L’isola di Arturo e del Postino, l’isola del Cristo Ligneo e dei Misteri, quel pezzo di terra tra la terraferma e Ischia, della quale è sorella maggiore, vicina ma diversa, l’isola della Chiaiolella, e della Corricella con le sue case colorate ai piedi di terra murata, la terra del penitenziario che vide ergastolani e detenuti eccellenti dove le barche a vela si specchiano nelle acque di un porto che è diventato crocevia nel golfo di Napoli e nel basso tirreno, l’isola di Procida, primo porto dei traghetti sulla rotta delle vacanze, si candida a Capitale Italiana della Cultura per l’anno 2021. Le iniziative saranno illustrate stamane 4 febbraio alle ore 11.00 in sede di conferenza stampa presso la sala Mariella Cirillo sede della Città Metropolitana di Napoli piazza Matteotti. Il percorso è cominciato con la fondazione di un Comitato Promotore formato da importanti realtà istituzionali e associative pubbliche e private, che in varia forma già collaborano con il Comune di Procida che ha animato un percorso di co-creazione condivisa, che culminerà con la presentazione del dossier il 2 marzo alla commissione del MiBACT. La regia della candidatura, del processo di co-creazione e del programma culturale del dossier, è affidata al Direttore della candidatura Agostino Riitano, già project manager supervisor di Matera Capitale Europea della Cultura 2019, che motiva così la visione, il metodo e i valori: “Per la creazione di un progetto come quello della Capitale Italiana della Cultura è importante attivare l’intelligenza collettiva della comunità. Un’intelligenza distribuita ovunque, valorizzata e che possa generare un coinvolgimento effettivo delle capacità, delle competenze e dei desideri di tutti. Un progetto che è innanzitutto lo sviluppo di un’azione di innovazione culturale e sociale per la comunità procidana.” Nel processo di candidatura, fondamentale si sta dimostrando l’apporto della cittadinanza attraverso “Procida Immagina”, un percorso di co-creazione partecipata con i cittadini mediante la costituzione di tre tavoli di lavoro. I tavoli, incentrati su temi quali inclusione sociale e accessibilità, giovani e nuove tecnologie, turismo culturale e destagionalizzazione, sono guidati rispettivamente da tre esperti che supporteranno i cittadini nelle riflessioni e nel processo di creazione collettiva. Sempre nell’ottica della co-creazione partecipata “Procida Immagina” prevederà inoltre una chiamata pubblica in collaborazione con l’ANCIM, Associazione Nazionale dei Comuni delle Isole Minori, per invitare sull’isola di Procida ventuno cittadini residenti nei trentasei Comuni delle piccole isole allo scopo di generare un pensiero critico dal basso sulle politiche e la produzione culturale nelle isole minori. Il conto alla rovescia verso la consegna del dossier di candidatura, scandirà il tempo del primo progetto culturale generato con la partecipazione dei cittadini. Legami del mare. Prove generali di un museo è il progetto di una mostra temporanea allestita mediante la raccolta di oggetti che i cittadini procidani sono invitati a prestare temporaneamente al Museo Civico di Procida, per allestire un percorso che descriva il legame tra l’Isola di Procida, e i suoi abitanti, con il mare. Le storie racchiuse in un piccolo angolo di mare, sono testimoni di eventi e fatti che hanno portato condizionamenti fino alla terraferma in una linea del tempo che è possibile tracciare dall’età del bronzo ai giorni nostri, verso l’anteprima di apertura del Museo Civico dell’isola il 3 marzo 2020. In occasione della conferenza stampa, infine, verranno rivelati logo e immagine coordinata della candidatura di Procida a Capitale della Cultura 2021 ad opera di Paolo Altieri, “procidano di cuore” e Creative Director dell’Agenzia Altieri associati/communication design.
A family take sun on the beach Procida Island, near Naples.
Smartphone picture taken on Summer 2017 by MARIO LAPORTA
A boat in the port of Procida Island, near Naples.
Smartphone picture taken on Summer 2017 by MARIO LAPORTA
A statue of Virgin Mary carriied by penitents pass in front of Coast Guard honour guard in the little harbour of Procida, island of Naples gulf south of Iyaly on April 02, 2010 during Holy Friday procession. The Holy procession in the small island of the Naples gulf start at 6 a.m.with the the statue of Jesus, the statue of Virgin Mary and over 30 allegoric wood catholic rapresentation. PH MARIO LAPORTA
The moon rises above the masts in the little harbour of Procida island in the gulf of Naples south of Italy on June 23, 2013.
