Cosa sta accadendo a Napoli?
Qualche giorno fa ho ricevuto la telefonata dei servizi sociali di Secondigliano per l’inserimento di un minore nelle attività dell’Officina delle Culture “Gelsomina Verde”, un minore “a rischio”, o meglio un minore cresciuto in un contesto a rischio, un figlio del vento verso il quale la società civile, le Istituzioni prima di tutto, hanno doveri e obbligo di accoglienza, assistenza, cura e tutela. Un minore, proprio come il piccolo Ugo, morto ammazzato giorni fa in seguito ad una rapina andata male. L’inserimento del minore di Secondigliano non è stato possibile, la struttura deputata ad accoglierlo, a formarlo, a scommettere sul suo futuro, è “abusiva” per volontà politica dell’Amministrazione e le attività educative e formative, sospese.
Insieme al piccolo di Secondigliano altri 25 minori delle famigerate “Case dei Puffi” di Scampia, da sette mesi, si vedono negato il diritto ad un’accoglienza, il diritto ad avere spazi e luoghi protetti scelti da loro e non imposti. T. ha 9 anni, da settembre non può più frequentare i corsi dell’Officina delle Culture “Gelsomina Verde”, l’Amministrazione Comunale è in coma profondo e non dà risposte, quindi T. viene collocato dai servizi sociali competenti in un semiconvitto dalle 8 alle 19, dal lunedì al venerdì, allontanato dal suo mondo e catapultato in una dimensione estranea, non familiare, imposta, non scelta. T. nonostante, la sua giovane età, ha provato per ben 2 volte a scappare, minacciando il suicidio.
Ma dove sono le Istituzioni, la democrazia partecipata, la rivoluzione zapatista, la SPA (società per Amore) decantata dai nostri rappresentanti politici?
Mi chiedo quale sarà il futuro di T. Dovrebbe chiederselo anche il Primo Cittadino della Città che, nelle sue ultime dichiarazioni rilasciate al giornale Identità Insorgenti, alla domanda “quale sarà il futuro dell’Officina Verde?” risponde che la sua “rivoluzione arancione” ha il dovere di tutelare i beni comuni e non i beni ad uso privato. L’Officina un bene ad uso privato?!
E allora lasciate che vi racconti cosa sta accadendo all’Officina delle Culture Gelsomina Verde.
Quattro anni fa il sottoscritto denuncia mediaticamente l’antimafia blasonata, quella che anche a Palazzo San Giacomo era definita “l’Antimafia pigliatutto”. L’antimafia parassita aveva chiesto soldi per le attività che l’associazione (R)esistenza Anticamorra svolgeva sul Fondo confiscato agricolo Amato Lamberti di Chiaiano. Da lì si rompono tutti gli scenari e gli equilibri della grande “rete sociale” che gira intorno alla figura di Ciro Corona. Dopo innumerevoli tentativi mirati a far morire quell’esperienza, l’antimafia borghese si gioca la sua carta vincente. All’improvviso l’associazione “pigliatutto” sforna consulenti per il Comune, assessori, consiglieri, ecc.
Bisogna punire i disobbedienti, gli indomabili, gli inattaccabili. Scaduto il contratto di comodato d’uso dell’Officina delle Culture, l’assessore Alessandra Clemente, con delega ai Giovani, al Patrimonio, alla Polizia Municipale, ecc., nota attivista dell’associazione Libera Campania nella sua “vita precedente”, decide di sferrare il colpo di grazia al “Modello sociale Corona”, iniziando quella che al sottoscritto sembra una vera e propria crociata personale volta a distruggere un modello virtuoso di esperienza dal basso, vincente, esportabile, replicabile ma senza “padroni”. Nel solo mese di ottobre 2019 la Polizia Municipale, effettua controlli, sopralluoghi, visite, ispezioni all’Officina Verde, prova a chiudere il presìdio per mancanza di autorizzazioni, le stesse che l’assessorato non ci concede nonostante le richieste. Controlli per accuse di abuso edilizio, affitto estorto alle associazioni ospitate, costruzione di villa personale del sottoscritto – che in realtà ha la residenza nella struttura perché conviveva con i minori stranieri non accompagnati ospitati e sloggiati per mancanza di rinnovo del comodato – energia elettrica rubata dal contatore, frode, attività illecite, ecc. Le ispezioni ordinate dell’Assessore Clemente terminano con un verbale finale, consegnato alle autorità competenti. Da questo verbale caro Sindaco, se si evincono illeciti è tuo dovere cacciarci dalla struttura, anzi se c’è illecito commesso, il sottoscritto è pronto a lasciare di sua iniziativa la struttura. Se non c’è illecito e di questo ne sono più che sicuro giacchè la forza dell’Officina è la sua trasparenza, allora rispetta l’operato delle forze dell’ordine, della Polizia giudiziaria. Sei un uomo di Legge, un Magistrato. Nel mentre, ricordiamoci che i ragazzi stanno per strada, attendono la riapertura della loro casa, le attività, attendono di riprendere i percorsi interrotti, mentre lavorate per le vostre carriere politiche ricordatevi che la Città soffre la vostra distrazione, che il Lotto P cade a pezzi, San Pietro, San Giovanni, Barra, Miano, sono pezzi di questa Città. Le scorse elezioni la vostra forza politica si è dimezzata in tutti i seggi di Scampia, avete avuto un solo seggio vincente. Pensate che le persone, solo perché abitanti in periferia non abbiano sete di diritti e non riconoscano le speculazioni politiche?
