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Cronache

Raffaele Morelli al Corriere della Sera: “Siamo un mistero, ma lo abbiamo ucciso”

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Raffaele Morelli, psichiatra e psicoterapeuta, fondatore dell’Istituto Riza e direttore di Riza Psicosomatica, ha concesso un’ampia intervista al Corriere della Sera, in cui ha parlato del disagio contemporaneo, della perdita del sacro, del ruolo della tristezza e dell’effetto devastante del giudizio altrui sulla nostra psiche. A 76 anni, dopo decenni di studi e pratica clinica, Morelli continua a esplorare il mondo della mente umana attraverso i suoi podcast da otto minuti, dove invita a non dipendere dai giudizi degli altri e a riscoprire il valore dell’interiorità.

L’ansia e gli attacchi di panico: “Energia vitale che irrompe”

Tra i disagi più diffusi, Morelli identifica l’ansia, che descrive non come un disturbo da combattere, ma come “un tentativo dell’inconscio di portarti a un sapere superiore”. Da 40 anni non prescrive psicofarmaci, preferendo chiedere ai pazienti un ricordo felice dell’infanzia, per riconnettersi con quella parte autentica di sé stessi che spesso viene dimenticata.

Gli attacchi di panico, invece, rappresentano per lui un problema crescente tra i giovani, strettamente legato alla società iperconnessa:

“I giovani vivono ancorati a Internet tutto il giorno, nei social diventano i robot degli altri. A 18 anni le ragazzine chiedono di rifarsi il seno. Appena hanno un lavoro, risparmiano per ritoccarsi labbra, zigomi, naso. Ma se cambi il volto, modifichi l’immagine che avevi al momento in cui fosti concepito”.

Secondo Morelli, la bellezza è un veleno: il desiderio di piacere agli altri porta a una ricerca costante di conferme che finisce per svuotare l’identità.

“La tristezza è santa, smettiamo di negarla”

Uno dei concetti più forti espressi nell’intervista riguarda la tristezza, che per Morelli è un sentimento necessario e sacro, in opposizione alla cultura contemporanea che impone un falso obbligo alla felicità. Racconta un episodio significativo:

“Il rabbino Menachem Mendel Schneerson mi telefonò da New York e confessò: ‘Tutti i giorni cerco la tristezza’. La depressione non ti assale perché sei sbagliato: ti coglie per farti azzerare un’esistenza sbagliata. Gli ebrei parlano di santa insicurezza. In realtà è la tristezza a essere santa”.

Per Morelli, la nostra cultura ha perso profondità: “Siamo maschere di noi stessi”, e il dolore non è un nemico, ma un messaggio da ascoltare.

La perdita del sacro e la crisi della modernità

L’assenza di spiritualità è un altro tema chiave dell’intervista. Morelli cita Jung, che sulla facciata della sua casa fece scolpire la frase: Vocatus atque non vocatus, Deus aderit (“Chiamato o non chiamato, Dio sarà presente”), e sottolinea come le civiltà che hanno smarrito il divino siano quelle più colpite da droghe, alcol e suicidi.

“Mia madre accendeva un cero e supplicava: ‘Madonna, pensaci tu!’. Pregava un essere sconosciuto. Oggi lo sconosciuto è il sacro. Il mondo l’abbiamo tutto qui, davanti agli occhi, appiattito”.

L’uomo moderno ha sostituito il mistero con il controllo, ma questo lo ha portato a perdere il contatto con la propria interiorità.

L’eros, il tradimento e la coppia: “L’amore è brace, non fiamma”

Un altro tema toccato da Morelli riguarda le dinamiche della coppia e il rapporto con l’eros. Secondo lui, il tradimento non è un imperativo, ma una possibilità naturale quando il desiderio si spegne:

“Se in una coppia l’eros si spegne, si riaccende altrove. Esistono l’amore della fiamma e l’amore del focolare. Il primo divampa, ma non dura. Il secondo è una brace, emette calore”.

Rancore e memoria: il veleno della mente

Uno degli aspetti più inquietanti della società moderna, secondo Morelli, è la diffusione del rancore e dell’invidia. Dichiara che 8 italiani su 10 vivono con questi sentimenti repressi, che avvelenano l’anima.

