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Putin boccia l’ultimatum, Trump vuole andare a Istanbul

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Nessuna tregua di 30 giorni in Ucraina. Vladimir Putin ha respinto al mittente l’ultimatum “inaccettabile” lanciato sabato da Kiev dai leader dei Volenterosi – sostenuti da Donald Trump – di un cessate il fuoco di un mese, pena l’inasprimento delle sanzioni. “Non è questo il modo di parlare alla Russia”, ha tagliato corto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il presidente americano è tuttavia convinto che “un buon risultato” possa arrivare dai primi colloqui diretti tra russi e ucraini dal 2022, in programma il 15 maggio a Istanbul, ai quali non esclude di partecipare lui stesso, inserendo una tappa in Turchia al suo viaggio in Medio Oriente: “Ci sto pensando”, ha spiegato Trump prima di imbarcarsi per l’Arabia Saudita, convinto che a Istanbul ci saranno sia Putin che Volodymyr Zelensky.

Ma il solo ad aver confermato finora la sua partecipazione, sfidando lo zar a raggiungerlo, è stato il leader ucraino che ha sentito per la prima volta Papa Leone XIV, in una telefonata definita “molto calorosa e davvero significativa”. Zelensky lo ha quindi invitato “a compiere una visita apostolica in Ucraina”: “Porterebbe vera speranza al nostro popolo”, ha sottolineato il presidente, dopo aver invitato più volte a Kiev, ma invano, Papa Francesco. Zelensky ha poi informato il nuovo Pontefice “dell’accordo tra l’Ucraina e i partner, secondo cui dovrebbe iniziare un cessate il fuoco completo e incondizionato per almeno 30 giorni” e ha confermato “la disponibilità a ulteriori negoziati in qualsiasi formato, compresi i negoziati diretti”.

“L’Ucraina – ha assicurato a Leone XIV – vuole porre fine a questa guerra e sta facendo tutto il possibile per questo. Aspettiamo che la Russia adotti misure adeguate”. A cominciare dai negoziati di Istanbul che, per il leader ucraino, “potrebbero contribuire a porre fine alla guerra”. “Non sottovalutate” l’incontro di “giovedì in Turchia, ha il potenziale di un buon incontro”, ha detto anche Trump. “Non doveva tenersi, ma ho insistito perché si facesse”, ha quindi ribadito, annunciando di valutare “di fare un volo” per Istanbul. “Non so dove sarò giovedì, ho tanti incontri. Ma c’è una possibilità” che ci vada, “se riterrò che le cose possano andare avanti”. Immediata la reazione positiva di Zelensky che tenta di mettere all’angolo Putin agli occhi del presidente americano: “Ho sostenuto Trump nell’idea di colloqui diretti con Putin. Ho espresso apertamente la mia disponibilità a incontrarlo. Io sarò in Turchia. Spero che i russi non si sottraggano all’incontro”, ha dichiarato via social.

“E naturalmente, tutti noi in Ucraina apprezzeremmo se Trump potesse essere presente a questo incontro in Turchia. È l’idea giusta”, ha sottolineato, ribadendo di aver anche sostenuto la proposta del presidente americano “di un cessate il fuoco completo e incondizionato”, al contrario del Cremlino. Che attraverso Peskov ha ricordato che è stato lo stesso Putin a proporre negoziati diretti tra Mosca e Kiev, ma con l’obiettivo di raggiungere “una soluzione pacifica di lungo periodo”, non una tregua temporanea. “Il linguaggio degli ultimatum non è accettabile per la Russia, non è appropriato, non si può parlare alla Russia in questo modo”, ha quindi affermato Peskov, riferendosi alle dichiarazioni dei leader dei Volenterosi che avevano dato tempo a Mosca fino a lunedì sera per accettare o meno il cessate il fuoco.

Riaggiornandosi per un nuovo round di colloqui al termine della scadenza, come annunciato da Macron. Riuniti a Londra i ministri degli Esteri europei, tra cui Antonio Tajani, in formato Weimer+ allargato all’Ucraina hanno espresso la volontà di mantenere la pressione su Mosca e il loro “scetticismo” sulla reale volontà di Putin di “volere la pace”, anche alla luce degli ultimi attacchi notturni sull’Ucraina con “108 droni”, di cui uno ha fatto una vittima a Sumy. “Non sono messaggi che vanno nella giusta direzione”, ha commentato il capo della Farnesina.