Caro Sindaco e cara assessora Clemente, deputata tra l’altro ad essere candidata sindaco alle prossime elezioni, non c’è più tempo. T., Ugo, il minore di Secondigliano sono solo la punta di un iceberg, il segnale dirompente di un fallimento delle politiche giovanili e della vostra attenzione sulla Città. Non è più tempo di aspettare, date spazio ai presìdi territoriali, valorizzateli, supportateli, senza tornaconti politici. Ben presto ci ritroveremo sommersi da una nuova ondata di sdegno per la storia del prossimo rapinatore, voi potete cambiare la storia, dovete solo sceglierlo.
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Quello che abbiamo letto è un atto di accusa durissimo. Nero su bianco. Non chiacchierologia ma citazioni di nomi, fatti, eventi, sentimenti, risentimenti, sogni, bisogni. È anche un grido di dolore di chi da anni, Ciro Corona, anche quando i rapporti tra (R)esistenza Anticamorra e l’assessore Alessandra Clemente erano eccellenti (ne sono testimone), si faceva (e si fa) in quattro per tenere in piedi una bella esperienza di impegno antimafia in un territorio difficile. Siamo a Scampia, non nelle Vele di Lugano. Non giudico mai nessuno da quando faccio questa professione, né ritengo sia compito di un giornalista distribuire torti o ragioni. Quello che avete letto è quanto scrive Ciro Corona. Che se ne assume la responsabilità. Non importa ch’io sia d’accordo o meno. Quello che lui dice è importante e Juorno nasce come spazio di libertà, aperto a tutti. Certe accuse a quella che Corona definisce “l’antimafia borghese” sono pesanti. Molto pesanti. E sono più o meno sempre le stesse da mesi. Forse le Istituzioni, il Comune, il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, il suo assessore, Alessandra Clemente, dovrebbero dare risposte. Se non a Corona, almeno a chi ha creduto nella esperienza e nell’attivismo di Corona. Se non a Corona, ch’io ricordavo “ mico” e stimato dall’Amministrazione Comunale, a quanti in quella struttura trovano una occasione di uscita dalla mala vita. Perchè grazie a Corona ci sono detenuti che lavorano fuori dal carcere. Bambini che fanno doposcuola e non stanno per strada. Ci sono sale di lettura dove prima c’erano piazze di spaccio di droga e mille altre inziative che il Comune conosce bene anche perchè ha concorso alla loro realizzazione. Se quella esperienza civica è degenerata in un modello criminale, la si chiuda e si denunci Corona. Se c’è da sistemare cartuscelle e burocrazia, lo si faccia. Ma se questo benedetto Corona ha ragione, si chiuda con questa polemica e si consenta a chi crede in questo modello di civismo a Scampia di andare avanti. Altrimenti è complicato aprire la bocca quando un ragazzino di 15 anni viene ucciso mentre prova a rapinare un carabiniere. Se il sindaco Luigi de Magistris (che stimo) o l’assessore Alessandra Clemente (che conosco) lo ritengono, Juorno è aperto a ogni loro considerazione, spiegazione, commento. Perché i l dibattito, anche duro, quando è civile, è un fattore di crescita della nostra comunità
Caso Garlasco, nuovo capitolo a Brescia: Venditti contro i pm, “grave scorrettezza” per la loro assenza in udienza
Nuovo scontro giudiziario sul caso Garlasco. A Brescia Mario Venditti attacca i pm per la loro assenza all’udienza del Riesame: “Grave scorrettezza”. Restano i dubbi sui soldi ricevuti dagli avvocati di Sempio.
