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Primarie 2019. Zingaretti incassa i voti dei militanti e l’appoggio di Minniti, Martina partito con i favori del pronostico rischia una sonora sconfitta

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Ultimo giorno di voto degli iscritti al Pd negli oltre 6.000 circoli, chiamati a selezionare i tre candidati più votati che accederanno alle primarie del 3 marzo. E ancora aspra è la polemica su alcuni dati pubblicati non certificati e imputati ai sostenitori di Nicola Zingaretti. Il Governatore del Lazio dà notizia dell’appoggio di Marco Minniti, proprio quello che ai gazebo sarebbe stato per lui il concorrente più insidioso. Dopo giorni di “inseguimento” da parte degli uomini di Zingaretti, Marco Minniti annuncia il proprio appoggio alle primarie al governatore del Lazio: “E’ cruciale che ci sia un esito chiaro e indiscutibile alle primarie – spiega – mi impegno perchè ci sia il massimo della partecipazione e quindi un segretario che superi il 50%”, vale a dire Zingaretti. Una scelta non indolore per i renziani che appoggiano Maurizio Martina, ma che suscita anche sarcasmo: “quella parte di sinistra che mal digeriva la candidatura di Minniti a segretario del PD, perche’ troppo ‘duro’ nella politica degli sbarchi, ora che se lo ritrova al fianco di Zingaretti che dice? E’ felice e soddisfatta?”, chiede Patrizia Prestipino, sostenitrice di Martina, che poi aggiunge: “Si affrettassero a cancellare i vecchi post, che è meglio..”.

Maurizio Martina. Ha sempre accusato i De Luca di gestione nepotista in Campania, ora sono i suoi sponsor e grandi elettori

Ma prima delle primarie occorre attendere il voto degli iscritti che si conclude oggi. Entro le 19 di lunedi’ ogni circolo dovra’ trasmettere i risultati alla Commissione nazionale che martedì mattina fornira’ i dati ufficiali, spiega Gianni Dal Moro, presidente della Commissione. Prima del week end aveva votato la metà dei circoli, per cui Dal Moro stigmatizza la pubblicazione da parte di alcuni giornali, di cifre fornite da sostenitori di Zingaretti che danno il Governatore avanti, attorno al 50%. Un fatto che suscita l’ira delle altre mozioni da Umberto Marroni (con Francesco Boccia) a Simona Malpezzi e Andrea De Maria (con Martina). “Preoccupa un’idea di partito cosi’, da parte di chi sostiene Zingaretti”, dichiara Malpezzi.

Primarie 2019 Campania, la preside Armida Filippelli entra nel cuore dei militanti del Pd stufi del partito delle tessere e degli assessori

Che i nervi siano tesi lo dimostra un’altra polemica sulla possibilita’ che tra i vari candidati ci sia gia’ una sorta di accordo per il futuro organigramma del partito: con Martina vicesegretario e Paolo Gentiloni presidente del Partito. Gli interessati, cioe’ Zingaretti e l’ex ministro dell’Agricoltura, smentiscono perche’ l’idea di giochi gia’ fatti allontana i simpatizzanti dai gazebo. In piu’ Martina rilancia e annuncia che se diventera’ lui il segretario, la presidenza tocchera’ a una donna. Zingaretti, invece, assicura che in caso di sua vittoria si superera’ il correntismo interno creando “una fondazione comune di formazione politica”. Contro quindi le varie fondazioni e associazioni oggi alle spalle di ogni corrente. “Ci serve un modo diverso di essere comunita’, di essere partito – dichiara – e’ la storia che ci dice che il partito delle correnti e dei capibastone ha fallito”.

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Precari e licenziamenti facili, verso l’ok della Camera

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Contratti di somministrazione e licenziamenti. Questi gli ambiti degli interventi principali inseriti nel ddl Lavoro, che si prepara a ricevere il primo via libera della Camera. Terminato l’esame degli odg in Aula, a Montecitorio manca il voto finale sul provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il Primo maggio del 2023. Che così potrà sbarcare al Senato per l’ok definitivo dopo un lungo iter. Mentre non si placano le voci critiche di opposizioni e sindacati, che scendono in piazza per opporsi a uno strumento che “aumenta la precarietà”.

