Una ruota quadrata che non gira. Il sistema Italia avanza a fatica, arranca tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto cosi’ bene come durante questo anno eccezionale: l’epidemia, infatti, ha squarciato il velo sulle vulnerabilita’ strutturali del nostro paese. Il re e’ nudo e ora il rischio e’ che, una volta che ci saremo lasciati alle spalle il virus, questi difetti si ripresentino domani piu’ gravi se non si interviene ora in maniera energica. La fotografa che il Censis scatta come ogni anno nel 54.mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, trova una societa’ indebolita e impantanata, in cui prevalgono paura e ansia e che nella logica del meglio sudditi che morti rinuncia ai propri diritti, si aggrappa al salvagente dello Stato e approva anche le ultime restrizioni natalizie; ma proprio in questa crisi si scorge l’opportunita’ di quel cambio di passo, non piu’ rinviabile, per poter rimettere in cammino l’economia e risaldare la societa’. Nell’anno della paura nera dell’epidemia, il virus ha aggredito una societa’ gia’ stanca e ha accelerato alcuni processi gia’ in atto. Nell’Italia gia’ provata da anni di resistenza alla divaricazione dei redditi, il Covid ha infatti ampliato le disuguaglianze sociali gia’ esistenti, con da una parte sempre piu’ famiglie con un sussidio di cittadinanza (+22,8%), e dall’altra pochi miliardari (40) aumentati sia in numero che in patrimonio durante la prima ondata dell’epidemia. La vera frattura sociale risulta essere tra chi ha la certezza del reddito e chi no. Se ci sono 3,2 milioni di “garantiti assoluti”, i dipendenti pubblici, cui si aggiungono 16 milioni di pensionati che si trasformano in “silver welfare” a supporto di figli e nipoti, per il resto si entra nelle “sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive”; c’e’ poi la falange dei piu’ vulnerabili, i dipendenti del settore privato e le partite Iva; infine, “l’universo degli scomparsi”, circa 5 milioni di persone alle prese con lavoretti nei servizi e lavoro nero, inabissatisi senza rumore. E con il lavoro che va a picco, a pagare il conto sono i piu’ deboli, i giovani e le donne, che hanno perso nel terzo trimestre gia’ 457 mila i posti di lavoro, mandando in fumo il 76% dell’occupazione. In questa crescente incertezza, in cui si fanno sempre meno figli (i nuovi nati nel 2019 sono stati 420.170 e quest’anno sprofonderanno sotto soglia 400 mila) e si riduce la propensione al consumo, si sceglie la strada di mettere i soldi da parte per evitare di contrarre debiti: cresce infatti la liquidita’ delle famiglie (contante e depositi a vista hanno superato 1.000 miliardi). Ma ci sono anche persone a rischio immediato di insicurezza economica, che dispongono di risorse finanziarie per meno di un mese (il 17,1%).
E sempre piu’ famiglie in difficolta’ a pagare il riscaldamento della casa. L’emergenza accentua i divari anche nelle scuole: l’esperimento della didattica a distanza, infatti, sembra non aver funzionato adeguatamente tanto che per il 74,8% dei dirigenti ha ampliato il gap di apprendimento tra gli studenti. Il virus ha anche evidenziato i limiti del sistema sanitario nazionale, che e’ arrivato all’appuntamento col Covid “piuttosto fragile”, dopo anni di contenimento della spesa pubblica nella sanita’ e di “mancato ricambio generazionale di medici e infermieri”. Ma ha anche portato il 37% degli italiani ad utilizzare molto meno di prima i mezzi pubblici. E’ una societa’ in cui si e’ radicata la “bonus economy”, una mole di sussidi per 26 miliardi a oltre 14 milioni di beneficiari (quasi 2 mila euro a testa ad un quarto della popolazione). Una societa’ che nel 2020 ha preferito spostarsi nelle seconde case piuttosto che viaggiare e si e’ riscoperta sempre piu’ digitale. Ma anche una societa’ in cui il clima di incertezza e paura legato alla pandemia spinge il 40% degli italiani a considerare un’azzardo avviare un’impresa dopo l’epidemia e fa riaffiorare l’idea di giustificare la pena di morte (quasi la meta’ degli italiani la reintrodurrebbe). “Il timore e’ che questi difetti possano ripresentarsi domani piu’ gravi di prima se non interverremo in maniera energica”, osserva il direttore generale del Censis Valerii. La strada, indica il Censis, parte dal sistema fiscale, per arrivare al ridisegno del sistema fiscale, fino alle questioni territoriali. “La sfida e’ che la classe dirigente ritrovi la forza e il coraggio di mettere mano ai problemi del Paese”, osserva il segretario generale De Rita. E soprattutto serve chiarezza, indica il presidente del Cnel Treu, luce indispensabile per aiutare il disorientamento.