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Bruce Springsteen, il ritorno dei dischi perduti: arriva “Tracks II” con sette album inediti

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Sette album, un cofanetto monumentale, un tour europeo e un film in arrivo: è ufficialmente tornata la primavera di Springsteen. Il 27 giugno uscirà Tracks II: The Lost Albums, raccolta che include sette dischi inediti incisi tra il 1983 e il 2018, definiti dallo stesso Bruce come «album completi, alcuni già mixati, ma mai pubblicati». In parallelo, il docufilm “Springsteen: Liberami dal nulla” con Jeremy Allen White nei panni del Boss è in lavorazione, e a fine mese Springsteen sarà in Italia: due date a San Siro, il 30 giugno e il 3 luglio, a 40 anni dalla sua prima epica esibizione milanese.

Sette dischi, nove LP e cento pagine di storia

Il cofanetto si presenta in tre versioni: 9 LP o 7 CD corredati da un libro di 100 pagine, oppure una versione ridotta in doppio album con selezione di brani. I fan lo attendevano da anni: si parlava da tempo di questi album “fantasma”, di cui si favoleggiava tra collezionisti e appassionati. Ora prendono finalmente forma.

«Durante la pandemia ho preso in mano tutto ciò che avevo nel mio archivio. Suonavo quella musica per me stesso e pochi amici. Ora era giunto il momento di condividerla», ha raccontato Springsteen nella nota di presentazione. E promette: «Ci sarà anche un Tracks III».

Dai suoni lo-fi ai country da saloon: ecco i “perduti” del Boss

I sette album toccano fasi diverse della carriera di Springsteen:

  • LA Garage Sessions (1983): sonorità grezze e sperimentali, evoluzione lo-fi del sound di Nebraska.

  • Streets of Philadelphia Sessions (1993): canzoni nate sull’onda del celebre brano per il film di Jonathan Demme, ma mai pubblicate per non “ripetersi”.

  • Faithless (anni 2000): scritte per un film western spirituale mai realizzato, composte in tre settimane in Florida.

  • Somewhere North of Nashville: scarti “leggeri” e country del cupo The Ghost of Tom Joad.

  • Inyo: storie dalla cultura messicano-americana a Los Angeles, “un sequel spirituale di Joad”.

  • Twilight Hours: canzoni romantiche e atmosfere pop americane d’altri tempi.

  • Perfect World: il disco più recente, definito «un grande album rock» con l’apporto della E Street Band e del produttore Ron Aniello.

Il tour e il film: l’universo Springsteen si espande

Nel frattempo, Bruce è in tour: l’Italia lo attende a San Siro con due sold out annunciati. Il docufilm Springsteen: Liberami dal nulla, che vedrà Jeremy Allen White calarsi nei panni del rocker del New Jersey, racconterà probabilmente anche le ombre e i silenzi di quei “dischi perduti” che ora trovano finalmente voce.

Il messaggio del Boss, a settantacinque anni, è chiaro: «Non esiste un periodo perso. Solo musica che aveva bisogno di tempo per uscire».

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“La guerra dei 12 giorni” tra Israele e l’Iran

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Annunciando l’accordo per il cessate il fuoco tra Iran e Israele, Donald Trump ha promesso al mondo la fine della “guerra dei 12 giorni”, espressione che rievoca quella ‘dei sei giorni’ combattuta tra Israele contro Egitto, Siria e Giordania dal 5 al 10 giugno del 1967. E coniata dal tycoon per il conflitto partito il 13 giugno con l’operazione ‘Leone Nascente’ lanciata dallo Stato ebraico contro la Repubblica islamica, accusata di essersi avvicinata “a un punto di non ritorno” nello sviluppo di un’arma nucleare. Quel giorno, circa 200 aerei dell’aeronautica israeliana hanno bombardato 100 obiettivi, colpendo sei città, tra cui Teheran, e l’impianto nucleare iraniano di Natanz.

Nei bombardamenti, almeno 20 comandanti di alto rango sono stati uccisi, tra cui il capo di stato maggiore delle forze iraniane e alti dirigenti dei pasdaran. Da terra, agenti del Mossad dislocati sul territorio iraniano hanno poi condotto una serie di sabotaggi. In risposta, l’Iran ha parlato di “una dichiarazione di guerra” da parte di Israele. E ha lanciato prima 100 droni e poi una salva di missili iraniani sullo Stato ebraico, compresa Tel Aviv.

