Davanti a tutto ciò, c’è Sky che prova a mettere i bastoni tra le ruote. Alle 11 c’è un incontro tra il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e i numeri uno di Vodafone Italia, Aldo Bisio, WindTre, Jeffrey Hedberg, e Sky Italia, Maximo Ibarra, sul tema della rete unica dopo il via libera della maggioranza di governo al progetto portato avanti da Tim e Cdp.

Maximo Ibarra. Ceo di Sky Italia che fa incontri più o meno ufficiali con ministri e viceministri Pd e 5S 

La riunione si svolgerà in videoconferenza. Le tre società, in una lettera inviata ai due ministri lo scorso 11 agosto, avevano espresso tutto il loro scetticismo sull’operazione: “E’ del tutto evidente che un progetto che veda un operatore incumbent come Tim in controllo, anche solo diretto o potenziale, dell’unica infrastruttura di rete fissa del Paese implicherebbe una elevatissima incertezza regolamentare, gravi difficolta’ di accesso ai fondi europei, compresi quelli del Recovery fund, e, soprattutto non darebbe nessun incentivo alla realizzazione della rete in fibra in tempi accelerati”, hanno scritto i tre manager nella missiva. Uno dei tre manager, quello di Sky, nelle ultime settimane ha alzato notevolmente il livello di pressione sul governo per ritardare, far saltare o comunque evidenziare quelli che sono a suo parere le debolezze dell’operazione. E nelle settimane scorse ha incontrato ufficialmente ufficiosamente e molto riservatamente elementi di vertice del ministero dello Sviluppo economico.

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Economia

Ponte sullo Stretto, i dubbi del Ministero dell’Ambiente

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Il ministro Matteo Salvini lancia la Conferenza dei servizi sul Ponte sullo Stretto, per avviare entro l’estate i cantieri della sua opera-bandiera. Ma il primo sgambetto gli arriva proprio da un altro ministero, quello dell’Ambiente, guidato da Gilberto Pichetto di Forza Italia. Alla prima riunione della Conferenza dei servizi, che riunisce tutti i soggetti interessati per sveltire le procedure (imprese, Ministeri, enti locali), il Mase ha chiesto alla Società Stretto di Messina S.p.a. ben 239 integrazioni di documenti. Per il ministero, la documentazione presentata dalla concessionaria è superficiale, insufficiente e non aggiornata, e va approfondita su tutti i fronti.

I tecnici della Commissione Via-Vas, quelli che devono fare la valutazione di impatto ambientale dell’opera, in 42 pagine di relazione hanno chiesto nuove informazioni praticamente su ogni aspetto del progetto. Le richieste di integrazione di documenti riguardano la compatibilità coi vincoli ambientali, la valutazione dei costi e benefici, la descrizione di tutti gli interventi previsti, il sistema di cantierizzazione, la gestione delle terre e rocce di scavo. Il Mase chiede dati più approfonditi e aggiornati sul rischio di maremoti, sull’inquinamento dell’aria, sull’impatto del Ponte sull’ambiente marino e di terra e sull’agricoltura, sulle acque, sui rischi di subsidenza e dissesto, sulla flora e sulla fauna, sul rumore e i campi magnetici, sulle aree protette di rilevanza europea Natura 2000. Le associazioni ambientaliste come Wwf e Legambiente e i comitati locali anti-Ponte parlano di “passo falso” e di “farsa”, e ribadiscono “il progetto non sta in piedi”.

Ma sono soprattutto le opposizioni a cavalcare la vicenda. Per Marco Simiani del Pd, “il ministero dell’Ambiente sconfessa clamorosamente Matteo Salvini, bloccando di fatto il progetto”. Proprio il leader della Lega era assente alla Conferenza dei servizi, che si è tenuta al suo ministero delle Infrastrutture. “Dal ministero dell’Ambiente arriva un macigno sul progetto del Ponte sullo Stretto”, commenta il leader Cinquestelle Giuseppe Conte, che parla di “un progetto vecchio, risalente al 2011/2012, pieno di falle sul piano ingegneristico, ambientale, trasportistico e finanziario”. Angelo Bonelli di Avs rincara la dose: “La commissione tecnica Via del Ministero dell’Ambiente ha demolito il progetto definitivo sul ponte. Ma esiste un progetto definitivo? O quello che avete presentato è quello di 15 anni fa, che era stato bocciato nel 2012 dal ministero dell’Ambiente?”. Mentre il Codacons chiede l’intervento della Corte dei Conti, l’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, non si mostra preoccupato per le osservazioni del Mase: “Sono richieste congrue, data l’entità dell’opera. In 30 giorni daremo tutti i chiarimenti richiesti”.

Il ministro Gilberto Pichetto si trova all’improvviso in una posizione scomodissima, con gli uffici del suo ministero che bastonano un progetto che è il cavallo di battaglia di un suo collega. “Con queste istanze abbiamo dato via alla procedura di valutazione di impatto ambientale”, commenta asettico. La richiesta di integrazioni “è atto tipico della prima parte di ogni procedimento di valutazione di impatto ambientale”. Per il Ponte “si è tenuto conto, come di consueto, anche di elementi tratti dai contributi di Ispra e di soggetti non pubblici aventi diritto, per legge, ad esprimersi”. “Le richieste della Commissione Via-Vas del Mase non rappresentato assolutamente una bocciatura del Ponte sullo Stretto, ma sono legittime integrazioni proporzionate ad un progetto enorme – ha commentato Matilde Siracusano, sottosegretario di FI ai Rapporti con il Parlamento – Ho sentito il ministro Pichetto e anche Pietro Ciucci, e non ci sono criticità”.

