Il latte materno e’ un diritto per ogni neonato, fa bene alla salute e ha un impatto positivo sull’economia. Ma ancora solo per 4 bimbi su 10 e’ l’unico alimento nei primi sei mesi di vita. Estenderlo a tutti potrebbe salvare piu’ di 820.000 vite ogni anno, e comportare risparmi per 340 miliardi di dollari annui. A stimare i costi, e’ uno studio condotto in 100 Paesi, nell’ambito dell’iniziativa Alive & Thrive, in vista della settimana dell’allattamento al seno, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (Oms) dal primo al 7 agosto. Mentre, per promuovere, anche in luoghi pubblici, questo gesto sano e naturale, il Ministero della Salute ha realizzato uno video, in onda in questi giorni sulle reti Rai, che ha come testimonial i comici Nuzzo&DiBiase. L’Oms raccomanda l’allattamento al seno esclusivo fino ai 6 mesi, quindi una prosecuzione, affiancandolo ad un’alimentazione complementare, fino a 2 anni o piu’. Il latte materno, infatti, ha tutti i nutrienti essenziali e nella giusta proporzione per una crescita sana del bimbo, riduce il rischio di allergie, e’ disponibile in ogni momento ed e’ gratuito.
Ma ha benefici anche per la salute delle mamme, poiche’ riduce il rischio di emorragie post partum, di osteoporosi dopo la menopausa e quello di cancro del seno e dell’ovaio. Tuttavia, ancora circa il 40% dei bimbi a livello globale non e’ allattato esclusivamente al seno e anche nel nostro Paese, precisa il Ministero della Salute, vi e’ una diffusione “non ottimale” e “disomogenea nelle varie regioni, con una maggiore distribuzione nel Nord-Est”. “E’ naturale!” e’ quindi lo slogan della nuova campagna lanciata dal ministro Giulia Grillo, per divulgare, in chiave ironica, il messaggio che ogni donna deve sentirsi libera di allattare, anche in pubblico o nei luoghi di lavoro: “sempre e ovunque”.
La scelta del Ministero di ‘pubblicizzare’ l’allattamento materno, spiega Maria Vicario, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini della Professione di Ostetrica (Fnopo), “e’ d’aiuto agli innumerevoli inviti che ostetriche, ginecologi, neonatologi e pediatri rivolgono da tempo ma che non sempre e’ facile seguire”. Per questo, “e’ importante che le donne frequentino i corsi di accompagnamento alla nascita, e dopo il parto, i corsi di sostegno all’allattamento”. L’appello alle neomamme, conclude, “e’ di non scoraggiarsi davanti alle prime difficolta’ e di chiedere consiglio alle ostetriche che sapranno aiutare, anche nei casi in cui, per specifiche situazioni, si dovesse optare diversamente”. Accanto a questo, pero’, conclude l’Oms, vanno anche promosse precise scelte politiche, a livello nazionale, tra cui “la concessione di un congedo di maternita’ retribuito per un minimo di 18 settimane e un congedo di paternita’ retribuito per incoraggiare la responsabilita’ condivisa”, oltre a “un posto di lavoro adatto a supportare la prosecuzione dell’allattamento e assistenza all’infanzia a prezzi accessibili”.
Le donne ‘camici bianchi’ della Sanità italiana ancora oggi sono spesso davanti ad un bivio, quello di dover scegliere tra famiglia e carriera. Accade soprattutto al Sud e la ragione sta essenzialmente nella mancanza di servizi a sostegno delle donne lavoratrici. A partire dalla disponibilità di asili aziendali: se ne contano solo 12 nel Meridione contro i 208 del Nord. E’ la realtà che emerge da un’indagine elaborata dal Gruppo Donne del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao-Assomed, coordinato dalla dottoressa Marlene Giugliano. “Al Sud le donne che lavorano nel Servizio sanitario nazionale devono scegliere tra famiglia e carriera e per le famiglie dei camici bianchi non c’è quasi nessun aiuto. Una situazione inaccettabile alla quale occorre porre rimedio”, denuncia il segretario regionale dell’Anaao-Assomed Campania Bruno Zuccarelli.
