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Rapporto Mediobanca su multiutility e società partecipate, Milano è la città che più si arricchisce facendo fatturato soprattutto al Sud

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Indovinate un po’ qual è la città italiana con le migliori e più ricche società partecipate? Avete indovinato: Milano è la metropoli “regina” in Italia come portafoglio di società partecipate, in cui spiccano la multiutility A2A, il gestore aeroportuale Sea e la società di trasporto pubblico locale Atm, che viaggia in controtendenza (80 milioni di utili complessivi tra 2012 e 2016) rispetto al settore, che a livello nazionale nello stesso quinquennio ha bruciato 729 milioni. La sola azienda romana Atac ha debiti per 806 milioni. Milano – a leggere i dati dell’ indagine sulle principali società partecipate dagli enti pubblici (in tutto 82) realizzata dall’Area Studi di Mediobanca – è la più ricca del Paese grazie, tra gli altri, al 25% di A2A, al 55% di Sea e al 100% di Atm per un valore complessivo di 2,3 miliardi. Un pacchetto di asset paragonabile, per certi versi, a quello di una holding di Piazza Affari, che pone la Milano davanti a Roma (1,5 miliardi in virtù della quota in Acea), Brescia (1,24 miliardi grazie alla stessa A2A) e Torino (1 miliardo con Iren). Una parte importante del volume di  affari meneghino, guarda caso arriva dal Napoletano. La A2A, per restare in tema, gestisce l’inceneritore di Acerra: tre forni dove dentro finiscono migliaia di tonnellate di ecoballe, eredità della emergenza rifiuti in Campania. L’inceneritore di Acerra è la gallina dalle uova d’oro di A2A. Tra le Regioni invece primeggia la Valle d.Aosta (943 milioni) per il controllo totalitario del gruppo idroelettrico Cva.

 

In tutto il valore del portafoglio delle partecipate in Italia viene stimato in 13,9 miliardi (di cui 5,2 miliardi di quotate in Borsa) e l’80% è riconducibile al Nord Italia. Milano spicca anche a livello di fatturato con 5,7 miliardi nel 2016, seguita da Bologna e Roma con 4,8 miliardi e Brescia con 2,6 miliardi mentre, per gli utili cumulati negli ultimi cinque anni, il capoluogo lombardo – che solo nel 2017 ha staccato cedole per 78 milioni – figura al secondo posto con 794 milioni dietro a Bologna (842 milioni grazie a Hera) e davanti a Trento (544 milioni grazie alla partecipazione nell’autostrada A22). 

A livello più complessivo, dall’indagine emerge che l’universo delle partecipate pubbliche nel 2016 ha registrato ricavi aggregati pari a 32,2 miliardi, in calo del 13,5% sul 2012: una dinamica guidata principalmente dal settore dell’energia elettrica e gas (-28,5%) mentre il fatturato delle autostrade è cresciuto del 23,3% e quello del settore idrico dell’8,1%. In realtà in ambito energetico le utility puntano più sui margini che sul fatturato: infatti il mol delle 82 società prese in esame da Mediobanca è cresciuto del 18,5% a 6,26 miliardi mentre il risultato netto complessivo si è portato da 909 milioni a 1,42 miliardi.

C’è un dato riassuntivo ancora più significativo: le partecipate dagli enti locali hanno realizzato utili complessivi per 5 miliardi, grazie soprattutto alle “big four”delle multiutility cioè Hera (836 milioni), Acea (819 milioni), Iren (611 milioni) e A2A (582 milioni).