“Il rancore è il veleno dell’anima. Quando odiamo, ci autointossichiamo. Il cervello dovrebbe funzionare come l’intestino: assorbire le cose utili e scartare le scorie. Ma oggi siamo ossessionati dai ricordi inutili. Per questo gli psicofarmaci sono esplosi: 12 milioni di italiani li assumono regolarmente”.

La sua teoria è radicale: “Il pensiero è un nemico”, e l’eccesso di memoria potrebbe essere una delle cause dell’Alzheimer:

“Impariamo troppe nozioni inutili, ricordiamo troppo. E il cervello si ribella”.

“Mangiamo troppo perché siamo insoddisfatti”

Per Morelli, l’obesità non è solo un problema alimentare, ma un segnale di insoddisfazione.

“Nel cervello il centro della fame è collegato a quello del piacere. Se un bambino sta giocando e la madre lo chiama a tavola, lui risponde: ‘Mamma, no, sto giocando’. Mangiamo troppo perché non giochiamo più”.

E aggiunge una nota preoccupante: “Spendiamo 136 miliardi di euro l’anno nel gioco d’azzardo”.

Il mistero della morte: “Marcire per liberare il seme”

Sul tema della morte, Morelli esprime una visione spirituale e naturale al tempo stesso:

“Con la perdita di coscienza, non moriamo ogni notte? Penso ai frutti: marciscono per liberare il seme”.

Una metafora che invita a lasciare andare, accogliendo il ciclo della vita con consapevolezza e accettazione.

Conclusione: ritrovare il contatto con la natura

Alla fine dell’intervista, Morelli cita un episodio che racchiude il senso del suo pensiero:

“Una maestra milanese ha chiesto ai suoi alunni: ‘Da dove nascono le arance?’. Risposta: ‘Dalle ceste’. Ci salverà la natura, la radice. In greco, riza”.

Un monito che invita a riscoprire le origini, abbandonando le illusioni della modernità per tornare a un’esistenza più autentica e profonda.

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Cronache

Tragedia a Muggia: madre ucraina uccide il figlio di nove anni, il bambino era stato affidato al padre

A Muggia, in provincia di Trieste, una madre ucraina ha ucciso il figlio di nove anni tagliandogli la gola. Il bambino, affidato al padre dopo la separazione, era in visita alla donna.

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Una tragedia sconvolgente ha scosso la comunità di Muggia, alle porte di Trieste. Una donna di nazionalità ucraina ha ucciso il figlio di nove anni, tagliandogli la gola con un coltello all’interno della loro abitazione in via Marconi, nel centro cittadino.

L’allarme è stato lanciato nella serata di ieri dal padre del bambino, che vive fuori dal Friuli Venezia Giulia e non riusciva a mettersi in contatto con l’ex compagna. Quando la Squadra Mobile di Trieste è arrivata nell’appartamento, il piccolo era già morto.


Una famiglia seguita dal tribunale e dai servizi sociali

La vicenda familiare era nota ai servizi sociali ed era seguita anche dal tribunale minorile. Dopo la separazione, la custodia del bambino era stata affidata al padre, ma la madre aveva mantenuto il diritto di incontrare il figlio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni del giudice.

I rapporti tra i due genitori erano difficili, come hanno riferito persone vicine alla famiglia. Ieri sera, l’incontro si è trasformato in tragedia.


Il corpo trovato in bagno, la madre in stato di choc

Quando i Vigili del Fuoco e gli agenti di polizia sono entrati nell’abitazione, il corpo del bambino era già senza vita da diverse ore e si trovava nel bagno di casa.

La donna è stata trovata in stato di choc e soccorsa sul posto. Gli inquirenti stanno ricostruendo la dinamica dei fatti e le eventuali motivazioni del gesto, mentre la Procura di Trieste ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario aggravato.

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Cronache

Inchiesta sui cellulari in carcere: perquisizioni ad Avellino, 18 indagati tra detenuti ed ex detenuti

I Carabinieri di Avellino e la Polizia Penitenziaria hanno eseguito perquisizioni nel carcere “Antimo Graziano” e in altre sedi: 18 indagati per uso illecito di cellulari in carcere, uno anche per stalking.

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino, insieme alla Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale e al Nucleo Investigativo Regionale per la Campania, hanno eseguito un decreto di perquisizione locale e personale a carico di 18 indagati, tutti detenuti o ex detenuti dell’istituto penitenziario “Antimo Graziano” di Avellino.

