Il 10 aprile 1988 avevo 11 anni e fino ad allora a Napoli non ero andato molte volte. Provenendo da Caiazzo, un’antica cittadina collinare dell’Alto Casertano, che con i suoi cinquemila abitanti al confronto sembrava un tranquillo salottino, restavo sempre impressionato dal vedere migliaia di persone attraversare strade adornate da palazzi elegantissimi e vetrine strapiene di ogni cosa, mentre mendicanti, abusivi e popolani parlavano di tutto con i signori del quartiere Chiaia. Col tempo avrei imparato che Napoli è una creatura animata, ed in quanto tale vive di pulsazioni e di sbalzi che si propagano ad una frequenza d’onda dalle ampiezze infinite, che puoi captare solo se apri il cuore.
Dunque, in quella fortunata domenica, mio zio Beniamino, che Dio lo benedica sempre anche solo per questo, agganciò me e mio padre mentre scendevamo da via Latina. Abbassò il vetro della sua fiammante FIAT “Ritmo” cabriolet e disse a gran voce: “Alfre’, mi è avanzato un biglietto per Napoli Inter di oggi, ma dobbiamo partire subito, porta pure Giovanni che gli facciamo vedere Maradona…jamme bell ‘ja’ !”.
Io, che al San Paolo non c’ero mai stato prima, tremai al solo pensiero che mio padre potesse desistere. Ma il richiamo era troppo forte. Dopo pochi minuti e la benedizione di tutta la famiglia, saltammo il consueto pranzo domenicale dai nonni e salpammo così alla volta di Napoli.
Quando arrivammo sulla Tangenziale intasata, era già festa grande. La lenta discesa verso lo stadio era surreale. Superammo centinaia di macchine parcheggiate praticamente una sull’altra, ovunque, anche davanti a Vigili che non potevano far altro che assistere ad un flusso di umanità che non si sarebbe fermata neanche davanti all’eruzione del Vesuvio. Era la scoperta di un altro mondo, magico, dove si facevano cose singolari, come mangiare la pizza a mezzo giorno, e non quella al taglio, proprio quella rotonda, grande. Dopo aver pranzato alla velocità della luce, entrammo nel tempio del calcio partenopeo trascinati come da un fiume in piena che si butta ripido nel mare aperto. Una volta dentro non credevo ai miei occhi, e rimasi a bocca aperta nel comprendere che in realtà quella struttura sportiva nascondeva una gigantesca astronave che già cominciava a scaldare i motori, alimentati da un mix di canti, boati dinamitardi, vivaci parolacce e urla di festeggiamento. Mi sembrava un sogno, eppure ero sveglio. Tutto era permesso, tutto si amalgamava. Poi il tempo sembrò rallentare e capimmo che stava per arrivare lui, il capitano che aveva liberato noi napoletani non solo dall’atavico complesso di inferiorità calcistica, ma per la prima volta ci aveva raccolto sotto un’unica bandiera azzurra che ben presto, oltre alla vittoria sportiva, forse per caso, o forse per una volontà superiore, anticipava un riscatto culturale che avrebbe portato Napoli a rivendicare il suo giusto ruolo nel mondo, per il suo essere incubatrice di estro, passione, storia e bellezza senza fine; tutti elementi che fino a quel momento noi stessi non avevamo mai metabolizzato, per nostra colpa o per colpa di altri, o di altro.
Omaggi, tributi e candele in onore di Diego Armando maradona fuori ai cancelli dello stadio San Paolo, che sarà ribattezzato con il nome del fuoriclasse argentino, a Napoli. Ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Finalmente Diego Armando Maradona si materializzò emergendo dal basso, come una divinità ascesa sulla Terra dalle viscere del mistero. In quel preciso istante lo stadio iniziò a prendere rapidamente quota. Ad ogni bribbling dell’Argentino più Napoletano di ogni Napoletano, l’ovale volante accelerava e iniziava a compiere manovre acrobatiche di ogni genere. Ci ritrovammo presto a non percepire più la gravità ed anche durante le fasi di looping non potevamo capire se eravamo a testa in giù o meno. Perché nella dimensione cosmica dove ci aveva proiettato Santa Maradona, l’unico punto di riferimento era rappresentato dalla sua maglia azzurra numero dieci, attorno alla quale orbitavano tutti i giocatori del campo, i tifosi e tutte le stelle del firmamento.
Poi ad un certo punto la nave spaziale si fermò davanti alla Luna piena, come quella di questa sera.