Nel solo 2017 gli azionisti pubblici hanno incassato dividendi pari a 444 milioni. Il Trasporto pubblico locale, invece, in cinque anni, ha cumulato perdite per 729 milioni e ricevuto risorse dalle casse pubbliche per circa 16,3 miliardi. A livello di governance, i compensi medi dei rappresentanti degli enti locali nei board delle partecipate sono calati del 16%. Le quote rosa rappresentano il 29,5% del totale. Infine, Mediobanca si è esercitata nella misura della redditività delle partecipate quotate (A2A, Acea, Acsm-Agam, Fnm, Hera e Iren) sia rispetto a una paniere di società industriali di Piazza Affari sia rispetto ai titoli di Stato. Il risultato? Allo scorso 25 giugno il total return delle local utilities era il 17% in meno.A partire dal 2012, invece, il rendimento offerto dalle azioni è stato superiore rispetto a quello di investimenti alternativi in titoli di Stato italiani (+2,3 punti per i dividendi incassati nel 2018). Inoltre, solo tre local utility hanno un bilancio positivo, a livello di quotazioni di Borsa, dall’ Ipo: Hera (+113,9%), Acea (+43,3%) e Acsm-Agam (+26,8%).

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Bufera sulla Cop28: senza petrolio si torna alle caverne

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La quarta giornata della Cop28 non era iniziata proprio bene: una coltre di smog avvolgeva Dubai fin dal primo mattino, imbarazzante per la città che ospita il summit mondiale sul clima. Poi la bomba: un audio in cui Sultan Al Jaber, presidente della conferenza a capo della delegazione degli Emirati Arabi, afferma che con l’eliminazione dei combustibili fossili – uno degli obiettivi del summit – si tornerebbe “all’era delle caverne”. Apriti cielo. Le reazioni sono state immediate e hanno quasi offuscato la giornata di lavori. A partire dall’indignazione espressa dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha parlato di “affermazioni gravissime e assolutamente preoccupanti, sull’orlo del negazionismo climatico”.

Mentre nel corso della giornata è andata sempre più allungandosi la lista degli scienziati e delle personalità che hanno chiesto esplicitamente le dimissioni di Al Jaber. A diffondere l’audio, rubato nel corso di una sessione dei lavori, è stato un consorzio di giornalisti investigativi, Climate Reporting. “Nessuna scienza dimostra che un’uscita dai combustibili fossili é necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi sopra i livelli pre-industriali”, ha sostenuto Al Jaber, aggiungendo che seguire la strada dello stop al carbone, al petrolio e al gas naturale ostacolerebbe il cammino verso uno sviluppo realmente sostenibile: “A meno che – ha aggiunto – qualcuno non voglia riportare il mondo indietro all’era delle caverne”.

“Finalmente è caduta la maschera”, il commento che ha cominciato a riecheggiare nelle sale del centro congressi Expo City Dubai, dove Al Jaber viene visto da molti come un personaggio molto controverso. Inviato speciale degli Emirati Arabi per la lotta ai cambiamenti climatici, è da tempo nel mirino degli ambientalisti – e non solo – che lo accusano di conflitto di interessi, essendo il numero uno di Adnoc, la compagnia petrolifera statale. “E’ come mettere il conte Dracula a capo della Banca del sangue”, si affermava già prima della Cop28 nel mondo scientifico e degli attivisti per il clima. Insomma, non proprio una bella figura da parte del Paese ospitante di un summit dagli esiti già incerti. Finita la parte di alto livello con gli interventi dei leader mondiali (ma non sono venuti né Joe Biden né Xi Jinping, i “grandi inquinatori”), si è entrati ora nella fase dei negoziati veri e propri che dovranno portare alla dichiarazione finale.

Questa sarà la settimana degli sherpa, mentre dalla prossima entreranno in campo i rappresentanti dei governi per chiudere la partita. Intanto un rapporto diffuso dall’organizzazione Climate Trace, fondata dall’ex vicepresidente americano Al Gore, denuncia come, malgrado le promesse, le emissioni di gas serra da parte di Cina, India e Stati Uniti abbiano fatto registrare negli ultimi anni il maggior incremento dal 2015, l’anno dell’accordo di Parigi sul clima. “Con la nostra attività riempiamo un vuoto di informazioni che rende difficile individuare i siti che inquinano”, afferma Al Gore, puntando il dito anche contro le emissioni degli aerei, moltiplicatesi con il boom dei voli dopo la pandemia. Si è discusso anche di clima e salute, con una dichiarazione approvata da 124 Paesi in cui si fissano due obiettivi: ridurre le emissioni nel settore sanitario e aumentare i finanziamenti per la salute climatica. Su quest’ultimo fronte drammatico il monito della Banca mondiale: a causa del caldo estremo si rischiano almeno 21 milioni di morti entro il 2050.