Nelle strutture sanitarie italiane, afferma, “abbiamo 220 asili aziendali, di cui 208 sono al Nord (23 solo in Lombardia). In Campania gli asili nido su 16 aziende ospedaliere sono solo 2: Cardarelli e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Moscati di Avellino aveva un asilo nido che è stato chiuso con la pandemia e ad oggi il baby parking dell’Azienda Ospedaliera dei Colli è chiuso. Una condizione vergognosa e desolante”. Ma i dati raccolti dal sindacato dicono anche altro: se si guarda al personale del servizio sanitario nazionale, il 68% è costituito da donne, quasi 7 operatori su 10, con un forte sbilanciamento verso il Nord dove le donne sono il 76%, mentre al Sud solo il 50%. Un divario tra Nord e Sud, quello della sanità, che “si lega alle condizioni di difficoltà che le donne devono affrontare – aggiunge Giugliano – del resto in Campania il costo medio della retta mensile di un asilo è di 300 euro, con cifre che in alcuni casi arrivano anche a 600 euro.
E nella nostra regione c’è un posto in asili nido solo ogni 10 bambini”. Per questo le donne campane dell’Anaao chiedono di essere ascoltate dalle Istituzioni regionali, così come dalle Aziende ospedaliere e Sanitarie. Tre i punti chiave sui quali intervenire, sottolineano: “creazione di asili nido aziendali che rappresentano una forma di attenzione per le esigenze dei propri dipendenti e consentono una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro; sostituzione dei dirigenti in astensione obbligatoria per maternità o paternità e applicazione delle norme già esistenti, come flessibilità oraria; nomina, costituzione e funzionamento dei Comitati unici di garanzia”. Sono organismi che “prevedono compiti propositivi, consultivi e di verifica in materia di pari opportunità e di benessere organizzativo per contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, agevolando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni e favorendo l’affezione al lavoro, garantendo un ambiente lavorativo nel quale sia contrastata qualsiasi forma di discriminazione”, spiega Giugliano. In regioni come la Campania, “questi organismi hanno solo un ruolo formale, cosa – conclude l’esponente sindacale – che non siamo più disposte ad accettare”.
I numeri sono piccolissimi rispetto a qualche decennio fa, tuttavia nel 2023 si è registrato un aumento dei casi di epatite acuta in Italia rispetto all’anno precedente, specie di quelle di tipo A, B ed E; continua invece il calo dell’epatite C. È il trend fotografato dal Sistema di Sorveglianza sulle epatiti Seieva, dell’Istituto Superiore di Sanità da cui emerge una novità sulle modalità di contagio: i trattamenti di bellezza quali manicure, piercing e tatuaggi sono diventati il primo fattore di rischio per l’epatite B e C surclassando l’esposizione al virus in contesti sanitari, i rapporti sessuali a rischio o l’uso di droghe. Nel complesso, nel corso del 2023 in Italia sono stati registrati 523 nuovi casi di epatite A, B, C ed E acute.
A questi si sommano circa 60 casi per cui non è stata determinata la famiglia del virus. L’epatite A è quella più frequente: nel 2023 sono stati notificati 267 casi, quasi il doppio dell’anno precedente, quando erano stati 140. La maggioranza è legata al consumo di molluschi crudi o poco cotti, a viaggi in zone endemiche, rapporti sessuali e consumo di frutti di bosco. Più contenuta (+40%) la crescita dei casi di epatite B (153). In tal caso, le probabili fonti di infezione più frequenti sono stati l’esposizione a trattamenti di bellezza, le cure odontoiatriche, i comportamenti sessuali a rischio. Continua invece la discesa (-7%) dell’epatite C: i casi sono stati 51 e anche in questo caso il fattore di rischio più frequente è stato il ricorso a trattamenti estetici, che ha superato per la prima volta negli ultimi anni l’esposizione nosocomiale.