PHOTO/MARIO LAPORTA
Procida, Vnerdi Santo 2004. Un momento della processione del Venerdi Santo sull’isola del golfo di Napoli.
ph Mario Laporta
PROCIDA : SOFIA LOREN MENTRE SALUTA FANS E FTOOGRAFI SUL SET DEL FILM DI LINA WERTMULLER
PH SLAPORTA
Napoli – Italia – 21 giugno 2005 – Una veduta dell’isola di Procida con l’ex penitenziario Ph Salvatore Laporta
ISOLA DI PROCIDA –
PH. MARIO LAPORTA
PROCIDA, ITALIA. UN MOMENTO DELLA PROCESSIONE DEL VENERDI SANTO.
PH MARIO LAPORTA
Napoli, Italia – 09 Gennaio 2008. Una veduta di Monte di Procida con l’isola di Ischia sullo sfondo. Ph. Salvatore Laporta
Penitents carry a statue dated of 1728 of ‘Dead Christ’ during a Good Friday procession on the island of Procida in Naples’ gulf on April 2, 2010. ‘Misteri’ floats, representing scenes from the Bible are carried in the streets during the annual procession which started in 1627. PHOTO / MARIO LAPORTA
Dall’esplosione del Vesuvio in tutto il suo realismo alla materia lavica nelle opere di Burri e Mancini, è un Ottocento che inizia dal Settecento con un muro di Thomas Jones (A well in Naples) del 1782 e finisce nel Novecento perché “un secolo non inizia e finisce in modo matematico”, spiega Sylvain Bellenger, curatore della mostra che racconta Napoli alle Scuderie del Quirinale fino al 16 giugno. ‘Napoli Ottocento. Degas, Fortuny, Gemito, Mancini, Morelli, Palizzi, Sargent, Turner’, sublime e materia, nel lungo titolo di questa mostra che racconta non un città, ma un vero e proprio universo in un secolo totalmente da riscoprire. “Questa è una mostra coraggiosa – spiega ancora Bellenger – prima di tutto perché trattare dell’Ottocento è coraggioso. È il secolo più lungo e più importante per la modernità, ma scandaloso nella testa degli storici dell’arte.
Il più vivo in Italia è poi l’Ottocento napoletano nella sua totalità, anche politica. Sublime è il ritorno al Vesuvio, un concetto che all’inizio di quel secolo significa terrore e meraviglia della natura. Il concetto di materia del resto – aggiunge – si coniuga così con quello di spiritualità e definisce l’arte napoletana della scuola di Posillipo fino all’informale”. Si parte infatti con le varie eruzioni del vulcano che segnano il Settecento, per passare poi all’attrazione per Pompei che mette Napoli al centro della formazione intellettuale degli artisti europei e poi arrivando nel golfo scoprono il mare, la luce incredibilmente intensa, e nasce la scuola del plein air. Ed ecco allora, stanza dopo stanza, colori, luoghi, e personalità che si susseguono con alcuni focus tematici e alcuni su singoli artisti.
C’è la stravolgente Arca di Filippo Palizzi, dove gli animali non fuggono dalle acque ma evidentemente da un’eruzione, quella del Vesuvio, che riduce la terra in polvere. Ci sono i meravigliosi paesaggi bruciati dalla luce di Giuseppe De Nittis, due piccoli William Turner che valgono la mostra nel blu metafisico del loro splendore, le due vedute di Gioacchino Toma, realizzate a quattro anni di distanza nello stesso luogo. Un discorso a parte poi vale il riflettore puntato su Edgar Degas nel suo strettissimo rapporto con Napoli. Di origine napoletana, aveva vissuto l’infanzia nella città e parlava correntemente napoletano: per il curatore, infatti, che qui propone una serie di intensi ritratti dell’artista, è proprio l’influenza napoletana che segna la differenza e l’originalità dell’artista rispetto alla scuola francese.
La Napoli del XIX secolo è anche riconosciuta come un’importante capitale scientifica e qui una videoistallazione di Stefano Gargiulo accompagna il visitatore nella peculiarità della Stazione Zoologica voluta da Anton Dohrn, primo centro di studio oceanografico in Italia. Napoli è stata, terza città d’Europa, dopo Londra e Parigi, sede di una delle più antiche università italiane, della prima scuola di lingue orientali in Europa ad esempio e anche l’orientalismo è oggetto di una delle spettacolari dieci sezioni della mostra. “Una mostra – sintetizza Mario De Simoni, direttore generale delle Scuderie del Quirinale – concepita alla fine della pandemia e dedicata non a caso a una delle città più vitali e più amate, che racconta Napoli nella sua vocazione di grande capitale e che segna una volta di più la fecondità della presenza delle Scuderie nel sistema del ministero della Cultura, questa volta attraverso l’organizzazione congiunta con il Museo e Real Bosco di Capodimonte e la collaborazione con la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea e con la Direzione Regionale Musei della Campania”.