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Meloni: serve una transizione ecologica non ideologica

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“L’Italia sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione in modo pragmatico con un approccio” che rispetti la neutralità tecnologica “libero da radicalismo: se vogliamo essere efficaci” serve “una sostenibilità ambientale che non comprometta la sfera economica e sociale, una transizione ecologica non ideologica”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni intervenendo in plenaria alla Cop28.

L’Italia, ha spiegato Melonista “gradualmente rimpiazzando i combustibili fossili con rinnovabili, abbiamo adottato un nuovo piano per l’energia e il clima e stiamo investendo risorse nei biocarburanti, siamo tra i fondatori dell’alleanza globale per i biocarburanti. Nel contesto europeo, siamo parte della carbon neutrality entro il 2050 e per ridurre le emissioni almeno del 55% entro il 2030. Ma siamo anche impegnati per il programma fit for 55, con un approccio multistrutturale”. Meloni ha ribadito alla platea della plenaria della Cop28 l’impegno italiano per l’Africa cui sarà destinata “una quota significativa” del fondo italiano per il clima (circa 4 miliardi complessivi) e che l’energia è “uno dei pilastri del Piano Mattei” per l’Africa. L’Italia, ha detto sottolineando che tutti questi temi saranno al centro anche “del G7” a guida italiana, sta lavorando per diventare “hub strategico per l’energia pulita, sviluppando le infrastrutture e la capacità di generazione necessarie” in Italia e nel Mediterraneo.

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Il Papa, allarme clima impazzito, fermare delirio onnipotenza

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“È acclarato che i cambiamenti climatici in atto derivano dal surriscaldamento del pianeta, causato principalmente dall’aumento dei gas serra nell’atmosfera, provocato a sua volta dall’attività umana, che negli ultimi decenni è diventata insostenibile per l’ecosistema”. Lo afferma papa Francesco nel suo discorso alla Cop28 sui cambiamenti climatici, letto alla Expo City di Dubai dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. “L’ambizione di produrre e possedere si è trasformata in ossessione ed è sfociata in un’avidità senza limiti, che ha fatto dell’ambiente l’oggetto di uno sfruttamento sfrenato – aggiunge -. Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare tale delirio di onnipotenza. Torniamo a riconoscere con umiltà e coraggio il nostro limite quale unica via per vivere in pienezza”.

“Che cosa ostacola questo percorso? – chiede il Pontefice – Le divisioni che ci sono tra noi. Ma un mondo tutto connesso, come quello odierno, non può essere scollegato in chi lo governa, con i negoziati internazionali che ‘non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale’ (Lett. enc. Laudato sì’, 169)”. Secondo il Papa, “assistiamo a posizioni rigide se non inflessibili, che tendono a tutelare i ricavi propri e delle proprie aziende, talvolta giustificandosi in base a quanto fatto da altri in passato, con periodici rimpalli di responsabilità. Ma il compito a cui siamo chiamati oggi non è nei confronti di ieri, ma nei riguardi di domani; di un domani che, volenti o nolenti, o sarà di tutti o non sarà”.

“Colpiscono, in particolare, i tentativi di scaricare le responsabilità sui tanti poveri e sul numero delle nascite. Sono tabù da sfatare con fermezza”. Così il Papa nel suo discorso alla Cop28 sui cambiamenti climatici, letto alla Expo City di Dubai dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. “Non è colpa dei poveri – spiega -, perché la quasi metà del mondo, più indigente, è responsabile di appena il 10% delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale. Questi sono in realtà le vittime di quanto accade: pensiamo alle popolazioni indigene, alla deforestazione, al dramma della fame, dell’insicurezza idrica e alimentare, ai flussi migratori indotti”.