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Tutti ammutolirono. La barriera dei difensori interisti nel campo si tramutò immediatamente in un muro del pianto, sul quale stava per abbattersi una inesorabile sferzata parabolica del Re di Napoli. Nel preciso momento in cui il pibe de oro toccò la palla era già festa, e quando in pochi attimi la sfera trapassò la linea della porta difesa da un grande Walter Zenga, che nulla poté se non restare ammirato da quella prodezza che sfuggiva a tutte le leggi della fisica universale, si aprirono all’unisono tutte le porte del vettore interstellare. Così scendemmo tutti sulla Luna a festeggiare una vittoria che era già storia, coscienti che avevamo assistito ad un evento che era diventato leggenda fin dall’atto del suo compimento.
Ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Era la mia prima volta allo Stadio San Paolo ed avevo visto il Napoli battere l’Inter con una magia di quel Maradona che ancora oggi, anzi oggi più che mai, ci fa battere forte il cuore.
Quella ovviamente non fu la sua unica impresa. Ce ne erano state tante altre prima e tantissime ce ne furono ancora. Diego fece il giro di tutte le galassie, fu risucchiato più volte da tanti buchi neri ma ne riuscì sempre dall’altro lato, quello della luce, anche quando credevamo che non avrebbe più potuto. Come ci sia riuscito, nessuno potrà mai saperlo, perché gli Dèi sono fatti così, ed è per questo che lui è sempre ritornato a Napoli. Ed ora che è diventato una immensa Stella azzurra, grande quasi quanto tutto il cosmo, veglia sulla Città e sul suo Popolo al quale ha donato orgoglio, speranza e consapevolezza, e su tutti quelli che nella sua scia inseguono il sogno di riscossa. Ora lo stiamo insegnando ai nostri figli e lo trasmetteremo alle generazioni future.
Ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Caro Diego Armano Maradona, tu ci hai regalato felicità e dignità, ora tocca a noi, anche nel tuo nome, fare di tutto per amare e rispettare Napoli come merita, perché tutto abbia un senso.Perché ora siamo tutti Maradona.
Le acque che all’improvviso diventano verdi, il colore degli ecologisti. E così da Roma a Milano, da Venezia a Torino a Bologna gli attivisti di Extinction Rebellion hanno dato vita a un blitz ambientalista per denunciare “l’ennesimo fallimento politico della Cop28 e dei governi mondiali nel contrastare la crisi climatica e la sesta estinzione di massa”. Nessun pericolo per le acque, si sono affrettati a dire gli eco-attivisti: “la sostanza utilizzata per tingere di verde è fluoresceina, un sale innocuo per le persone e per la flora e la fauna, usato da geologi, speleologi e anche da idraulici”.
A Venezia, mentre il Canal Grande cambiava colore, alcuni ambientalisti si sono calati con corde e imbragatura dal ponte di Rialto esponendo uno striscione con la scritta “Cop28: mentre il governo parla noi appesi a un filo”. Solo due giorni fa erano stati i giovani di Ultima Generazione a prendere di mira la Basilica di San Marco con un lancio di fango liquido misto a cioccolato. Non sono mancati attimi di tensione: mentre centinaia di turisti si accalcavano sulle rive del Canal Grande per fare foto e video dell’acqua verde, un uomo ha preso di mira i dimostranti di Extinction Rebellion condannando la forma di protesta e gridando “con voi altro che il fascismo ci vorrebbe”.
Uno degli ambientalisti ha preso il megafono e ha risposto: “Il governo italiano ha lanciato un allarme rosso contro tutti gli attivisti climatici. Ci chiamano eco vandali e sapete come reagiamo? Fregandocene e venendo qui a lanciare il vero allarme. Venezia sarà una delle prime città al mondo a pagare le condizioni climatiche”. Sul Canal Grande la circolazione è stata bloccata e sul posto sono arrivati anche i sommozzatori dei vigili del fuoco per garantire la sicurezza durante la discesa dal ponte. Ventotto gli eco attivisti fermati e identificati per il blitz a Rialto e, fa sapere il Prefetto di Venezia Michele Di Bari, “non si esclude la possibilità di denuncia per interruzione di pubblico servizio”.
La presenza degli attivisti imbragati e sospesi dal ponte di Rialto ha infatti comportato lo stop della navigazione per un’ora e un quarto. A Milano a diventare verde sono stati i Navigli. Sul ponte Alda Merini è stata appesa la scritta ‘Il governo parla, la terra affonda’. Gli attivisti hanno anche inscenato una sorta di flash mob sdraiandosi a terra con addosso dei cartelli e hanno fatto affondare una casa di carta perché, hanno spiegato in una storia su Instagram, “stiamo letteralmente affondando”. Anche il Tevere, a Roma, si è colorato di verde. Il blitz è avvenuto all’altezza dell’Isola Tiberina.
