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Economia

Reddito cittadinanza, a settembre parte la fase due col Patto del lavoro

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Reddito di cittadinanza, parte la fase due. La selezione dei navigator è stata completata e, se si esclude la Campania, le regioni hanno firmato le intese.: dal 2 settembre partiranno le convocazioni dei percettori del reddito per costruire il percorso per la ricerca di un occupazione. Si firma il Patto per il Lavoro e, se non si accetteranno le offerte che verranno fatte nel corso dei prossimi mesi, si rischia di perdere il beneficio. E’ questo lo snodo piu’ delicato del meccanismo del reddito di cittadinanza, che dovrebbe traghettare chi non ha lavoro verso l’occupazione. La convocazione sarebbe dovuta arrivare nei 30 giorni successivi all’arrivo del ‘reddito’. Ma, come tutti gli osservatori avevano predetto, era oggettivamente impossibile che la procedura si potesse chiudere prima. Non tutti gli ostacoli sono superati per la piena operativita’ del reddito di cittadinanza. Manca ad esempio il decreto che fissa le regole per la documentazione richiesta gli immigrati: in attesa l’Inps non ha accettato le loro domande. Poi c’e’ il caso Campania. E’ la regione che ha il maggior numero di famiglie coinvolte, oltre 170 mila, ma nella quale manca l’accordo per i 471 navigator assegnati alla regione in base al concorsone che li ha distribuiti in tutta Italia. Il governatore Vincenzo De Luca chiede prima di stabilizzare i 600 dipendenti precari che lavorano all’Anpal. A far sbloccare la situazione poteva arrivare anche il decreto su Ilva e rider, che contiene anche le norme per la proroga di 8.500 Lsu, molti dei quali proprio in Campania.

Ma il decreto, approvato dal consiglio dei Ministri con la formula ‘salvo intese’, e’ tra quelli rimasti intrappolati dalla crisi di governo. Navigator o meno, tutte le regioni si sono impegnate ad avviare le convocazioni dei percettori a partire da settembre. L’ invito non riguardera’ solo l’intestatario del reddito, ma tutti i maggiorenni della famiglia non occupati o che non frequentano un regolare corso di studi. Saranno invece esclusi i beneficiari della pensioni di cittadinanza o gli over65, nonche’ i disabili (per i quali puo’ esserci pero’ un’adesione volontaria finalizzata alla ricerca del lavoro). Esonerati sono anche i componenti della famiglia con impegno di cura per bambini sotto i 3 anni o per persone non autosufficienti. Il Patto per il Lavoro servira’ ad identificare le competenze e prevede che debba essere accettata almeno una delle tre offerte di lavoro congrue che verranno avanzate. La ‘coerenza’ segue tre principi: la coerenza tra l’offerta di lavoro e le competenze, la distanza dal domicilio, la durata dello stato di disoccupazione. Cosi’ nei primi 12 mesi di fruizione del ‘reddito di cittadinanza’ sara’ congrua la prima offerta se entro 100 chilometri di distanza dalla residenza (o comunque raggiungibile con un massimo di 100 minuti con i mezzi pubblici), la seconda entro i 250 chilometri e la terza sull’intero territorio italiano. Dopo 12 mesi anche per la prima offerta la ‘congruita” e’ riconosciuta se si e’ entro i 250 chilometri. Non per tutti, comunque, sara’ obbligatorio il patto per il lavoro. Per alcuni nuclei familiari, in particolari situazioni di disagio bisognoso di aiuti, e’ possibile attivare il patto per l’inclusione sociale, passando attraverso i servizi dei comuni competenti per il contrasto alla poverta’. In questo caso il percorso e’ diverso ma spesso era gia’ attivato per ottenere il Reddito di inclusione (REI), lo strumento utilizzato prima del Reddito di Cittadinanza per dare un supporto alle famiglie piu’ povere.