Gli indagati sono gravemente sospettati del reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale). In un caso si procede anche per atti persecutori (articolo 612 bis).


L’operazione nel carcere “Antimo Graziano”

Le perquisizioni, disposte dalla Procura della Repubblica di Avellino, hanno interessato le celle ancora occupate dagli indagati con l’obiettivo di rintracciare e sequestrare dispositivi elettronici e schede SIM detenuti illegalmente.

Il provvedimento nasce da un’indagine condotta dai Carabinieri di Avellino a partire da febbraio 2025, mirata a contrastare il fenomeno dell’uso di smartphone e cellulari all’interno delle carceri, spesso utilizzati per comunicazioni non autorizzate o per accedere ai social network.


La rete dei contatti e i profili social

Le investigazioni hanno rivelato una vera e propria rete di telefoni connessi, una “connected cell” che consentiva ai detenuti di mantenere rapporti continui con l’esterno. Attraverso l’analisi di tabulati telefonici e telematici, spesso riferiti a utenze intestate a soggetti fittizi, gli investigatori hanno ricostruito il circuito relazionale dei detenuti, identificando familiari e amici contattati illegalmente.

Su alcuni profili social riconducibili agli indagati sono stati trovati messaggi e immagini di rilievo investigativo, che confermano l’uso illecito dei dispositivi per comunicazioni e attività potenzialmente criminali.


Un caso di stalking tra i reati scoperti

Le indagini hanno inoltre evidenziato che i telefoni venivano utilizzati anche per commettere altri reati. In particolare, un detenuto è risultato gravemente indiziato di atti persecutori ai danni della vedova dell’uomo da lui ucciso, utilizzando lo smartphone per continuare a molestarla anche dal carcere.

L’inchiesta resta aperta, mentre la Procura di Avellino valuta ulteriori sviluppi per accertare eventuali responsabilità all’interno dell’istituto penitenziario.

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Cronache

Scoperto bunker-serra di marijuana nell’Aspromonte: denunciati padre e figlio a Platì

I carabinieri scoprono un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla a Platì: coltivavano marijuana con un impianto elettrico abusivo. Denunciati padre e figlio.

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Un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla in mezzo alla vegetazione aspromontana è stato scoperto dai carabinieri della Stazione di Platì, insieme ai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e del 14° Battaglione “Calabria”, nel corso di un’operazione di controllo del territorio contro la produzione di sostanze stupefacenti.

Padre e figlio, entrambi denunciati in stato di libertà, sono ritenuti responsabili di aver realizzato una vera e propria serra “indoor” per la coltivazione di cannabis, trasformando un capanno agricolo in disuso in un sofisticato laboratorio sotterraneo.

Il cavo elettrico che ha svelato il bunker

L’operazione è scattata dopo una lunga attività di osservazione. Durante una perlustrazione in un’area rurale, i carabinieri hanno notato un cavo elettrico che si perdeva tra gli alberi. Seguendone il tracciato per centinaia di metri, sono giunti all’ingresso di un capanno apparentemente abbandonato.

Dietro un pannello basculante azionato da un sistema di contrappesi, nascosto alla vista, si celava l’accesso a un bunker sotterraneo. All’interno, i militari hanno trovato una piantagione di marijuana con piante alte tra 70 e 110 centimetri, illuminate e ventilate da un impianto elettrico e di aerazione alimentato da un allaccio abusivo alla rete pubblica.

Una serra illegale tecnologicamente avanzata

La struttura era interamente realizzata abusivamente e dotata di tutto il necessario per garantire la crescita indisturbata delle piante: trasformatori, ventilatori, lampade e sistemi di ventilazione ricreavano le condizioni ottimali di una serra professionale.
Tutto era stato studiato nei minimi dettagli per nascondere l’attività e mantenerla attiva in modo costante, lontano da occhi indiscreti.

L’operazione dei carabinieri di Locri

L’intervento rientra in una più ampia strategia di contrasto al narcotraffico condotta dai carabinieri della Compagnia di Locri, che da tempo intensificano i controlli nelle aree più impervie dell’Aspromonte, spesso utilizzate per la produzione e lo stoccaggio di droga.

In una nota, l’Arma ha sottolineato come “la conoscenza del territorio e l’esperienza operativa dei militari restano un baluardo fondamentale contro l’illegalità”, ribadendo l’impegno quotidiano nel controllo delle zone rurali più isolate della Calabria.

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