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Cronache

Superbonus, partiti i primi recuperi sulle compensazioni della truffa miliardaria dei bonus

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Le truffe collegate al Superbonus non sono ancora emerse tutte ma l’attività di contenimento dei danni all’erario è partita. L’Agenzia delle Entrate ha iniziato ad inviare le prime contestazioni per recuperare le somme da chi ha cercato di pagare le imposte con crediti fasulli portati in compensazione. Intanto il Mef cala la scure sui bonus edilizi del passato: agevolazioni senza controlli preventivi non sono più compatibili con il nuovo quadro di norme europee sui conti pubblici. “Sono in corso verifiche fiscali sui crediti oggetto di compensazione, che stanno portando all’emissione di atti di recupero nei confronti dei responsabili”, ha detto il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, al termine dell’audizione sull’ultimo decreto Superbonus in commissione Finanze al Senato.

Sui bonus edilizi, ha spiegato, “abbiamo intercettato insieme alla Guardia di finanza truffe per circa 15 miliardi di euro: di questi, grazie ai nostri controlli preventivi, 6,3 miliardi di euro sono stati individuati e scartati prima che si realizzassero le frodi; 8,6 miliardi sono invece stati oggetto di decreti di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria”. La lotta alle truffe proseguirà, ma la dimensione del fenomeno Superbonus ha spinto il Tesoro a metterci un punto. “Misure agevolative automatiche, senza una preventiva autorizzazione, non sono più compatibili col nuovo quadro di finanza pubblica a seguito delle nuove regole di governance europea”, ha detto il direttore del dipartimento Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, nella stessa aula del Senato da dove Ruffini ha fornito i dati aggiornati sulle frodi, non tutte con ricadute per i contribuenti perché alcune sono state intercettate prima della compensazione. Spalletta ha spiegato che, da ora in poi, gli obiettivi di efficientamento energetico e di miglioramento del rischio sismico “devono tenere conto degli obiettivi di sostenibilità finanziaria nel medio-lungo periodo e della riduzione del debito pubblico sia nelle fasi congiunturali sia in ottica strutturale”.

Il Mef riflette su “una complessiva razionalizzazione delle norme in materia di agevolazioni edilizie”, in vista delle scadenze di fine anno. Non si potrà prescindere – ha spiegato Spalletta – da due lezioni frutto della recente esperienza. La prima, è che gli incentivi fiscali “devono essere congegnati evitando aliquote eccessivamente generose e prevedendo limitazioni più stringenti sui massimali di spesa, per ridurre comportamenti opportunistici ed effetti dirompenti”. La seconda lezione è che i crediti d’imposta dovranno essere “soggetti a procedure preventive di autorizzazione”, per consentire il monitoraggio della spesa e quindi l’impatto sulla finanza pubblica.

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Economia

Sangalli: a rischio target Def, tagliare Irpef e cuneo

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La crescita tiene, ma oltre non va: “Le indicazioni congiunturali non aiutano a tracciare un percorso di ripresa”. Al punto che la conferma per il 2025 del taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef a tre aliquote, ad oggi finanziati solo fino al 2024, è indispensabile anche solo per centrare l’1,2% dello scenario ‘tendenziale’ indicato nel Documento di economia e finanza (Def). A parlare è Confcommercio, organizzatrice del tradizionale Forum che ospita a Villa Miani, in una primavera 2024 segnata da un eccezionale sovrapporsi di rischi geopolitici fra guerra fra Ucraina, Medio Oriente e ripercussioni immediate su benzina e commerci che passano per il Mar Rosso. “Senza alcun pessimismo, devo dire che questo è davvero un problema perché mette a rischio l’obiettivo di crescita per il 2024, che non può scostarsi troppo dall’1%”, dice il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli riferendosi a una crescita 2024 “ancora tutta da costruire”, pur con stime del Def (1%) che non si discostano troppo dallo 0,9% atteso dall’associazione.

Anche la previsione di crescita dell’1,2% per il 2025 nello scenario tendenziale, indicata nel Def, “appare ottimistica”. “Una bella mano” – spiega Sangalli – “potrà arrivare dalla Bce” che Confcommercio invita a dare “un segnale di coraggio”, tagliando i tassi di mezzo punto a giugno, e non di un quarto di punto come atteso. La crescita nel primo trimestre tiene, per il turismo febbraio è stato il miglior mese di sempre e numeri positivi arrivano dall’export (oltre sei miliardi di surplus commerciale a febbraio) e l’inflazione, pur risalita a marzo, è appena all’1,2%. Confcommercio, però, invita a guardare alla produzione industriale ancora debolissima, specie beni di consumo. Ai consumi, appunto, che fanno il 60% del Pil, in netto calo ancora a fine 2023 e che “continuano ad essere deboli”.

E dunque “il Governo usi “tutte le leve possibili, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica”, dice Sangalli. Acceleri investimenti e riforme del Pnrr, e rende strutturale l’intervento sulle aliquote Irpef. “Aspettiamo conferma della riduzione de cuneo contributivo anche per il 2025” e sarebbe “una boccata d’ossigeno” se il governo estendesse la riduzione del carico fiscale al ceto medio. C’è un problema strutturale da affrontare, nello studio introdotto dal responsabile dell’ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella. La forza lavoro in Italia perde ogni anno 100.000 unità di occupati potenziali. Unica soluzione, portare il tasso di partecipazione femminile al lavoro in Italia, pari a al 49,3%, alla media dell’Unione europea (60,2%): “Si avrebbero 2,2 milioni di occupate in più”, dice l’economista. E ancora, la bassa crescita della produttività – +4,2% fra il 1995 e il 2002 contro il +27,8% della Francia e il +19,4% della Germania – per poter far crescere gli stipendi degli italiani, rimasti fermi (+4,2%) contro il +32,4% della Francia e il 24,6% della Germania.

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