“E le nascite non sono un problema, ma una risorsa – aggiunge -: non sono contro la vita, ma per la vita, mentre certi modelli ideologici e utilitaristi che vengono imposti con guanti di velluto a famiglie e popolazioni rappresentano vere e proprie colonizzazioni. Non venga penalizzato lo sviluppo di tanti Paesi, già gravati di onerosi debiti economici; si consideri piuttosto l’incidenza di poche nazioni, responsabili di un preoccupante debito ecologico nei confronti di tante altre”. Secondo Francesco, “sarebbe giusto individuare modalità adeguate per rimettere i debiti finanziari che pesano su diversi popoli anche alla luce del debito ecologico nei loro riguardi”.

“Quante energie sta disperdendo l’umanità nelle tante guerre in corso, come in Israele e in Palestina, in Ucraina e in molte regioni del mondo: conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno! Quante risorse sprecate negli armamenti, che distruggono vite e rovinano la casa comune!”. Così il Papa nel suo discorso alla Cop28 di Dubai, letto stamane dal cardinale Pietro Parolin. “Rilancio una proposta: ‘con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame’ (Lett. enc. Fratelli tutti, 262) e realizzare attività che promuovano lo sviluppo sostenibile dei Paesi più poveri, contrastando il cambiamento climatico”.

“È compito di questa generazione prestare orecchio ai popoli, ai giovani e ai bambini per porre le fondamenta di un nuovo multilateralismo. Perché non iniziare proprio dalla casa comune?”. Lo afferma papa Francesco nel suo discorso alla Cop28 sui cambiamenti climatici, letto alla Expo City di Dubai dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. “I cambiamenti climatici segnalano la necessità di un cambiamento politico – prosegue -. Usciamo dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi, sono schemi del passato. Abbracciamo una visione alternativa, comune: essa permetterà una conversione ecologica, perché ‘non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali’ (Laudate Deum, 70)”.

Il Pontefice assicura in questo “l’impegno e il sostegno della Chiesa cattolica, attiva in particolare nell’educazione e nel sensibilizzare alla partecipazione comune, così come nella promozione degli stili di vita, perché la responsabilità è di tutti e quella di ciascuno è fondamentale”. Secondo Francesco, la “via d’uscita” alla crisi climatica è “quella che state percorrendo in questi giorni: la via dell’insieme, il multilateralismo”. Ed “è preoccupante in tal senso che il riscaldamento del pianeta si accompagni a un generale raffreddamento del multilateralismo, a una crescente sfiducia nella Comunità internazionale”. “È essenziale ricostruire la fiducia, fondamento del multilateralismo”, aggiunge: “Ciò vale per la cura del creato così come per la pace: sono le tematiche più urgenti e sono collegate”.

“E’ essenziale un cambio di passo che non sia una parziale modifica della rotta, ma un modo nuovo di procedere insieme”. Così il Papa nel suo discorso alla Cop28 di Dubai, letto dal cardinale Pietro Parolin. “Se nella strada della lotta al cambiamento climatico, che si è aperta a Rio de Janeiro nel 1992, l’Accordo di Parigi ha segnato ‘un nuovo inizio’ – ricorda -, bisogna ora rilanciare il cammino. Occorre dare un segno di speranza concreto”. “Questa Cop sia un punto di svolta – è l’appello del Pontefice -: manifesti una volontà politica chiara e tangibile, che porti a una decisa accelerazione della transizione ecologica, attraverso forme che abbiano tre caratteristiche: siano ‘efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili’).

E trovino realizzazione in quattro campi: l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; l’eliminazione dei combustibili fossili; l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi”. “Per favore: andiamo avanti, non torniamo indietro”, invoca Francesco: “Qui si tratta di non rimandare più, di attuare, non solo di auspicare, il bene dei vostri figli, dei vostri cittadini, dei vostri Paesi, del nostro mondo (…) La storia ve ne sarà riconoscente”. “Il 2024 segni la svolta – conclude: “lasciamo alle spalle le divisioni e uniamo le forze! E, con l’aiuto di Dio, usciamo dalla notte delle guerre e delle devastazioni ambientali per trasformare l’avvenire comune in un’alba di luce”.

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