Tra le misure più discusse, c’è quella sulle cosiddette ‘dimissioni in bianco’, che di fatto allarga le maglie delle disposizioni in tema di licenziamenti rispetto a quanto stabilito dal Jobs Act del governo Renzi. In particolare, l’articolo 19 del collegato al lavoro prevede la risoluzione del rapporto di lavoro imputabile alla volontà del lavoratore (dimissioni volontarie) nei casi in cui un’assenza ingiustificata si protragga oltre il termine previsto dal contratto collettivo o, in mancanza di previsioni contrattuali, per un periodo superiore a quindici giorni. Secondo la maggioranza, è una maniera per impedire che i lavoratori, sfruttando la leva delle assenze ingiustificate, inducano i datori al licenziamento per poi accedere opportunisticamente alla Naspi. In caso di dimissioni volontarie, infatti, non è possibile richiedere l’indennità.

Con un’altra misura cardine, si interviene, di fatto per estenderlo, sul tetto del 30% previsto per i lavoratori con contratto di somministrazione a tempo determinato sul totale del numero dei lavoratori con contratti stabili. La nuova norma esclude dal computo di questo limite i casi in cui la somministrazione riguardi lavoratori assunti a tempo indeterminato da parte di un’agenzia o lavoratori con determinate caratteristiche o assunti per determinate esigenze. Vincoli più leggeri anche per il ricorso al lavoro stagionale, che si allarga a fattispecie come l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno oppure per esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati di destinazione.

Tra le altre misure, c’è anche quella che ridefinisce la durata del periodo di prova dei contratti a tempo determinato: tra i due e i quindici giorni per i contratti con durata non superiore a sei mesi, e da due ai trenta giorni per i contratti dai sei ai dodici mesi. Intanto, in piazza a Roma, i sindacati alzano la voce contro il provvedimento. Per la Uil il ddl “cancella diritti e tutele”, per la Cgil “è contro il lavoro, perché lo precarizza ancora di più”.

A Maurizio Landini, che non esclude uno sciopero generale contro la manovra, replica la ministra del Lavoro Marina Calderone. “Non credo si possa dire che il governo stia attuando una politica di precarizzazione del lavoro, i numeri non dicono questo”, taglia corto. Alla protesta delle due sigle sindacali, si affiancano i partiti di opposizione: Pd, M5s e Avs, che intanto in Aula provano a rilanciare ancora sul salario minimo con un odg bocciato dalla maggioranza. Per dem e rossoverdi, il ddl Lavoro allarga la precarietà. Per il M5s, “c’è un accanimento contro le lavoratrici”.

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A novembre il nuovo M5s, si chiude la costituente

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Il nuovo M5s nascerà il 23 e 24 novembre, quando si terrà l’assemblea Costituente chiamata a ridisegnare struttura e politiche del partito: dai ruoli del garante e del presidente, oggi occupati da Beppe Grillo e da Giuseppe Conte, al nome e al simbolo, che potrebbero cambiare, fino allo spinoso tema del limite dei due mandati, che potrebbe scomparire. E perfino le alleanze. La data definitiva dell’assemblea, genericamente prevista in autunno, è stata comunicata ufficialmente dal presidente Conte. Il percorso costituente, che ha coinvolto non solo gli iscritti ma anche i simpatizzanti, ha portato non poco scompiglio nel Movimento, con uno scontro acceso fra Grillo e Conte.

Il garante aveva infatti chiesto che alcuni pilastri – nome, simbolo e limite del doppio mandato – non venissero messi in discussione. Mentre Conte ha lanciato la costituente lasciando campo libero alla discussione. Ne sono seguiti scambi di lettere al vetriolo con accuse e rivendicazioni reciproche. Una coda della polemica è arrivata fino in Sardegna. Per Grillo, il Movimento sta perdendo la sua spinta originale. Una prova sarebbero le politiche energetiche della presidente sarda Alessandra Todde, del M5s. In un post, il fondatore del Movimento ha pubblicato una foto della bandiera della Sardegna con i quattro mori che indossano una maschera antigas.

