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Politica

Porti chiusi e multe, com’era ‘sicurezza’ Salvini

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Due decreti in poco meno di nove mesi, quando il governo era gialloverde e il ministro dell’Interno, e vicepremier, era Matteo Salvini. Due provvedimenti per contenere, tra gli altri, il fenomeno delle migrazioni e le attività delle numerose organizzazioni che operano nel Mediterraneo. La ‘sicurezza’ del leader della Lega passava per il mare e i porti chiusi, per le maximulte alle navi delle ong e la revisione delle norme sulla protezione internazionale. Strette severe che hanno portato a diversi interventi della Consulta e lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad inviare, prima di firmare il cosiddetto ‘sicurezza bis’, una lettera al governo in cui ribadiva che il salvataggio dei migranti “rimane un dovere”. Che il tema dei migranti fosse in cima alla lista del programma del neo-insediato governo Conte era chiaro sin dall’inizio. E’ il 24 settembre 2018, sono passati appena 115 giorni dal travagliato giuramento del nuovo esecutivo quando il consiglio dei ministri dà il via libera al primo decreto sulle “disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione”, immediatamente denominato proprio ‘decreto Salvini’. Una sorta di ‘prova generale’ di quello che sarà, qualche mese dopo, il più stringente ‘Sicurezza bis’. I 40 articoli del decreto prevedevano un giro di vite sui permessi di soggiorno con l’abrogazione di quelli concessi per motivi umanitari, sostituiti dai ‘permessi speciali’ in base a sei fattispecie, come sfruttamento, motivi di salute o calamità nel Paese di origine. Prevista anche la sospensione della domanda d’asilo in caso di pericolosità sociale o condanna in primo grado, nonché la possibilità di negare o revocare la protezione internazionale per alcuni tipi di reati. Il decreto disponeva poi la revoca della cittadinanza italiana a carico dei condannati per reati di terrorismo nonché l’estensione del tempo di permanenza nei Centri per il rimpatrio, i cosiddetti Cpr, per facilitare l’espulsione degli irregolari. La rotta del governo gialloverde viene confermata il 14 giugno 2019 quando l’esecutivo approva il secondo dei decreti voluti da Salvini, il cosiddetto ‘Sicurezza bis’. La conversione in legge e la conseguente firma del presidente Mattarella arriveranno solo ad agosto, con due pesanti rilievi mossi dal Colle. Il senso della lettera inviata dal capo dello Stato a governo e Parlamento era che l’obbligo dei naviganti di salvare i naufraghi rimane un dovere imprescindibile. Il decreto, infatti, consentiva al ministro dell’Interno di “limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” per motivi di sicurezza. Un divieto che poteva costare alle ong non solo maxisanzioni fino a un milione di euro ma anche il sequestro della nave stessa. Sulle norme si è pronunciata più volte, tra il 2019 e il 2020, la Corte Costituzionale, prima per bocciare l’esclusione dell’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo. Un provvedimento che, scriveva la Consulta, viola la “pari dignità sociale”. Un altro stop era arrivato ai cosiddetti ‘superprefetti’, spiegando che non avrebbero potuto sostituire i sindaci in quanto la norma era lesiva delll’autonomia degli enti locali. Con la crisi di governo, e il nuovo esecutivo guidato da M5S e Pd, si riapre la discussione sui decreti sicurezza che vengono limati e modificati dal nuovo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Tra i nuovi provvedimenti viene reinserito il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma viene anche stabilito il divieto di espulsione degli stranieri in gravi condizioni di salute. Abolite anche le sanzioni amministrative per le navi che compiono operazioni di soccorso in mare e il loro sequestro.

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Economia

Ponte sullo Stretto, i dubbi del Ministero dell’Ambiente

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Il ministro Matteo Salvini lancia la Conferenza dei servizi sul Ponte sullo Stretto, per avviare entro l’estate i cantieri della sua opera-bandiera. Ma il primo sgambetto gli arriva proprio da un altro ministero, quello dell’Ambiente, guidato da Gilberto Pichetto di Forza Italia. Alla prima riunione della Conferenza dei servizi, che riunisce tutti i soggetti interessati per sveltire le procedure (imprese, Ministeri, enti locali), il Mase ha chiesto alla Società Stretto di Messina S.p.a. ben 239 integrazioni di documenti. Per il ministero, la documentazione presentata dalla concessionaria è superficiale, insufficiente e non aggiornata, e va approfondita su tutti i fronti.

I tecnici della Commissione Via-Vas, quelli che devono fare la valutazione di impatto ambientale dell’opera, in 42 pagine di relazione hanno chiesto nuove informazioni praticamente su ogni aspetto del progetto. Le richieste di integrazione di documenti riguardano la compatibilità coi vincoli ambientali, la valutazione dei costi e benefici, la descrizione di tutti gli interventi previsti, il sistema di cantierizzazione, la gestione delle terre e rocce di scavo. Il Mase chiede dati più approfonditi e aggiornati sul rischio di maremoti, sull’inquinamento dell’aria, sull’impatto del Ponte sull’ambiente marino e di terra e sull’agricoltura, sulle acque, sui rischi di subsidenza e dissesto, sulla flora e sulla fauna, sul rumore e i campi magnetici, sulle aree protette di rilevanza europea Natura 2000. Le associazioni ambientaliste come Wwf e Legambiente e i comitati locali anti-Ponte parlano di “passo falso” e di “farsa”, e ribadiscono “il progetto non sta in piedi”.

