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Ambiente

Portogallo: siccità severa o estrema nel 40% del territorio

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 Il governo portoghese ha dichiarato lo stato di siccità severa o estrema per il 40% del territorio nazionale. Le zone più colpite sono soprattutto a sud, in particolare l’Alentejo meridionale e le province dell’Algarve orientale al confine con la regione spagnola dell’Andalusia. La dichiarazione dello stato di siccità dovrebbe ora permettere la richiesta dei fondi europei per far fronte a un problema che minaccia di peggiorare rapidamente con il prevedibile aumento delle temperature. Ieri nell’entroterra dell’Alentejo si sono sfiorati i 35 gradi e i meteorologi annunciano una stagione molto complicata anche sul piano della prevenzione degli incendi. Per questo motivo gli agricoltori dell’Alentejo, che da tempo chiedevano un intervento dell’esecutivo, accusano il governo di essere stato intempestivo. La ministra dell’Agricoltura, Maria do Céu Antunes, ha però assicurato che azionerà subito il piano strategico della Politica agricola comune. Già l’anno scorso il mese di maggio in Portogallo era stato il più caldo degli ultimi novant’anni.

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Ambiente

Cop28, solo 20% imprese italiane ha piano contro cambio clima

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Solo un’impresa italiana su cinque dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico, il 17% ha fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti. È quanto emerge dalla ricerca “L’impegno delle aziende italiane per il net-zero” realizzata da Ipsos e dal Network italiano del Global Compact delle Nazioni Unite (Ungc), la più grande iniziativa di sostenibilità d’impresa al mondo. La ricerca, con una prefazione del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, è stata presentata il 10 dicembre al padiglione Italia della Cop28 a Dubai.

L’88% delle imprese italiane riconosce che la sostenibilità dovrebbe orientare tutte le scelte aziendali, ma al tempo stesso solo una su 10 afferma di avere “molto chiaro” il concetto stesso di sostenibilità, indica il rapporto. Se si considerano solo le risposte degli aderenti italiani a Ungc, il 64% ha già definito un programma di contrasto al cambiamento climatico (contro una media nazionale del 22%) e otto aderenti su 10 calcolano le proprie emissioni (contro una media nazionale di un’impresa su dieci). Il ministro Pichetto, introducendo la ricerca, ha affermato che “a valle dell’impegno già in essere delle grandi aziende, l’obiettivo è integrare le piccole e medie in un percorso di transizione industriale nazionale: questo dovrà tenere conto di misure a supporto che riguardano l’accesso alla finanza e le agevolazioni, il tema delle competenze tecniche e la competitività nel lungo periodo”.

“I dati della ricerca ci dicono che tra le aziende italiane c’è ancora molto da fare, il rapporto tra chi ha adottato un piano sul clima e chi non lo ha fatto è di uno a cinque, decisamente basso considerato il peso della nostra economia”, ha spiegato Marco Frey, presidente Ungc Italia osservando che “il ruolo del settore privato è cruciale, ma è necessario sviluppare e implementare iniziative di supporto che possano guidare le imprese nell’ambizioso percorso verso il net-zero”. Per Daniela Bernacchi, direttore esecutivo Ungc Italia “non c’è dubbio che nel mondo aziendale esista una forte consapevolezza del tema ambientale”. Se si considerano solo le risposte degli aderenti italiani a Ungc, il 64% ha già definito un programma di contrasto al cambiamento climatico (contro una media nazionale del 22%) e otto aderenti su 10 calcolano le proprie emissioni (contro una media nazionale di un’impresa su dieci). “Una conferma – osserva Bernacchi – di quanto sia importante la condivisione di questo percorso insieme ad altre imprese in una logica di rete”.

Il Global Compact Onu “vuole essere proprio questo, uno strumento per pianificare obiettivi ambiziosi, facendo leva sulla forza del network per raggiungere anche le Pmi”. Significativo il dato che emerge dalla ricerca rispetto ai freni all’impegno ambientale. Per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti adeguati, per il 27% di freni burocratici e per un altro 27% pesa la mancanza di figure professionali competenti. Quanto alle risorse umane dedicate alla definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni nelle aziende che non hanno sottoposto i propri target a validazione, nel 34% delle imprese è oggi presente una persona o un team che se ne occupa, mentre il 41% preferisce affidarsi a consulenti esterni. Dalla ricerca emerge ancora che è nella moda, nel food e nelle utilities che si riscontrano i livelli di conoscenza maggiori.

