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Rapporto choc di Save the Children sulla tratta di minori sfruttati sessualmente in Italia

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Tratta e sfruttamento. Sostiene Save the Children che nella civilissima Europa 1 vittima su 4 è minorenne. L’obiettivo principale dei trafficanti è lo sfruttamento sessuale, che in Italia risulta in crescita costante.  Ed è per questo motivo che a pochi giorni dalla Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani, Save the Children diffonde il rapporto “Piccoli schiavi invisibili 2019”. Il business dello sfruttamento sessuale nel nostro Paese recluta le sue vittime in Nigeria, Romania, Bulgaria e Albania, e cambia modalità operative per rimanere sommerso.

Un quarto delle vittime di tratta presunte o identificate in Europa sono minorenni e l’obiettivo principale dei trafficanti di esseri umani è lo sfruttamento sessuale. Sulle 20.500 vittime di uno dei sistemi più violenti e senza scrupoli che si conoscano, registrate nell’Unione nel biennio 2015-16, il 56% dei casi riguarda infatti la tratta a scopo di sfruttamento sessuale, con un pur consistente 26% legato allo sfruttamento lavorativo, 1 vittima su 4 ha meno di 18 anni, 2 su 3 sono donne o ragazze. In Italia le vittime di tratta accertate sono 1.660, con un numero sempre maggiore di minorenni coinvolti, cresciuti in un anno dal 9% al 13%. Un trend in aumento confermato anche dal riscontro diretto degli operatori del progetto Vie d’Uscita di Save the Children, che nel 2018, in sole 5 regioni, hanno intercettato 2.210 vittime di tratta minori e neo-maggiorenni, un numero cresciuto del 58% rispetto alle 1.396 vittime del 2017. Benché questi dati rappresentino solo la superficie di un fenomeno perlopiù sommerso, la sempre più giovane età delle vittime e la prevalenza dello sfruttamento di tipo sessuale trova conferma anche tra i 74 nuovi casi di minori che sono riusciti a uscire dal sistema di sfruttamento nel 2018 nel nostro Paese e sono stati presi in carico dai programmi di protezione istituzionale, soprattutto in Piemonte (18) e Sicilia (16). Uno su 5, infatti, non supera in età i 15 anni e lo sfruttamento sessuale riguarda quasi 9 casi su 10.

Anche se non rappresenta il principale obiettivo del sistema della tratta, lo sfruttamento lavorativo in Italia è in crescita e nel 2018 gli illeciti registrati con minori vittime, sia italiani che stranieri, sono stati 263, per il 76% nel settore terziario. Il numero maggiore di violazioni sono state segnalate nei servizi di alloggio e ristorazione (115) e nel commercio (39), nel settore manifatturiero (36), nell’agricoltura (17) e nell’edilizia (11).

A pochi giorni dalla Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani, che ricorre il 30 luglio di ogni anno, Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – diffonde la XIII edizione del rapporto “Piccoli schiavi invisibili 2019”, una fotografia aggiornata della tratta e dello sfruttamento dei minori in Italia, ed in particolare del sistema dello sfruttamento sessuale e della specifica vulnerabilità delle sue vittime, in larga maggioranza di origine straniera.

Provengono infatti dalla Nigeria o dai Paesi dell’est europeo e dai Balcani le ragazze che sono maggiormente esposte al traffico delle organizzazioni e reti criminali che poi gestiscono in Italia un circuito della prostituzione in continua crescita. Il numero delle vittime di tratta minori e neo-maggiorenni intercettate in sole 5 regioni dagli operatori del progetto Vie d’Uscita di Save the Children è infatti cresciuto del 58%, passando dalle 1.396 vittime del 2017 alle 2.210 nel 2018, mentre i Paesi di origine sono per il 64% la Nigeria e per il 34% Romania, Bulgaria e Albania. È il riscontro diretto di un fenomeno che, se proiettato su tutte le regioni italiane, in virtù della sua trasversalità territoriale, indica realisticamente che i minori o neo-maggiorenni sfruttati sessualmente in Italia sarebbero diverse migliaia.

