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Renzi: ho saputo di indagine su di me da un giornalista, sono a disposizione del pm

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“Oggi e’ un giorno molto importante, si discute in Senato del disegno di legge Zan, si presenta il mio libro Controcorrente, e, casualmente, ricevo una telefonata: mi chiama un giornalista per dirmi che sono indagato dalla procura di Roma, di solito queste comunicazioni le fanno i magistrati o al massimo gli avvocati, in Italia un giornalista”. Lo dice il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, in un video su Facebook dopo la notizia dell’indagine che lo coinvolgerebbe insieme a Lucio Presta. “Ci sono casualita’ che si ripetono: con una battuta potrei dire che l’altra volta che ho presentato il mio libro hanno arrestato il mio babbo e mia mamma, questa volta si sono limitati ad un avviso di garanzia. Io vado avanti, con piu’ decisione di prima, a testa alta perche’ tutto quello che ci riguarda e’ trasparente, tracciato e bonificato. Non ho nulla da nascondere”. “Buon lavoro ai magistrati, noi siamo a loro disposizione, buon lavoro alla stampa. Io ho la consapevolezza che non sto facendo nulla di illegale”, conclude.

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Cuffaro: inglese storpiato? Non giudicatemi per i lapsus

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Totò Cuffaro utilizza l’autoironia per rilanciare il suo messaggio politico. E ricorda: “Il clamore mediatico suscitato dal lapsus sulla celeberrima frase del mai abbastanza ricordato Martin Luther King”. Proprio per citare quest’ultimo, storpiandolo, il segretario nazionale della Democrazia Cristiana aveva detto, in un’intervista, “I’m a drink” (al posto di “I have a dream”). Gaffe in tv che è diventata virale rimbalzando sui social e i programmi televisivi. La citazione è arrivata anche da Luciana Littizzetto che domenica, nell’ultima puntata di “Che tempo che fa” su Rai3, ha ironizzato sul “Io sono un drink”. E meno male, ha detto Littizzetto, che non ha attribuito la frase “Martin Luther Burger King”.

Cuffaro incassa e rilancia con aplomb di tradizione democristiana. “Su tale lapsus mi è capitato di inciampare, complici un inglese malfermo, che neanche a scuola è mai stato il mio forte, e un accento agrigentino del quale francamente sono sempre andato fiero – dice Cuffaro – ma evidentemente ce n’è abbastanza per fare storcere il naso ai tanti frequentatori del web che, forse, immaginano l’impegno politico come l’esercizio di un circolo riservato alla frequentazione di elite illuminate. Il fatto è che in questa sardonica corrente mediatica, dalla quale mi tocca essere trascinato, manca qualcosa che, a mio avviso, ha molto a che fare, invece, con la politica. Sintetizzerei questo qualcosa con due parole intimamente connesse tra loro: popolo e ideale”.

Puntualizza poi: “Se qualcosa salvo del mio impegno politico passato, seppure a prezzo di non pochi errori, e rivendico umilmente, ma convintamente, nel presente, attraverso l’attuale esperienza alla guida della Dc – aggiunge Cuffaro – è proprio di considerare il popolo come l’unico e reale protagonista dell’orizzonte politico. E un popolo è tenuto insieme da ideali. Quindi più che per la capacità di non fare lapsus, credo sia ben più utile, anzi necessario, essere giudicati, sia fuori che dentro le urne, per la continua capacità di ascolto di questo soggetto popolare”.

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Costituzione e patria, il 2 giugno di Mattarella e Meloni

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Ha chiuso la giornata firmando decine e decine di copie della Costituzione, piccolo regalo del Quirinale ai circa 2000 “fragili”, tra associazioni di disabili ed anziani, invitati per un pomeriggio diverso nei giardini del Quirinale. Una giornata iniziata anch’essa nel segno della carta costituzionale che Sergio Mattarella custodisce con rispettosa devozione: “celebriamo oggi l’anniversario della nascita della Repubblica. I valori della scelta del 2 giugno 1946, trasfusi nella Carta costituzionale di cui ricordiamo i 75 anni di vita, continuano a guidarci – ha evidenziato in un messaggio – nel cammino di un’Italia autorevole protagonista in quell’Unione Europea che abbiamo contribuito a edificare. Libertà, uguaglianza, solidarietà, rispetto dei diritti dei singoli e delle comunità sono pilastri fondamentali della nostra Carta costituzionale”. Poco dopo Giorgia Meloni dai Fori imperiali di Roma, dove si è svolta la tradizionale parata militare, parlava invece di “patria”: “la comunità nazionale, la patria, alla fine è questo: una dimensione di sacrifici che si compiono insieme per chi l’ha fatta prima di noi e per noi che lo facciamo verso gli altri”. Due generazioni, quelle del presidente della Repubblica e della presidente del Consiglio.

Due storie lontane e un lessico diverso nel definire i propri valori della Festa della repubblica. La giornata istituzionale si è dipanata così, tra Altare della patria, sfilata militare e messaggi, tra richiami storici e vocabolari distanti. Uniti però nell’appello – che certamente il capo dello Stato condivide – di Giorgia Meloni a procedere uniti nelle differenze per il bene dell’Italia. Il 2 giugno, le sue celebrazioni non rappresentano “una semplice celebrazione museale. È la dimensione del fatto che noi capiamo che ne usciamo solo insieme, serve che ciascuno faccia la sua parte. Non c’è nessuno – ha spiegato la premier – che da solo può risolvere i problemi. Capire che siamo tutti legati è l’elemento culturale che serve per capire che dobbiamo remare tutti verso la stessa direzione”. Patria e Costituzione, quindi. Due termini che possono andare a braccetto per la festa della Repubblica – ricorda il referendum istituzionale del 1946 che portò dalla monarchia alla Repubblica – ma che certamente disegnano due visioni dissimili delle priorità politiche.