“Respira e poi ribellati con noi”, la scritta sui volantini distribuiti ai passanti incuriositi affacciati sui ponti che hanno scattato foto. A Bologna alcuni canotti sono stati rilasciati nel canale del Reno, noto come la ‘Piccola Venezia’, che passa in centro città e su cui si affaccia la famosa finestrella di via Piella, star di Instagram. Sulla riva del Guazzatoio, oggi aperta al pubblico, gli attivisti hanno atteso l’intervento delle forze dell’ordine con un piccolo presidio. L’ultima città ad essere stata presa di mira è Torino: una quindicina di attivisti ha raggiunto le rive del Po lungo i Murazzi e ha gettato la fluorescina per poi srotolare lo stesso striscione esposto a Milano dal ponte della Gran Madre. E anche qui gli attivisti hanno utilizzato una casetta di legno ancorata sul fiume, a rappresentare le conseguenze della crisi ecoclimatica.
E’ morta, al Parco Oltremare di Riccione, Pelè, la delfina più longeva d’Italia e d’Europa e, con i suoi 59 anni, una tra i delfini più anziani al mondo in ambiente controllato. Ne dà notizia lo stesso parco tematico romagnolo secondo cui studi scientifici internazionali accertano che i delfini in natura vivono in media 20 anni mentre in in ambiente controllato l’età media dei tursiopi è di circa 40 anni. Texana d’origine, Pelé era arrivata al Delphinarium di Riccione nel 1972 ed era stata battezzata così per la sua abilità nel giocare con la palla e nell’agguantare il pesce al volo. Dal 2004 il Parco Oltremare è stata la sua casa. Pelè, era stata insignita, da anni, della cittadinanza onoraria di Riccione. Ora, spiegano da Oltremare, “resta il profondo dolore di tutto lo staff, della direzione e di tutti i dipendenti dell’azienda, per la perdita di questo storico animale”.
Sono arrivati in centinaia grazie al tam tam via social: appuntamento fuori dal centro commerciale Shopville Gran Reno alle porte di Bologna, per un concerto estemporaneo e non autorizzato di Medy Cartier, il trapper nato e cresciuto al Pilastro, quartiere periferico della città. Quegli stessi social che, adesso, rilanciano le immagini dei tanti ragazzini che nel tardo pomeriggio di sabato sono rimasti coinvolti in risse e scontri in cui sono volate anche bottigliate, sono apparsi i coltelli ed è stato spruzzato spray al peperoncino.
Immagini che da ieri sera circolano sul web in decine di video e che ora sono al vaglio dei Carabinieri – come quelli delle telecamere di videosorveglianza della struttura – intervenuti, insieme alla Polizia, per far fronte al pomeriggio di follia che ha visto due 17enni feriti: uno colpito da una coltellata alla gamba e uno da una bottigliata durante i tafferugli scoppiati tra i circa 300 giovani coinvolti nelle aggressioni. I giovani, per lo più giovanissimi, erano accorsi fuori dal centro commerciale per ascoltare il 22enne Medy Cartier – al secolo El Marbouh Ermedhi – noto alle cronache anche per una condanna in primo grado a tre anni e mezzo a seguito di una rapina in spiaggia commessa a Riccione nel luglio del 2020. E così prima dello ‘show’ non autorizzato, in tantissimi si sono assiepati sulla terrazza all’ultimo piano della struttura e nella calca sono partiti insulti e botte, sono volate bottiglie e si è messo mano al coltello.
Fatti che vengono stigmatizzati su Instagram dallo stesso artista, che non esita a prendere le distanze da quanto accaduto e a smentire le ‘fake news’ su morti a seguito delle aggressioni. Nelle stories sul suo profilo, Medy Cartier ha pubblicato un breve video del concerto per poi intervenire su quanto accaduto. “Mi state scrivendo in tanti chiedendomi cosa sia successo – osserva -: mi sembra giusto fare chiarezza. Ieri sera sono passato nella mia città a far sentire la mia musica, ad incontrare i miei fan cercando di regalargli un bel momento. Davanti ai miei occhi ho visto solo felicità. Mi dispiace – prosegue – che si siano creati dei disordini prima che arrivassi per colpa di poche persone che non sanno divertirsi ma mi dispiace ancora di più che ci siano persone che pur di fare hype o un contenuto virale su Tik Tok siano disposte a tutto. A far male al prossimo e a parlare di cose mai successe”.
Quindi, argomenta ancora il cantante, “ho sempre fatto del bene con tutti, non ho mai fatto parlare male di me ma se per essere virali, famosi, riconosciuti per qualche minuto dovete fare tutto ciò non usate il mio nome per favore. Imparate il rispetto, provando a parlare di morti inesistenti avete ucciso me”. Poi, rivolto ai suoi fan, continua. “Non è bello. Pensate come sto mio da ieri vedendo bugie sul mio nome dopo che volevo solo fare una cosa per vedervi stare insieme”.