“Lo sfruttamento sessuale di vittime così giovani e vulnerabili lascia nelle loro vite un segno indelebile con gravissime conseguenze. Anche nel caso più fortunato di una fuoriuscita, sono diversi gli ostacoli che le giovanissime vittime devono superare durante il percorso di inclusione e integrazione indispensabile per poter costruire un futuro dignitoso e autonomo. Sono molte le testimonianze dirette in questo senso delle realtà che operano sul territorio che abbiamo voluto mettere in evidenza nel Rapporto. Siamo impegnati da anni sul campo In Italia, con l’obiettivo di costruire relazioni di collaborazione sempre più forti con le organizzazioni e associazioni presenti sul territorio, e con le istituzioni ad ogni livello, per scongiurare il pericolo che la rete di intervento e protezione non riesca a trattenere proprio le vittime più fragili. Un fenomeno di questa gravità e di queste proporzioni necessità infatti di un intervento nazionale coordinato tra tutti gli attori, in grado di garantire gli standard necessari ad una vera e propria azione di prevenzione, che deve scattare con tempestività appena le potenziali vittime entrano nel nostro Paese, e deve anche fornire i mezzi più efficaci per promuovere la fuoriuscita delle vittime e il loro percorso di integrazione,” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

Per promuovere la sensibilizzazione e avvicinare tutti in modo semplice e coinvolgente al dramma dello sfruttamento sessuale collegato alla tratta, Piccoli Schiavi Invisibili propone quest’anno al suo interno la graphic novel “Storia di Sophia. Una vittima di tratta. Una ragazza.”, illustrata dal fumettista Roberto Cavone, che racconta la storia vera di un’adolescente nigeriana. Il racconto può rappresentare un valido strumento facilmente fruibile per promuovere occasioni di approfondimento anche nelle scuole.

Il business della tratta internazionale a scopo di sfruttamento sessuale in Italia si basa su un sistema in continua evoluzione, che si adatta al mutare delle condizioni. Ad esempio, l’adescamento con la falsa promessa di un lavoro in Italia di vittime anche giovanissime nella Nigeria del sud, dove prevalgono condizioni di povertà e scarsa scolarizzazione, avveniva in gran parte a Benin City (Edo State), ma sembra essersi spostato più a sud, nel Delta State, anche per ovviare agli effetti di un editto della massima autorità religiosa del popolo Edo. Ewmare II, nel 2018 aveva infatti pubblicamente dichiarato nullo il terribile rito juju, utilizzato dai trafficanti per soggiogare e sottomettere con il ricatto le giovani vittime, disarticolando, purtroppo solo temporaneamente, l’intera rete di controllo.

Le ragazze e le donne nigeriane, una volta giunte in Italia, dopo un viaggio attraverso la Libia e via mare dove subiscono abusi e violenze, devono restituire alla maman, la figura femminile che gestisce il loro sfruttamento, un debito di viaggio che raggiunge i 30.000€ e sono costrette a “lavorare” fino a 12 ore tutte le notti, anche per 10-20€ a prestazione, raccogliendo dai 300 ai 700€ al giorno. Buona parte dei soldi servono però per pagare vitto, alloggio e vestiti, spesso anche per l’affitto del posto in strada dove si prostituiscono, e l’estinzione del debito diventa così quasi irraggiungibile. Il controllo delle vittime da parte dei trafficanti è assoluto e violento, come nel caso di Sophia che viene quasi soffocata dalla sua maman per aver chiesto a un cliente il telefono per chiamare sua madre in Nigeria per raccontarle dell’inganno subìto e chiederle aiuto. I trafficanti hanno inoltre spostato il circuito della prostituzione dai luoghi più facilmente identificabili, come le piazzole lungo le provinciali o le maggiori arterie stradali, verso luoghi “meno visibili”, il cosiddetto giro walk, come le fermate dei bus o i parchi, oppure all’interno delle case, che in alcuni casi sono connection-house, gestite e frequentate prevalentemente da connazionali, come quelle segnalate dagli operatori in Campania e Piemonte.

Sulle nostre strade è rimasta invece costante la presenza di ragazze di origine rumena o bulgara, ma si segnala un aumento delle ragazze di origine albanese, un ritorno, che riguarda anche i gruppi criminali albanesi in Italia, secondi solo a quelli nigeriani. Il reclutamento delle vittime nei Paesi di origine avviene con metodi sempre più efficaci, come ad esempio in Romania, dove diverse testimonianze di vittime raccolte in Italia hanno rilevato l’esistenza di  “sentinelle” dei trafficanti che individuano in anticipo negli orfanotrofi le ragazze che stanno per lasciare le strutture al compimento dei 18 anni, e mettono in atto un adescamento basato – come per tutte le connazionali – su finte promesse d’amore e di un futuro felice in Italia, facendo leva sulla loro condizione di deprivazione affettiva. I finti lover boy che sono affiancati ad ogni ragazza lungo tutto il periodo di sfruttamento in Italia, che può durare anni, ne controllano l’attività, portando loro anche bibite energetiche durante la notte per sostenerne lo sforzo, ma esercitano un controllo totale e violento, come nel caso, riportato dagli operatori, di una ragazza rimasta incinta indotta ad entrare in una vasca riempita di cubetti di ghiaccio per indurre l’aborto per shock termico.