I giorni successivi sono stati un susseguirsi di attacchi da entrambi le parti. Israele ha continuato a martellare Teheran e tutta la Repubblica islamica, colpendo strutture militari e nucleari, aeroporti e la Tv di Stato, uccidendo decine di scienziati, pasdaran e anche il nuovo capo di stato maggiore iraniano Ali Shadmani. In Israele, le sirene sono continuate a scattare per giorni a Tel Aviv, Gerusalemme e in tutto il Paese, mentre attacchi si sono fatti più intensi e in grado di bucare l’Iron Dome.

Milioni di israeliani sono stati costretti a nottate nei rifugi e a contare i morti per i raid su Haifa, Bat Yam e Beer Sheva, dove un missile iraniano si abbattuto su un ospedale provocando morti e feriti. Nel frattempo, i negoziati nucleari tra Iran e Stati Uniti sono stati annullati, dopo che Teheran ha dichiarato che non avrebbe partecipato ai colloqui sotto gli attacchi di Israele.

Contemporaneamente, crescevano le indiscrezioni di un possibile ingresso nella guerra degli Stati Uniti. Il 22 giugno, le voci sono divenute realtà: “Abbiamo completato con successo il nostro attacco a tre siti nucleari in Iran, inclusi Fordow, Natanz ed Esfahan”, ha annunciato quella notte Donald Trump su Truth, in una clamorosa svolta di tensione in Medio Oriente. La rappresaglia iraniana si è consumata meno di 48 ore dopo sulla base Usa di Al Udeid in Qatar. Una ritorsione puramente simbolica: “Siamo stati avvertiti”, ha svelato Trump che ha definito “debole” il raid, col quale Washington e Teheran hanno dato per conclusa la crisi militare. E che ha aperto la strada al cessate il fuoco “completo e totale” tra Iran e Israele, annunciato poche ore dopo dal presidente Usa.

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Ucciso un altro scienziato nucleare iraniano in un attacco israeliano

Mohammadreza Sedighi Saber, fisico sanzionato dagli Usa per legami con il programma atomico iraniano, ucciso nella casa del padre. Nei giorni scorsi era stato ucciso anche il figlio.

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Un attacco mirato in territorio iraniano ha provocato la morte di Mohammadreza Sedighi Saber, uno dei nomi più rilevanti legati al programma nucleare di Teheran. Lo riferiscono fonti dei media iraniani, secondo cui il ricercatore sarebbe stato colpito nella casa del padre ad Astaneh Ashrafieh, nel nord dell’Iran, nella provincia di Gilan.

Colpita la casa paterna. Prima quella di Teheran

Secondo quanto riportato, il raid – attribuito all’intelligence israeliana – si è verificato nella notte, prendendo di mira la residenza del genitore di Saber. Solo pochi giorni prima, un altro attacco, sempre attribuito a Israele, aveva colpito la sua abitazione a Teheran, provocando la morte del figlio diciassettenne dello scienziato.

I due episodi sembrano parte di una campagna sistematica di eliminazione mirata da parte dello Stato ebraico contro figure chiave coinvolte nello sviluppo delle capacità nucleari iraniane, nel quadro della tensione crescente tra i due Paesi.

Sanzionato dagli Stati Uniti

Saber era stato inserito nella lista delle sanzioni statunitensi con l’accusa di aver contribuito in modo determinante al programma per la costruzione di armi atomiche in Iran. Secondo il Dipartimento del Tesoro americano, avrebbe fornito consulenze e assistenza tecnica a strutture militari e laboratori implicati nell’arricchimento dell’uranio e in esperimenti a doppio uso.

Un nuovo segnale nella guerra silenziosa

La notizia dell’eliminazione di Saber si inserisce nel più ampio contesto di guerra ombra tra Israele e Iran, fatta di sabotaggi, cyberattacchi e omicidi mirati. Il duplice raid che ha ucciso prima il figlio e poi lo scienziato appare come un messaggio diretto e brutale, lanciato da Tel Aviv per colpire il cuore scientifico del programma nucleare iraniano.

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