L’ultimo round del caso Garlasco si è consumato davanti al tribunale del Riesame di Brescia, dove si sono presentati l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, i suoi legali e quelli dei carabinieri Giuseppe Spoto e Silvio Sapone. Assente invece il pubblico ministero che accusa Venditti di corruzione, per aver favorito nel 2017 l’archiviazione di Andrea Sempio, oggi a sua volta imputato per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007.
La mancata presenza del pm, seppure non obbligatoria, ha alimentato nuove polemiche in un’inchiesta che da anni continua a generare scontri, veleni e recriminazioni.
“Atteggiamento farisaico dei pubblici ministeri”
“Abbiamo solo preso atto di un atteggiamento farisaico dei pubblici ministeri”, ha commentato l’avvocato Domenico Aiello, difensore di Venditti, dopo aver chiesto al Riesame di annullare per la terza volta il decreto di sequestro dei telefoni e dei computer del suo assistito.
Sulla stessa linea anche l’avvocata Giorgia Spiaggi, che rappresenta i carabinieri Spoto e Sapone:
“Il fatto che il pubblico ministero non si sia presentato ci ha lasciati basiti. Dal mio punto di vista è evidente che non abbia più nulla da dire”.
Il tribunale si è riservato la decisione, che verrà depositata nei prossimi giorni.
Venditti: “Io corrotto? I soldi si sono fermati agli avvocati di Sempio”
In serata, intervenendo alla trasmissione Dentro la notizia su Canale 5, Mario Venditti ha duramente criticato l’atteggiamento dei pm bresciani:
“Pensavo avrebbero depositato i verbali degli ultimi due giorni, ma non c’era neanche il pubblico ministero. È stata una grave scorrettezza”.
L’ex procuratore ha poi respinto le accuse di corruzione:
“Io dovrei essere il corrotto, il destinatario finale dei movimenti di denaro. Ma quei soldi si sono fermati agli avvocati di Sempio”.
Tra questi Massimo Lovati, ex legale di Sempio, che davanti ai pm ha ammesso di aver ricevuto 15mila euro in nerocome compenso, pur dicendosi comprensivo verso i “dubbi” della Procura sui contanti ricevuti.
“Sempio è innocente”: la linea di Venditti
Venditti ha ribadito la sua convinzione sull’innocenza di Andrea Sempio, vicino di casa di Chiara Poggi:
“Sempio non c’entra nulla con la morte di Chiara. Mi sarei dovuto fermare nel 2017, dopo il pronunciamento della Corte d’Appello di Brescia sull’inammissibilità della revisione. Ma il Gip stesso ha ritenuto corretto il mio operato”.
La difesa di Stasi: “Condannato dall’opinione pubblica”
Ad oggi Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara Poggi, resta l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio. La sua avvocata, Giada Bocellari, intervenuta su Ore 14 (Rai 2), ha commentato:
“L’errore più grande degli inquirenti è stato quello di innamorarsi della tesi del fidanzato assassino e fermarsi lì, trascurando altre piste. Alberto è stato condannato prima dall’opinione pubblica che dai giudici”.
Un caso senza fine, che a distanza di 18 anni continua a intrecciare accuse, sospetti e ferite mai del tutto rimarginate.
Trieste, la tragedia annunciata: Olena uccide il figlio Giovanni dopo anni di segnalazioni e minacce
Olena Stasiuk, 55 anni, ha ucciso il figlio Giovanni dopo anni di segnalazioni, minacce e tensioni con l’ex marito. Il padre: “Perché le hanno permesso di vederlo da sola?”. Aperta un’indagine sulle decisioni dei giudici e dei servizi sociali.
“O Giovanni rimane con me, oppure sono disposta a uccidere il bimbo, a uccidere me buttandomi in mare, e a uccidere anche Paolo.” Era l’11 luglio 2018 quando Olena Stasiuk, 55 anni, pronunciò questa frase davanti ai servizi sociali, durante una delle tante riunioni sulla custodia del figlio. Quelle parole, verbalizzate e depositate, erano state una minaccia chiara e terribile. Sette anni dopo, quella minaccia è diventata realtà. Olena ha tagliato la gola al piccolo Giovanni, suo figlio, forse con più di un colpo.
Il padre: “Perché l’hanno lasciata da sola con lui?”
Il padre del bambino, Paolo, è distrutto. Dietro il cancello di casa, circondato da giornalisti e poliziotti, non riesce a darsi pace:
“Perché le è stato consentito di vederlo da sola?”
Il tribunale aveva infatti autorizzato da maggio una visita settimanale senza la presenza di un assistente sociale, nonostante il padre, da anni, avesse denunciato la fragilità psichica della donna e i precedenti episodi di violenza. In almeno due occasioni Giovanni era stato malmenato, una volta strozzato al collo, con lividi certificati dai medici.