Mentre nelle costruzioni (settore ad alto impatto in termini di emissioni), le conoscenze sono piuttosto sommarie e poco diffuse. Automotive e utilities risultano i settori più consapevoli del valore in termini di competitività e reputazione dell’adozione di comportamenti sostenibili da parte delle aziende. Per quanto riguarda invece l’impegno e le iniziative ambientali, è sempre il settore delle utilities quello impegnato in modo più assiduo e strutturato, sia in iniziative di contrasto al cambiamento climatico, che in iniziative di sensibilizzazione interne rivolte alla propria popolazione aziendale. Il retail, al contrario, risulta il settore più indietro.

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Nuovo blitz a Venezia, Canal Grande si colora di verde

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Un nuovo blitz è stato compiuto a Venezia dagli attivisti del clima, questa volta da parte del gruppo ‘Extinction Rebellion’, che hanno fatto finire in Canal Grande della fluoresceina – una sostanza innocua – colorando le acque di verde. Negli stessi istanti alcuni di loro si sono calati con corde e imbragatura dal ponte di Rialto esponendo uno striscione con la scritta “Cop28: mentre il governo parla noi appesi a un filo”. Solo due giorni fa erano stati i giovani di Ultima Generazione a prendere di mira la Basilica di San Marco con un lancio di fango liquido misto a cioccolato.

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Cop28, l’Italia bocciata sulla lotta al climate change

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Italia bocciata nella lotta ai cambiamenti climatici, e lo indica il tonfo nella classifica delle perfomance dei principali Paesi del pianeta: scende dal 29/o al 44/o posto, perdendo ben 15 posizioni. Un risultato dovuto soprattutto al rallentamento della riduzione delle emissioni di gas serra (37/o posto della specifica classifica) e per una politica climatica nazionale (al 58/o posto) fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza. Lo dice il rapporto annuale di Germanwatch, Can (la più grande rete al mondo con oltre 1.900 Ong in più di 130 paesi che lavorano per combattere la crisi climatica) e NewClimate Institute, realizzato per l’Italia in collaborazione con Legambiente e presentato alla Cop28 in corso a Dubai. La Conferenza dei 197 Paesi più l’Unione europea sui cambiamenti climatici è al giro di boa. Comincia la seconda settimana di negoziati in cui i ministri devono trattare per raggiungere il maggiore consenso sugli impegni contro il riscaldamento globale e dunque su una bozza di accordo che possa avere il via libera entro il termine dei lavori, il 12 dicembre.

E questo è l’auspicio del presidente della Conferenza, Sultan Al Jaber, che si è detto ottimista sul successo di questa Cop “che ha già fatto la storia, è già accaduto qualcosa di straordinario”, guardando ai risultati finanziari ottenuti nella prima settimana, con impegni per miliardi di dollari fra sostegno dei Paesi vulnerabili e impegni in vari settori. Per questo ha sollecitato le parti a realizzare un ‘accordo storico’. Al Jaber ha presentato un testo di 27 pagine, una sorta di scaletta ragionata, che contiene tutte le richieste finora avanzate dalle parti. In sostanza, “c’è il futuro di tutto l’accordo di Parigi”, ha commentato Jacopo Bencini, esperto del think tank Italian Climate Network, precisando che ci sono 143 fra opzioni e sotto-opzioni per sondare il terreno con i vari ministri in incontri bilaterali e capire quale ampiezza di consenso si può raggiungere sull’accordo finale. Il ventaglio completo dei temi e le tante opzioni indicano che tutto è in campo e le trattative sono assolutamente aperte. Tornando alla classifica di Germanwatch, in coda ci sono i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Emirati Arabi Uniti (65/o), che stanno ospitando la Cop28, Iran (66/o) e Arabia Saudita (67/o).

La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, è stabile al 51/o posto e gli Usa (secondo emettitore di gas serra) perdono 5 posizioni e scendono al 57/o posto. Nel rapporto si prende in considerazione la performance climatica di 63 Paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. Non sono state attribuite neanche quest’anno le prime tre posizioni “in quanto nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5 gradi. In testa alla graduatoria con il quarto posto la Danimarca, grazie soprattutto alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti e allo sviluppo delle rinnovabili, seguita da Estonia (5) e Filippine (6) che rafforzano la loro azione climatica nonostante le difficoltà economiche. Alla Cop28, spiega Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, “è cruciale raggiungere un accordo ambizioso che preveda di triplicare la capacità installata di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica ed avviare da subito il phasing-out delle fonti fossili. Solo così sarà possibile una drastica riduzione entro il 2030 di carbone, gas e petrolio, mantenendo vivo l’obiettivo di 1,5 gradi” .

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