Sono stati 58 i casi di epatite E, con una crescita del 42% rispetto al 2022 e 4 di essi si sono verificati in persone di ritorno da Paesi in cui l’infezione è endemica. La gran parte dei casi autoctoni risultano invece legati al consumo di carne di maiale o cinghiale cruda o poco cotta. Nel 2023, inoltre, si sono verificati anche 3 decessi per epatite A e altrettanti per epatite B. Uno di questi ha riguardato una ragazza di 18 anni deceduta per insufficienza epatica acuta da virus B mentre era in attesa di trapianto di fegato. Un ulteriore giovane paziente di 31 anni, andato incontro a un’epatite fulminante da virus B, è stato salvato grazia al trapianto. Il rapporto sottolinea anche l’insufficiente quota di test eseguiti per rilevare l’epatite Delta. Il virus responsabile dell’infezione può infatti infettare le persone colpite da epatite B, aggravandone i danni al fegato.
Ancora prima che la bozza del ddl semplificazioni superi il varo in Consiglio dei Ministri (previsto lunedi’), le novità attese per le farmacie con il rafforzamento dell’offerta dei test diagnostici, fanno alzare gli scudi da parte dei microbiologi che chiedono lo stralcio della norma. Si tratta di alcuni esami diagnostici in telemedicina e l’allargamento dell’utilizzo di alcune analisi con prelievo di sangue capillare (controllo di glicemia, colesterolo, trigliceridi, ecc.) che comunque in alcune regioni sono gia’ a carico del servizio sanitario nazionale come in Liguria. La novità fra le molte contenute nel ddl, contribuisce a rafforzare le farmacie nel loro ruolo di centro di servizi sanitari sul territorio, con funzioni sempre più ampie.
Fra queste quella di luogo dove potersi sottoporre a tutte le vaccinazioni previste dal piano sanitario vaccinale per gli over 12 e punto per prenotare visite ed esami ma anche per scegliere il medico e il pediatra di base. “Siamo allarmati che con il ddl semplificazione venga data la possibilità alle Farmacie di eseguire esami diagnostici. Il cittadino in Farmacia non troverà uno specialista nelle discipline di Medicina di Laboratorio che per legge è l’unico a poter svolgere queste indagini dato il suo percorso accademico e curriculare” ha detto il presidente Amcli (l’associazione che rappresenta i microbiologi italiani) Pierangelo Clerici. “Non è possibile che si conceda la diagnostica di Laboratorio a chi non ha competenze – spiega – chiediamo a gran voce di fermare questo provvedimento nella parte riguardante le analisi di laboratorio”.
E si chiede anche di costituire una Commissione Tecnico Scientifica con tutti gli attori di questo percorso “per definire regole, obblighi e responsabilità delle Farmacie che vogliono eseguire test diagnostici, regole, obblighi e responsabilità che già oggi esistono per i Laboratori clinici (accreditamento e autorizzazione a svolgere indagini di Laboratorio) e che non possono essere tralasciate se non con il rischio di gravi ripercussioni per la salute del cittadino. Non può valere la regola ‘todos amigos todos caballeros’, ognuno faccia il proprio e non si improvvisino professionalità per mero interesse di parte”.
L’articolo 23 della bozza cita che i farmacisti potranno effettuare test diagnostici che prevedono il prelevamento del campione biologico a livello nasale (come è già avvenuto durante il Covid), salivare o orofaringeo, da effettuare in aree, locali o strutture, anche esterne, dotate di apprestamenti idonei sotto il profilo igienico-sanitario e atti a garantire la tutela della riservatezza. Il farmacista può effettuare anche “test diagnostici per il contrasto all’antibiotico-resistenza, a supporto del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta ai fini dell’appropriatezza prescrittiva”.