“Un sistema di tratta degli esseri umani così forte e spietato nei confronti di ragazze quasi bambine e giovani donne, in grado di adattarsi e modificare il proprio operato per rimanere sommerso, rende più che mai necessario incentivare e rafforzare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito, al fine di rafforzare la lotta alla tratta in quanto crimine internazionale e transnazionale. In Italia occorre intensificare l’azione congiunta, anche promuovendo la definizione e adozione di protocolli e convenzioni per l’individuazione precoce delle vittime di tratta, sulla base di un approccio multi-agenzia che coinvolga tutti gli attori territoriali interessati, quali Forze di Pubblica

Sicurezza, Enti Giudiziari, Enti Locali, Enti Gestori dei centri di accoglienza, Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Ogni singola vittima va aiutata a fruire pienamente del sistema di protezione istituzionale per sottrarsi ai propri aguzzini.” sottolinea Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’Infanzia di Save the Children Italia.

Nelle loro attività di protezione delle vittime minori e neo-maggiorenni orientata alla fuoriuscita e al successivo percorso di inclusione e integrazione sociale, gli operatori partner di Save the Children impegnati nel progetto Vie d’Uscita si vedono costretti a sviluppare continuamente nuove modalità per entrare in contatto con le vittime e stabilire un rapporto di fiducia con loro. Questo si rende necessario quando vengono dirottate su circuiti meno visibili o all’interno delle case, o vengono spostate sempre più frequentemente da una città all’altra, o addirittura in un altro Paese europeo per far perdere le loro tracce.

Il sistema di tutela per le vittime della tratta di esseri umani in Italia

La risposta del sistema italiano di tutela delle vittime di tratta è ancora frammentaria ed è necessario potenziarla, come rilevato anche dal Gruppo di Esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (GRETA) che nel 2018 ha condotto una missione di valutazione del quadro normativo e istituzionale nel nostro Paese rispetto all’applicazione della Convenzione europea in materia.

Il primo Piano Nazionale d’Azione adottato dal Governo nel 2016 per tracciare le linee guida del contrasto e della prevenzione ha rappresentato un passo positivo importante, ma è scaduto a dicembre 2018 e non è stato ancora definito un secondo Piano. Per quanto riguarda il Programma Unico di Emersione, che racchiude invece le misure concrete per l’emersione, l’assistenza e l’integrazione sociale delle vittime, il finanziamento è stato potenziato dall’attuale governo e ammonta a 24 milioni per il triennio 2019-2021. Come sottolinea la relazione del GRETA, si dovrebbero valutare attentamente le esigenze di finanziamento per assicurare che vi siano posti di alloggio sufficienti per le vittime, femmine e maschi, di tratta.

La raccolta dei dati sul fenomeno e sulle vittime di tratta è lacunosa, perché limitata solo a quelle fuoriuscite dal sistema; si dovrebbe creare una struttura nazionale dedicata al coordinamento del lavoro anti-tratta dei ministeri e delle agenzie competenti che possa anche coinvolgere ulteriormente ONG, sindacati e altri membri della società civile nello sviluppo, nell’attuazione e nella valutazione delle politiche anti-tratta.

Molti passi devono inoltre ancora essere fatti per potenziare la prevenzione e l’emersione del fenomeno attraverso una formazione specifica dei funzionari delle forze dell’ordine, il personale della polizia di frontiera, i professionisti che lavorano nei punti di sbarco e nella prima accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo, dei procuratori, dei giudici, dei funzionari dell’asilo, degli assistenti sociali, degli ispettori del lavoro, degli avvocati, degli esperti dell’infanzia e degli operatori sanitari. Tutte figure che, se messe in grado, potrebbero infatti identificare in anticipo le potenziali vittime di tratta tra i migranti e richiedenti asilo giunti in Italia.