Prosegue il calo degli sportelli bancari in Italia che, alla fine dello scorso anno, sono risultati oltre 800 in meno. Come si evince dalle tabelle della Banca d’Italia, il 2023 ha visto una ulteriore riduzione dai 20.985 di fine 2022 ai 20.161 di fine 2023. La diminuzione, sottolinea Via Nazionale, ha riguardato tutte le regioni ed è stata percentualmente più accentuata nelle Marche, in Abruzzo e in Sicilia.
Un colpo di spugna improvviso. Dopo il boom del deficit registrato da Istat a inizio mese con un disavanzo 2023 volato dal 5,3 per cento della Nadef al 7,2 per cento, il governo ha deciso di mandare in soffitta il Superbonus introdotto nel maggio 2020 dal governo Conte II. Federica Brancaccio, presidente Ance, spiega a “Milano Finanza” a cosa e’ dovuta questa scelta a sorpresa: “Ce lo stiamo chiedendo da giorni. Probabile che ci sia stata qualche ulteriore scoperta sui conti: una misura cosi’ d’urgenza, di cui nessuno sapeva nulla alla vigilia del Consiglio dei ministri, fa supporre che si sia verificato qualche imprevisto dell’ultimo minuto”.
“Il testo – aggiunge – ancora non c’e’, e questo ci turba da un lato ma ci rassicura sulla valutazione in merito a possibili correttivi dall’altro. Se lo Stato non dara’ un segnale di continuita’ alle zone del Centro Italia colpite dal sisma, si rischia un’accelerazione dello spopolamento. A essere colpite saranno anche le case popolari e le residenze per anziani”
Per il resto, il bonus “dovrebbe continuare a valere pur in formula ridotta, non essendo il decreto retroattivo”. Questo continuo cambio di registro finisce per esporre le imprese edili all’incertezza: “Quello della certezza e’ un tema su cui ci stiamo battendo da anni: se da parte di cittadini e imprese manca la fiducia in decisioni e leggi che cambiano di continuo, a mancare sara’ la fiducia nei confronti della politica industriale dei governi e piu’ in generale nelle prospettive di crescita del Paese: con la perenne spada di Damocle delle modifiche in corso d’opera sulla testa, nessuno investira’ piu’. E se non si investe, si blocca la crescita”. La scelta del governo appare motivata dalla volonta’ di porre un argine alla spesa.
“Certo, ed e’ comprensibile. Tuttavia non c’e’ solo il deficit da tenere sotto controllo ma anche il suo rapporto con il Pil: se interveniamo solo sul disavanzo senza incentivare la crescita, potremmo anche aver fermato l’emorragia, ma poi servono sacche di sangue da rimettere in circolo”.
Il bonus era stato pensato anche come strumento per favorire l’efficientamento energetico: dati alla mano, pero’, solo il 4 per cento degli edifici risulta riqualificato in tal senso: “Rispetto all’obiettivo di riduzione dei consumi del 16 per cento al 2030, con il Superbonus siamo al 5. La direttiva ha cambiato paradigma in senso qualitativo: prima parlava di ‘efficientamento’, ora di ‘riduzione dei consumi'”.
Brancaccio rileva infine che “non si parla piu’ di un tema sul quale il governo si era impegnato a trovare una soluzione: i crediti non monetizzati. Avremo il dato di quanti crediti andranno persi e non saranno compensati, nell’incertezza di famiglie e imprese che continuano a chiederci aiuto. E’ questa incertezza continua il dato piu’ preoccupante. Si parla tanto di risparmio degli italiani che rispondono prontamente ogni volta che lo Stato chiama. Ma – conclude – servono regole chiare. Fino a ieri si pensava di avere tempo fino al 15 ottobre per rettificare, ora all’improvviso questa misura non c’e’ piu’: un altro fulmine a ciel sereno che contribuisce ad accrescere la confusione”.