Pompei continua a riservare nuove sorprese, dagli scavi in corso al Parco Archeologico emergono nuovi dati sull’edilizia romana. Negli ambienti di antiche domus che lo scavo archeologico sta portando alla luce nella Regio IX, insula 10, sono riemerse importanti testimonianze di un cantiere in piena attività: strumenti di lavoro, tegole e mattoni di tufo accatastati e cumuli di calce.
Secondo gli studiosi il cantiere era attivo fino al giorno dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., che iniziò intorno all’ora di pranzo e durò fino alla mattina del giorno successivo. Lo scavo nell’area in questione, finalizzato alla regimentazione dell’assetto idrogeologico lungo il confine tra la parte scavata e quella non scavata della città romana, sta attestando la presenza di un cantiere antico che interessava tutto l’isolato. Particolarmente numerose sono le evidenze dei lavori in corso nella casa con il panificio di Rustio Vero, dove è stata già documentata negli scorsi mesi una natura morta con la raffigurazione di una focaccia e un calice di vino.
L’atrio era parzialmente scoperto, a terra si trovavano accatastati materiali per la ristrutturazione e su un’anta del tablino (ambiente di ricevimento), decorato in IV stile pompeiano con un quadro mitologico con “Achille a Sciro”, si leggono ancora oggi quelli che probabilmente erano i conteggi del cantiere, ovvero numeri romani scritti a carboncino, facilmente cancellabili a differenza dei graffiti incisi nell’intonaco.
Tracce delle attività in corso si trovano anche nell’ambiente che ospitava il larario, dove sono state trovate anfore riutilizzate per “spegnere” la calce impiegata nella stesura degli intonaci. In diversi ambienti della casa sono stati scoperti strumenti di cantiere, dal peso di piombo per tirare su un muro perfettamente verticale (“a piombo”) alle zappe di ferro usate per la preparazione della malta e per la lavorazione della calce. Anche nella casa vicina, raggiungibile da una porta interna, e in una grande dimora alle spalle delle due abitazioni, per ora solo parzialmente indagata, sono state riscontrate numerose testimonianze di un grande cantiere, attestato anche dagli enormi cumuli di pietre da impiegare nella ricostruzione dei muri e dalle anfore, ceramiche e tegole raccolte per essere trasformate in cocciopesto.
Si tratta di un’“occasione straordinaria per sperimentare le potenzialità di una stretta collaborazione tra archeologi e scienziati dei materiali”, scrivono gli autori di un articolo pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei. Nell’analisi dei materiali e delle tecniche costruttive, il Parco Archeologico di Pompei si è avvalso del supporto di un gruppo di esperti del Massachusetts Institute of Technology, USA. “L’ipotesi portata avanti dal team è quella dello hot mixing, ovvero la miscelazione a temperature elevate, dove la calce viva (e non la calce spenta) è premiscelata con pozzolana a secco e successivamente idratata e applicata nella costruzione dell’opus caementicium”, si legge nel testo.
Normalmente, la calce viva viene immersa nell’acqua, cioè “spenta”, molto tempo prima dell’uso in cantiere, formando il cosiddetto grassello di calce, un materiale di consistenza plastica. Lo “spegnimento”, ovvero la reazione tra calce viva e acqua, produce calore. Solo al momento della messa in opera, la calce viene poi mescolata con sabbia e inerti per produrre la malta o il cementizio.
Nel caso del cantiere di Pompei, invece, risulta che la calce viva, ovvero non ancora portata a contatto con l’acqua, venisse in un primo momento mescolata solo con la sabbia pozzolanica. Mentre il contatto con l’acqua avveniva poco prima della posa in opera del muro. Ciò significa che, durante la costruzione della parete, la miscela di calce, sabbia pozzolanica e pietre era ancora calda per via della reazione termica in corso e di conseguenza si asciugava più rapidamente, abbreviando i tempi di realizzazione dell’intera costruzione.
Diversamente quando si trattava di intonacare le pareti, sembra che la calce venisse prima spenta e successivamente mescolata con gli inerti per essere poi stesa, come si fa ancora oggi.
“Pompei è uno scrigno di tesori e non tutto si è svelato nella sua piena bellezza. Tanto materiale deve ancora poter emergere. Nell’ultima Legge di Bilancio abbiamo finanziato nuovi scavi in tutta l’Italia e una parte importante di questo stanziamento è destinata proprio a Pompei – dichiara il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano – Mi ha fatto molto piacere quando il direttore del Parco archeologico, Gabriel Zuchtriegel, ha ricordato che, mai come in questo momento, sono attivi così tanti scavi nel sito: possiamo dire che è un record degli ultimi decenni. Allo stesso tempo stiamo lavorando anche su altri fronti. Nei mesi scorsi il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha ceduto al Ministero della Cultura l’ex Spolettificio di Torre Annunziata, dove nascerà un grande museo per raccogliere tutti questi reperti”.