“Non si può ignorare – ha aggiunto Raffaela Milano –  il fatto che il fiorente mercato dello sfruttamento sessuale delle minorenni in Italia è legato alla presenza di una forte “domanda” da parte di quelli che ci rifiutiamo di definire “clienti”, i quali sono parte attiva del processo di sfruttamento. E’ necessario rafforzare l’azione di contrasto e, allo stesso tempo, promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e in particolare i più giovani sui danni gravissimi che questo mercato provoca sulle ragazze che ne sono vittima”.

Ulteriori criticità prima, durante e dopo la fuoriuscita sono state riportate dagli operatori sul campo rispetto ai complicati iter burocratici per ottenere, ad esempio, il rilascio dei codici STP (Straniero Temporaneamente Presente), per le ragazze nigeriane ed albanesi – aggravati dall’introduzione del Decreto Sicurezza 113/2018 (legge 132/2018) – ed ENI (Europeo Non Iscritto), per le ragazze originare dei Paesi dell’Est Europa, fondamentale per garantire il riconoscimento del diritto alla salute attraverso i relativi servizi.

Altri nodi critici riguardano il rilascio del permesso di soggiorno, che in ancora troppi territori è vincolato alla denuncia nei confronti degli sfruttatori da parte delle vittime, le quali, soprattutto in una fase iniziale di fuoriuscita, spesso sono restie a formalizzare la denuncia per paura di ritorsioni sui familiari nel Paese di origine. Il permesso di soggiorno d’altronde non rappresenta per le vittime europee o albanesi un efficace strumento di protezione, considerato che la posizione amministrativa di queste donne è comunque regolare in Italia. Per tutte loro vanno messi in campo altri strumenti per incoraggiare e sostenere la fuoriuscita.

“Il fenomeno della tratta e del grave sfruttamento di esseri umani, in particolare di minori, rappresenta una sfida più che attuale per le autorità italiane. Lo sfruttamento sessuale delle donne e delle ragazze originarie della Nigeria, dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa continua a essere perpetrato e si adatta ai tempi. Al suo mutare emergono nuove criticità, mentre altre, che già esistevano, rischiano di diventare croniche. Intercettare e intervenire sulle criticità che gli operatori incontrano sia nell’aggancio, che nel sostegno delle vittime durante il loro percorso di fuoriuscita dalla situazione di assoggettamento, e di integrazione poi, è fondamentale per garantire a queste donne, talvolta giovanissime, la possibilità di immaginare nel nostro Paese un futuro diverso, lontano da violenza e sfruttamento.” conclude Raffaela Milano.

L’intervento di Save the Children in Italia

Per offrire un sostegno specifico ai minori stranieri reclutati da organizzazioni e reti criminali nei Paesi di origine per essere sfruttati in Italia nel circuito della prostituzione, l’Organizzazione ha attivato dal 2012 il progetto Vie d’Uscita. Il progetto viene realizzato in partenariato in Marche e Abruzzo con l’Associazione On the Road, in Veneto con Comunità dei Giovani Cooperativa Sociale e la Cooperativa Sociale Equality, con la Cooperativa Sociale CivicoZero a Roma nel Lazio, con MEET Project Cooperativa Sociale in Calabria e con la Congregazione Figlie della Carità San Vincenzo de Paoli in Sardegna, e dal 2019 anche in Piemonte con PIAM Onlus. Nel 2018 Vie d’uscita ha sostenuto l’avvio di 32 percorsi di avviamento all’autonomia di vittime fuoriuscite dal sistema di sfruttamento, per 31 ragazze e un ragazzo.

Con l’obiettivo di offrire supporto e protezione ai minori stranieri non accompagnati in Italia, e garantire loro opportunità di inclusione sociale, Save the Children è presente con i propri programmi nelle principali aree di sbarco alla frontiera sud, nelle maggiori città di arrivo e transito come Catania, Roma, Milano, e Torino – dove è attivo il progetto CivicoZero – e ai principali valichi di confine terrestre al nord del Paese.

Dal 2016, l’Organizzazione ha infine attivato la Helpline Minori Migranti per offrire adeguato sostegno agli stessi minori stranieri non accompagnati, ma anche a tutti coloro che hanno necessità di ricevere informazioni ad hoc, dai familiari dei minori agli operatori delle strutture di accoglienza, dai volontari ai comuni cittadini. Il servizio, gratuito e multilingue, è attivo dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 17, al numero verde 800 14 10 16 oppure, per gli utenti Lycamobile, 3512202016.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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