“È per me un grandissimo onore essere accolto nella Maison Valentino. Sento l’immensa gioia e l’enorme responsabilità nel fare ingresso in una maison de couture che ha inciso la parola bellezza in una storia collettiva fatta di ricercatezza ed estrema grazia. A questa storia va il mio primo pensiero: alla ricchezza del suo patrimonio culturale e simbolico, al senso di meraviglia che ha saputo costantemente generare, all’identità preziosissima che i suoi padri fondatori, Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, le hanno donato con amore sfrenato. Si tratta di riferimenti che hanno sempre rappresentato per me un’ irrinunciabile fonte di ispirazione e a cui intendo rendere omaggio rileggendoli attraverso la mia visione creativa”.
Così Alessandro Michele, che a pochi giorni dall’addio alla Valentino di Pierpaolo Piccioli, cresciuto per 25 anni nella maison romana, ne assume il ruolo di direttore creativo. Il suo nome in verità era circolato subito tra i papabili, suscitando però qualche perplessità negli addetti ai lavori. Questo perché il nuovo responsabile del team creativo della maison aveva lasciato Gucci, di cui è stato designer per quasi otto anni, nel novembre 2022. Ma nel suo regno da Gucci si era distinto per la sua moda anticonvenzionale e innovativa, per l’imposizione dello stile genderless e per l’abilità nel commercializzare pezzi sciolti e accessori. Doti che avevano portato il fatturato di Gucci da 3 miliardi di euro appena arrivato nel 2015 a 10 miliardi nel 2022. Ma la sua estetica è molto distante da quella imposta invece dalle rigide regole sartoriali delle maison di haute couture.
Del resto però, con Michele rimane tutto in famiglia, perchè Gucci è entrato a far parte dei marchi del Gruppo Kering, che ha acquisito il 30% della Valentino nel luglio scorso, dal gruppo del Qatar Mayhoola, attuale proprietario, con l’opzione di arrivare al controllo del 100% entro il 2028. Per quanto riguarda il rodaggio del neo direttore creativo, che assume comunque un’eredità pesante dalla perfezione raggiunta da Piccioli, servono i tempi tecnici per il debutto. Quindi, dopo aver annunciato che Valentino salterà le collezioni uomo e alta moda che avrebbero dovuto sfilare a giugno, la prima collezione firmata da Michele sarà in pedana il prossimo ottobre, durante la fashion week parigina dedicata alle collezioni donna Primavera/Estate 2025. Ma lo stilista comincerà a lavorare per la maison da martedì 2 aprile, chiarisce la nota ufficiale, “nella sede storica di Roma, dove la maison fu fondata nel 1960” da Valentino Garavani. Il nome di Alessandro Michele in questi mesi era stato fatto ipotizzando il suo arrivo da Fendi e da Walter Albini. Ma si trattava di pure congetture. L’unico dato certo era che dal 2022 l’ex di Gucci era libero.
“Il mio grazie, immenso e sconfinato – scrive ora lo stilista – va a Jacopo Venturini (ceo della Valentino con un passato in Prada e in Gucci, ndr). Tornare a lavorare con lui è per me un sogno meraviglioso che si avvera. Oggi cerco le parole più adatte per dire la gioia, per renderle omaggio: i sorrisi che scalciano in petto, il senso di profonda gratitudine che accende gli occhi, quel momento prezioso in cui necessità e bellezza si tendono la mano. La gioia è però cosa talmente viva che temo di ferirla, dicendola. Che basti quindi il mio inchino a braccia spalancate per celebrare in questo inizio di primavera, la vita che si rigenera e la promessa di nuove fioriture”. “Sono molto contento ed emozionato di tornare a lavorare con Alessandro Michele – ribatte Venturini – dopo anni di lavoro insieme. Il suo talento, la sua creatività, la sua intelligenza sempre legata ad una meravigliosa leggerezza, scriveranno un altro capitolo della Maison Valentino. Sono certo che la rilettura dei codici della maison e dell’heritage creati dal signor Valentino Garavani uniti alla straordinaria visione di Alessandro ci faranno vivere momenti di grande emozione e si tradurranno in oggetti irresistibilmente desiderabili”.