Massimo Osanna
“Lo scavo nella Regio IX, insula 10, progettato negli anni del Grande Progetto Pompei sta dando, come era prevedibile, importanti risultati per la conoscenza della città antica. Un cantiere di ricerca interdisciplinare, nato come il precedente scavo della Regio V, dalla necessità di mettere in sicurezza i fronti di scavo, ossia le pareti di materiale eruttivo lasciate dagli scavi del XIX e XX secolo che incombono pericolosamente sulle aree scavate. Pompei continua a essere un cantiere permanente dove ricerca, messa in sicurezza, manutenzione e fruizione sono attività connesse e prassi quotidiana”, afferma il Direttore generale Musei, Massimo Osanna.
Gabriel Zuchtriegel
“È un ulteriore esempio di come la piccola città di Pompei ci fa capire tante cose del grande Impero romano, non ultimo l’uso dell’opera cementizia. Senza il cementizio non avremmo né il Colosseo, né il Pantheon, né le Terme di Caracalla. Gli scavi in corso a Pompei offrono la possibilità di osservare quasi in diretta come funzionava un cantiere antico – sottolinea il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – I dati che emergono sembrano puntare sull’utilizzo della calce viva nella fase di costruzione dei muri, una prassi già ipotizzata in passato e atta ad accelerare notevolmente i tempi di una nuova costruzione, ma anche di una ristrutturazione di edifici danneggiati, per esempio da un terremoto. Questa sembra essere stata una situazione molto diffusa a Pompei, dove erano in corso lavori un po’ ovunque, per cui è probabile che dopo il grande terremoto del 62 d.C., diciassette anni prima dell’eruzione, ci fossero state altre scosse sismiche che colpirono la città prima del cataclisma del 79 d.C. Ora facciamo rete tra enti di ricerca per studiare il saper fare costruttivo degli antichi romani: forse possiamo imparare da loro, pensiamo alla sostenibilità e al riuso dei materiali”.
‘Carmen Rap’ alle Officine San Carlo contro il femminicidio tra lirica, prosa e musica: la riporta in scena il Massimo, in occasione della Giornata Mondiale del teatro, con i giovani del laboratorio di Vigliena il 27 e il 28 marzo (ore 20.30). Musiche (eseguite dai professori d’orchestra del San Carlo) e testi sono di Luca Caiazzo, in arte Lucariello, la drammaturgia è di Federico Vacalebre, la regia di Michele Sorrentino Mangini. All’iniziativa saranno presenti il sindaco e presidente della Fondazione Gaetano Manfredi, il prefetto di Napoli Michele di Bari, la Commissione Straordinaria per il risanamento e la riqualificazione funzionali al territorio del Comune di Caivano con il Commissario Fabio Ciciliano.
Il messaggio di quest’anno è ‘L’arte è Pace’, scritto dal norvegese Jon Fosse. “Lo spunto lirico è l’opera di Bizet, magari con la trama ricondotta a Mérimée e poi trasportata ai giorni nostri, nelle terre nostre – spiega Vacalebre – I contrabbandieri, naturalmente, si occupano di droga, stanno senza penziere. E Carmen, Carmencita, anzi Carme’ fa la stessa tragica fine di sempre, perché il femminicidio non è mai stato così di attualità, anche se muore a ritmo trap”. “La mia opera su Carmen – prosegue Luca Caiazzo – è stata sviluppata con l’unico approccio possibile per me: quello di un rapper beatmaker, al di fuori degli schemi del mondo classico. Non ho utilizzato campionamenti degli strumenti elettronici. Grazie alla tecnologia ho potuto adattare direttamente la partitura di Bizet, preservando intatte le arie più suggestive”.
Xana Vazquez de Prada sarà Carme’, non più gitana, ma portoricana a Castel Volturno. Legge le carte, ma soprattutto fa la ballerina, la cubista, in una discoteca-lido. Don Josè è ora Giuseppe, interpretato da Alessio Sica, Zuniga è diventato Zurzolo, interpretato da Vincenzo Bove. Escamillo, il trapper ‘O Torero’, è Oyoshe Waza. Le scene di Fabio Marroncelli sono state realizzate gli studenti dell’Officina di Scenografia diretta da Anna Nasone. Giusi Giustino, che firma i costumi, ha lavorato con l’Officina di Sartoria Teatrale Circolare. Al progetto collaborano la Fondazione Una Nessuna Centomila, presidente Giulia Minoli, la cooperativa sociale EVA e Donne del Vino.