E sopra il testo. “Finalmente un po’ di verità su questo ambientalismo da strapazzo: e basta con il vento, il sole, il fotovoltaico! Ci vuole il carbone! Facciamo una rivoluzione straordinaria in Sardegna!”. Dura la replica della presidente: “Credo che Grillo faccia quello che fa meglio: il comico”. Poi la spiegazione: “Fino al 2030 abbiamo stanziato quasi un miliardo di euro, stiamo promuovendo le comunità energetiche e l’autoconsumo. La transizione energetica la vogliamo fare, ma il tema è non trasformare il paesaggio unico della Sardegna in un paesaggio industriale”.

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Voto per la presidenza Rai, la maggioranza prende tempo

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Nulla di fatto in ufficio di presidenza sulla convocazione della riunione della Commissione di Vigilanza per la votazione di Simona Agnes alla presidenza Rai. Di fronte alla richiesta dell’opposizione di calendarizzare in tempi brevi l’appuntamento, la maggioranza ha chiesto di avere più tempo e ha spinto la presidente della bicamerale Barbara Floridia a convocare per domani mattina una riunione plenaria dove si prenderà la decisione.

Sono stati in particolare il capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Filini, e quello di Forza Italia, Roberto Rosso, ad insistere su questa linea, mentre Lega e Noi Moderati non hanno mosso particolari obiezioni. Non è un caso, perché lo sponsor principale di Agnes è proprio il partito guidato da Antonio Tajani ed al momento non c’è un accordo con la minoranza, o parte di questa, per arrivare alla ratifica dell’incarico, che richiede i due terzi delle preferenze. Alla maggioranza mancano almeno due voti sui 28 necessari e l’opposizione ha già reso noto che intende non partecipare alla votazione per evitare il rischio dei franchi tiratori. Floridia ha proposto senza successo alcune date ravvicinate per la convocazione, tra questa sera e i prossimi giorni. “Nell’ufficio di presidenza di questa mattina ho preso atto della impossibilità di stabilire oggi una data per il voto sulla presidente della Rai a causa del diniego di alcune forze di maggioranza – afferma -. Ho quindi convocato per domani mattina alle 8 la commissione di vigilanza in plenaria affinché si decida in quella sede la data del voto. Ove ciò non avvenisse, calendarizzerò il voto entro venerdì, come previsto dal regolamento”.

Forza Italia sostiene che non c’è alcun intento ostruzionistico. “Abbiamo aperto un ponte con l’opposizione avviando la discussione sulla riforma della governance Rai e dato la nostra disponibilità a partecipare agli stati generali sull’informazione – spiega Rosso -. A fronte di questo, ci sembra opportuno avere più tempo per provare ad instaurare un dialogo con l’opposizione anche sulla presidenza della Rai, visto che al momento, con l’annuncio della minoranza di voler uscire dall’aula, questo dialogo non c’è”. L’opposizione teme, invece, che si vogliano dilatare i tempi per provare a trovare i voti mancanti, eventualmente barattando qualche poltrona in Rai. Sul piatto ci sono, infatti, le nomine alle testate che arriveranno, probabilmente a novembre, sul tavolo del cda. In particolare, oltre a Rainews, Tgr e Rai Sport che presumibilmente resteranno nell’ambito della maggioranza, è da assegnare la guida del Tg3 dopo l’uscita di Mario Orfeo in direzione Repubblica.

I Cinque Stelle vengono dati favoriti, con l’approdo di Bruno Luverà o Senio Bonini, ma la partita è tutta da giocare e non mancano nomi di area Pd. I dem si sono chiamati fuori dal voto per i consiglieri, ma la spaccatura ha già creato molti malumori nella minoranza e solo ieri Carlo Calenda ha parlato di “figura da imbecilli”. I Cinque Stelle hanno assicurato che non parteciperanno al voto, ma la maggioranza, Forza Italia in primis, spera che questa linea possa cambiare, trovando così un appoggio da parte loro o dei due renziani in commissione, eventualmente al secondo tentativo di votazione per Agnes che potrebbe avvenire dopo il voto in Liguria.

Nella maggioranza c’è chi preme, però, per l’allargamento del dialogo anche al Pd con la scelta per la presidenza di un nome di garanzia, come ad esempio Giovanni Minoli. Da Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli respinge le illazioni su un dialogo con M5s in chiave Rai. “Noi lavoriamo per le istituzioni – afferma -. Certo poi speriamo che a un certo punto l’opposizione inizi a pensare anche all’Italia e non alle loro divisioni interne. Il problema è tutto lì: che non riescono a trovare una sintesi tra di loro”.

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