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Dal comitato investimenti di Generali sì a Natixis

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Il comitato per gli investimenti di Generali ha espresso una valutazione positiva dell’operazione con Natixis, l’alleanza nel risparmio gestito da cui nascerà un polo da quasi 2.000 miliardi di euro di masse in gestione, tra i primi dieci asset manager a livello globale e secondo in Europa solo ad Amundi. Il parere è stato formulato dal comitato al termine di una lunga riunione, iniziata alle 16 e terminata dopo le 20, ‘aperta’, vista l’importanza dell’operazione, anche agli altri consiglieri, che hanno avuto la possibilità di intervenire e chiedere chiarimenti – che non saranno certamente mancati – anche alla luce delle preoccupazioni e dei dubbi trapelati negli ultimi giorni da parte di due soci di peso come Delfin, titolare del 9,9% del Leone, e Caltagirone, a cui fa capo un altro 6,9%. Le valutazioni dell’organo – che ha la prerogativa di esprimere un parere non vincolante sulle operazioni superiori ai 250 milioni – planeranno sul tavolo del cda, che domani delibererà sulle ‘nozze’.

A istruire il dossier sono stati i sei componenti del comitato: la presidente Antonella Mei-Pochtler, l’ex ceo della Borsa di Londra, Clara Furse, il banchiere d’affari Stefano Marsaglia, la manager Alessia Falsarone, il presidente di De Agostini, Lorenzo Pellicioli, e il dirigente di Mediobanca, Clemente Rebecchini. Nella joint-venture confluiranno gli oltre 1.200 miliardi di masse in gestione di Natixis Investment Managers e i 650 miliardi di Generali Investments Holding (Gih), integrati da una parte della raccolta netta che il Leone sviluppa annualmente.

La governance sarà paritetica, con quote del 50% in capo a Natixis e Gih (83,25% Generali e 16,75% Cathay) mentre per cinque anni la guida sarà affidata a Woody Bradford, nominato ceo di Gih dopo l’acquisizione nel 2024 di Conning, con un mandato rinnovabile per un altro quinquennio al raggiungimento di determinati target industriali. L’intesa, non vincolante, richiederà alcuni mesi di lavoro per riunire sotto un unico ombrello le 16 società di gestione di Natixis e le 14 delle Generali e diventare definitiva.

La logica industriale, per il management, sta nelle economie di scala in grado di generare: costi più ridotti, sinergie, miglioramento dei rendimenti e delle opportunità di investimento per i clienti, oltre ad una maggiore capacità di attrarre masse da altri investitori. Generali e Natixis manterrebbero il controllo sui premi e il risparmio conferito, definendo le strategie e le politiche di investimento sulla base di mandati circoscritti.

Sull’operazione aleggiano però i timori di Delfin e Caltagirone. Tra tutti il rischio che la compagnia possa perdere la presa su decine e decine di miliardi di euro di risparmio italiano, dirottato lontano dal nostro Paese, dalla sua economia e dal suo debito pubblico. Un timore la cui sostanza verrà vagliata dal governo una volta che l’operazione sarà notificata al comitato per il golden power.

A ciò si aggiungono le perplessità sulla effettiva pariteticità della governance, sull’assenza di patti parasociali che offrano vie d’uscita, sulla competenza dell’assemblea in merito a un’operazione di cui si può discutere la natura quasi ‘trasformativa’. In questi due giorni si capirà se il management di Generali sarà stato in grado rassicurare i soci o se invece le distanze potrebbero erompere in uno scontro legale. In questo contesto la possibilità di una lista del cda condivisa dai soci appare tramontata, complici, secondo alcuni pareri legali di Generali, le incertezze interpretative della nuova Legge Capitali che potrebbero esporre al rischio di impugnativa le delibere assembleari.