Solo due giorni fa Meloni rivendicava orgogliosamente lo sdoganamento del termine patriota, che a suo dire era diventato quasi una parolaccia in Italia: “non è un fatto irrilevante che definirsi patrioti non sia più oggi considerato un appellativo dispregiativo o comunque obsoleto ma un elemento condiviso e rivendicato praticamente da tutte le forze politiche, incluse quelle che in passato lo ritenevano quasi un’infamia”, aveva sottolineato in un convegno dal titolo “Nazione e Patria, idee ritrovate”. Il presidente oggi si è concentrato su altro ed esaurito il tema della Costituzione ha voluto salutare tutti gli italiani residenti all’estero passando al nodo delle migrazioni e della necessità di impedire la fuga dei cervelli per problemi economici e di occupazione: “oggi,lavorare all’estero non dovrebbe più rappresentare, per nessuno, una scelta obbligata bensì una opportunità, specialmente per i giovani. È responsabilità, della Repubblica, far sì che si tratti di una libera scelta”, ha sottolineato Mattarella in un videomessaggio agli italiani all’estero. “Si tratta – ha concluso – di passare dalla ‘fuga’ dei cervelli, alla circolazione dei talenti; alimentando un circuito, virtuoso, di capacità e di competenze”.

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Corte dei Conti e Pnrr, scontro tra l’Ue e il governo

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Lo scontro sulla Corte dei Conti sale di livello e cambia location: da Roma all’Europa. La Commissione Europea ha annunciato di fatto di voler accendere un faro sulla vicenda, spiegando, attraverso un suo portavoce, che “monitorerà con attenzione” lo sviluppo della misura decisa per limitare il controllo preventivo sulla spesa dei fondi del Pnrr. Per Giorgia Meloni, l’intervento di Bruxelles è stato, usando un eufemismo, quantomeno scomposto. Le considerazioni di un portavoce della Commissione – ha scandito Palazzo Chigi in una nota – “alimentano polemiche politiche strumentali che non corrispondono alla realtà”.

In mattinata, rispondendo ad una domanda nel briefing quotidiano con la stampa, Bruxelles aveva spiegato che, poiché si tratta di un progetto di legge, non vi sono gli estremi “per entrare nel dettaglio” e dunque si seguiranno gli sviluppi della norma. In linea generale “i sistemi di controllo nazionali costituiscono i meccanismi principali per proteggere gli interessi finanziari dell’Ue e sono gli Stati membri che devono assicurarsi che non ci siano conflitti d’interesse e o frodi”, aveva spiegato il portavoce, sottolineando che “l’Italia ha un sistema di controllo solido”.

Ma aggiungendo una postilla: su frodi e conflitti di interesse l’Ue non può intervenire direttamente. E’ una “responsabilità delle autorità italiane” ed esiste “un accordo con l’Italia sulla necessità di avere un sistema di controlli efficace per quanto riguarda la spesa dei fondi del Pnrr. Parole che rischiano di aprire un nuovo fronte di tensione nella già complicata trattativa tra Roma e Bruxelles sul Pnrr. Anche perché la risposta di Palazzo Chigi è stata nettissima. “Le proposte” sulla Corte dei Conti “non modificano quanto già concordato tra Commissione europea e Governo italiano e la disciplina dei controlli della Corte, istituita dal governo Draghi, “non solo resta in vigore ma viene pienamente attuata”, è la linea di Palazzo Chigi.

Ma per il governo c’è di più. L’intervento “è rispettoso della Costituzione, delle prerogative della Corte dei conti, improntato alla leale collaborazione tra le istituzioni”, prosegue la nota rimandando ai pareri di alcuni costituzionalisti negli ultimi giorni: Sabino Cassese, Cesare Mirabelli e Giancarlo Coraggio. Nella nota il governo ha ribadito anche un altro concetto: l’istituzione del tavolo di confronto concordata con la Corte dei Conti al termine di un “lungo, cordiale e proficuo” incontro. Eppure, i magistrati contabili sono tornai ad esprimere tutta la loro “preoccupazione” per la doppia mossa dell’esecutivo: lo stop al controllo concomitante e la proroga dello scudo erariale.

“Protrarre l’esclusione della responsabilità per colpa grave commissiva pone rilevanti dubbi di costituzionalità e di compatibilità con la normativa eurounitaria e genera un clima di deresponsabilizzazione, che non rafforza, ma depotenzia, l’efficacia dell’azione amministrativa”, è stata la posizione espressa dall’Associazione magistrati della Corte dei Conti. Ai magistrati della Corte non basta l’apertura del tavolo di confronto sulle riforme: “nelle more – hanno sottolineato chiedendo che le norme vengano ritirate – resta la netta contrarietà per la conferma degli emendamenti” Il governo, al di là della replica all’Ue, va per la sua strada. Lunedì, sul decreto Pa che contiene l’emendamento sulla Corte dei Conti potrebbe anche essere posta la fiducia alla Camera. Certo, una volta approvato il decreto passerà all’esame del Quirinale.

E, in ogni caso, potrebbe complicare il negoziato con l’Ue sul Pnrr. L’ok della Commissione alla terza rata del Piano continua a non vedere la luce. E all’orizzonte la trattativa per il nuovo Pnrr modificato – con l’aggiunta del RepowerEu – si preannuncia difficile. Sia per la portata delle modifiche che Roma potrebbe chiedere (inclusi alcuni target legati al Superbonus) sia per la tempistica: se il negoziato iniziasse dopo l’estate a rischio ridimensionamento non sarebbe solo la rata di giugno ma anche quella dicembre, entrambe basate su un Piano ormai vecchio, si ragiona in ambienti comunitari.

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