Otto anni di guerra giudiziaria e segnalazioni ignorate
Una guerra familiare lunga otto anni, tra querele, ricorsi e segnalazioni ai servizi sociali. Nel 2017 Olena aveva avuto una crisi nervosa acuta ed era stata curata con un farmaco somministrabile solo al Centro di salute mentale, ma poi aveva interrotto le cure. Dal 2023 non era più seguita dagli specialisti.
Nonostante tutto, lo scorso aprile la psicologa Erika Jakovcic aveva proposto di intensificare i contatti tra madre e figlio. Il 13 maggio 2025, il tribunale civile di Trieste concesse una visita settimanale non assistita, ritenendo che la donna avesse “mostrato miglioramenti”.
“Forse nell’ottica della genitorialità si è voluto dare fiducia a una madre”, spiega l’avvocata del padre, Gigliola Bridda, “ma quei segnali erano stati sottovalutati. Avevamo chiesto una perizia psichiatrica, ma non è mai stata fatta”.
La perizia psichiatrica ora verrà disposta
Olena è ora ricoverata all’ospedale Maggiore di Trieste. Non è ancora stata interrogata, ma la sua difesa, affidata all’avvocata Chiara Valente, ha già annunciato la richiesta di una perizia psichiatrica. Dal Centro di salute mentale Asugi, il direttore Massimo Semenzin ha confermato che la donna “manifestava disturbi d’ansia”, era stata seguita fino al 2023 e poi “fu concordata un’interruzione, perché non assumeva farmaci e sembrava stabile”.
Il vescovo: “Accettiamo il fallimento della nostra organizzazione”
Sulla tragedia è intervenuto anche il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, che ha parlato di una sconfitta collettiva:
“Dobbiamo impegnarci a fare in modo che non si ripetano più queste tragedie. Ma dobbiamo anche accettare la nostra sconfitta, il fallimento della pretesa organizzativa che vorrebbe eliminare il male e la morte innocente.”
Un messaggio che oggi suona come un atto di dolore per un bambino che poteva e doveva essere salvato.
Omicidio di Maria Campai, condannato a 15 anni e 8 mesi il 19enne di Viadana: “Volevo scoprire cosa si prova a uccidere”
Condannato a 15 anni e 8 mesi il 19enne di Viadana che, da minorenne, uccise Maria Campai. Il delitto brutale era stato motivato dal desiderio di “sapere cosa si prova a uccidere”.
È stato condannato con rito abbreviato a 15 anni e 8 mesi di reclusione il 19enne di Viadana, autore dell’omicidio di Maria Campai, la 42enne di origini romene residente a Parma, uccisa nel settembre 2024 con una violenza inaudita. Il delitto avvenne quando l’imputato era ancora minorenne: i due si erano conosciuti su un sito di incontri online, e si erano incontrati in una villa disabitata nella zona dove il giovane viveva.
La sentenza è stata pronunciata dalla giudice Laura D’Urbino del tribunale dei minori di Brescia, che ha accolto solo in parte le richieste della procura. Il pm Carlotta Bernardini aveva chiesto 20 anni, il massimo previsto per un minorenne, mentre la difesa – affidata agli avvocati Paolo Antonini e Valeria Bini – aveva chiesto di escludere la premeditazione.
“Volevo sapere cosa si prova a uccidere”
Una frase agghiacciante pronunciata dal giovane durante gli interrogatori ha segnato profondamente l’inchiesta:
“Volevo scoprire cosa si prova a uccidere. L’ho fatto con una mossa di wrestling.”
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Maria Campai fu uccisa nel garage di casa del ragazzo, trasformato in una palestra di arti marziali, poco dopo un rapporto intimo.
L’autopsia ha rivelato che la donna fu colpita con estrema violenza — pugni al volto, alla testa e al corpo — e poi soffocata, mentre cercava disperatamente di difendersi. Dopo il delitto, il giovane spostò il corpo nel giardino di una villa abbandonata, dove lo nascose sotto foglie e arbusti.
Una settimana di silenzio e la svolta
Per una settimana la famiglia di Maria, in particolare la sorella, l’aveva cercata ovunque, anche con un appello a Chi l’ha visto?. È stata proprio la sorella a riconoscere il ragazzo come l’ultimo ad aver accompagnato la donna, conducendo gli investigatori sulla pista giusta.
Davanti ai carabinieri, il giovane ha infine confessato e indicato il luogo esatto dove aveva nascosto il corpo.