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Generali inizia l’esame dell’alleanza con Natixis

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Le Generali avviano l’esame dell’alleanza nel risparmio gestito con Natixis, dalla quale dovrebbe nascere un polo da quasi 2.000 miliardi di euro di masse in gestione, tra i primi dieci asset manager a livello globale, secondo in Europa solo ai francesi di Amundi. Nel pomeriggio il dossier è stato analizzato dal comitato per gli investimenti del Leone di Trieste, al quale sono stati ammessi ad assistere, vista l’importanza dell’operazioni e le preoccupazioni trapelate dai grandi soci Delfin e Caltagirone, tutti i consiglieri. Le valutazioni dell’organo – che ha la prerogativa di esprimere un parere sulle operazioni superiori ai 250 milioni – planeranno sul tavolo del cda, che domani delibererà sulla joint-venture.

A istruire il dossier saranno i sei componenti del comitato: la presidente Antonella Mei-Pochtler, l’ex ceo della Borsa di Londra, Clara Furse, il banchiere d’affari Stefano Marsaglia, la manager Alessia Falsarone, il presidente di De Agostini, Lorenzo Pelliccioli, e il dirigente di Mediobanca, Clemente Rebecchini. Nella nuova società sono destinati a confluire gli oltre 1.200 miliardi di masse in gestione di Natixis Investment Managers e i 650 miliardi di Generali Investments Holding (Gih), integrati da una parte della raccolta netta che il Leone sviluppa annualmente.

La governance sarà paritetica, con quote del 50% in capo a Natixis e Gih (83,25% Generali e 16,75% Cathay) mentre per cinque anni la guida sarà affidata a Woody Bradford, nominato ceo di Gih dopo l’acquisizione nel 2024 di Conning, con un mandato rinnovabile per un altro quinquennio al raggiungimento di determinati target industriali. L’intesa, non vincolante, richiederà alcuni mesi di lavoro per riunire sotto un unico ombrello le 16 società di gestione di Natixis e le 14 delle Generali e diventare definitiva.

La logica industriale, per il management, sta nelle economie di scala che sarebbe in grado di generare: costi più ridotti, sinergie, miglioramento dei rendimenti e delle opportunità di investimento per i clienti, oltre ad una maggiore capacità di attrarre masse da altri investitori. Generali e Natixis manterrebbero il controllo sui premi e il risparmio conferito, definendo le strategie e le politiche di investimento sulla base di mandati circoscritti. Sull’operazione aleggiano però dubbi e timori di Delfin e Caltagirone. Tra tutti il rischio che la compagnia possa perdere la presa su decine e decine di miliardi di euro di risparmio italiano, dirottato lontano dal nostro Paese, dalla sua economia e dal suo debito pubblico.

Un timore la cui sostanza verrà vagliata dal governo una volta che l’operazione sarà notificata al comitato per il golden power. A ciò si aggiungono le perplessità sulla effettiva pariteticità della governance, sull’assenza di patti parasociali che offrano vie d’uscita, sulla competenza dell’assemblea in merito a un’operazione di cui si può discutere la natura quasi ‘trasformativa’. In questi due giorni si capirà se il management di Generali sarà stato in grado rassicurare i soci o se invece le distanze potrebbero erompere in uno scontro legale. In questo contesto la possibilità di una lista del cda condivisa dai soci appare tramontata, complici, secondo alcuni pareri legali di Generali, le incertezze interpretative della nuova Legge Capitali che potrebbero esporre al rischio di impugnativa le delibere assembleari.

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Economia

Tim, per Sparkle potrebbe servire qualche giorno in più

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La cessione di Sparkle potrebbe richiedere qualche giorno in più del previsto, in attesa che si chiuda il finanziamento a cui la vendita della società di cavi sottomarini è subordinata. Il cda di Tim, che mercoledì prossimo avrebbe dovuto approvare l’operazione con il Mef e Retelit, controllata del fondo Asterion, potrebbe limitarsi a dare un parere positivo alla cessione, rinviandone la chiusura non appena sarà completato l’iter del finanziamento, viene riferito da fonti finanziarie. La proposta del Mef e di Asterion, che attribuisce alla società di cavi sottomarini un enterprise value di 700 milioni di euro, è valida fino al 27 gennaio, salvo proroghe.

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