Ma sono soprattutto le opposizioni a cavalcare la vicenda. Per Marco Simiani del Pd, “il ministero dell’Ambiente sconfessa clamorosamente Matteo Salvini, bloccando di fatto il progetto”. Proprio il leader della Lega era assente alla Conferenza dei servizi, che si è tenuta al suo ministero delle Infrastrutture. “Dal ministero dell’Ambiente arriva un macigno sul progetto del Ponte sullo Stretto”, commenta il leader Cinquestelle Giuseppe Conte, che parla di “un progetto vecchio, risalente al 2011/2012, pieno di falle sul piano ingegneristico, ambientale, trasportistico e finanziario”. Angelo Bonelli di Avs rincara la dose: “La commissione tecnica Via del Ministero dell’Ambiente ha demolito il progetto definitivo sul ponte. Ma esiste un progetto definitivo? O quello che avete presentato è quello di 15 anni fa, che era stato bocciato nel 2012 dal ministero dell’Ambiente?”. Mentre il Codacons chiede l’intervento della Corte dei Conti, l’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, non si mostra preoccupato per le osservazioni del Mase: “Sono richieste congrue, data l’entità dell’opera. In 30 giorni daremo tutti i chiarimenti richiesti”.

Il ministro Gilberto Pichetto si trova all’improvviso in una posizione scomodissima, con gli uffici del suo ministero che bastonano un progetto che è il cavallo di battaglia di un suo collega. “Con queste istanze abbiamo dato via alla procedura di valutazione di impatto ambientale”, commenta asettico. La richiesta di integrazioni “è atto tipico della prima parte di ogni procedimento di valutazione di impatto ambientale”. Per il Ponte “si è tenuto conto, come di consueto, anche di elementi tratti dai contributi di Ispra e di soggetti non pubblici aventi diritto, per legge, ad esprimersi”. “Le richieste della Commissione Via-Vas del Mase non rappresentato assolutamente una bocciatura del Ponte sullo Stretto, ma sono legittime integrazioni proporzionate ad un progetto enorme – ha commentato Matilde Siracusano, sottosegretario di FI ai Rapporti con il Parlamento – Ho sentito il ministro Pichetto e anche Pietro Ciucci, e non ci sono criticità”.

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In Evidenza

Canfora a giudizio per diffamazione aggravata: Meloni gli chiede 20mila euro

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Andrà a processo a Bari, con l’accusa di diffamazione aggravata nei confronti della premier Giorgia Meloni, che ha chiesto un risarcimento di 20mila euro, lo storico e filologo Luciano Canfora, 82 anni, professore emerito dell’università di Bari, intellettuale di sinistra e opinionista. La decisione è stata presa oggi pomeriggio dalla giudice Antonietta Guerra, che nel rinviarlo a giudizio ha ritenuto necessaria un’integrazione probatoria sulle parole pronunciate dal filologo in sede di dibattimento.

Il processo inizierà il 7 ottobre. Al suo arrivo in Tribunale, camminando appoggiato ad un bastone, Canfora è stato accolto dagli applausi di alcuni manifestanti. La vicenda risale all’11 aprile 2022 quando Meloni era leader di Fratelli d’Italia e parlamentare all’opposizione del governo Draghi.

Nel corso di un incontro con gli studenti del liceo scientifico ‘Enrico Fermi’ di Bari dedicato alla guerra in Ucraina, Canfora la definì “neonazista nell’anima”, “una poveretta”, “trattata come una mentecatta pericolosissima”. Partì subito la querela e la Procura di Bari, dopo aver chiesto la citazione diretta in giudizio del professore, oggi ne ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio.

La premier si è costituita parte civile chiedendo, tramite l’avvocato Luca Libra, anche un risarcimento danni da 20mila euro. Secondo il legale, infatti, con le sue parole Canfora avrebbe “leso l’onore, il decoro e la reputazione” di Meloni, “aggredendo la sua immagine, come persona e personaggio politico, con volgarità gratuita e inaudita”.

“La domanda risarcitoria – scrive ancora il legale – è motivata, anzitutto, dal pregiudizio psicofisico sofferto e, soprattutto, dalla lesione alla reputazione, all’onore e all’immagine” di Meloni. Di parere opposto il difensore dello storico, Michele Laforgia che aveva chiesto il proscioglimento del suo assistito “perché il fatto non sussiste, o perché non costituisce reato, o perché comunque non punibile per esercizio del diritto di critica politica”.

“La premier sarà sicuramente chiamata a deporre in aula”, ha annunciato inoltre, spiegando che, “sapevamo che, se avessimo dovuto approfondire il tema del ‘neonazismo nell’animo’ nel merito sarebbe stato necessario sentire la persona offesa dal reato”, “e forse acquisire” in dibattimento “una massa importante di documenti biografici, bibliografici, autobiografici”. “Resto convinto – ha aggiunto Laforgia – che un processo per un giudizio politico per diffamazione non si possa fare e non si debba fare, e che sia molto inopportuno farlo quando dall’altra parte ci sia un potere dello Stato”.

Canfora, professore di filologia greca e latina nell’università di Bari dal 1975, ha insegnato anche papirologia, letteratura latina, storia greca e romana. Autore di saggi di storia antica e contemporanea, per anni è stato iscritto al Partito comunista italiano e ha poi aderito a Rifondazione comunista.

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Politica

Usigrai, via Ranucci e Sciarelli? I vertici non difendono la Rai

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“Indiscrezioni di stampa danno per imminente l’addio alla Rai anche di altri due volti importanti dell’azienda, Sigfrido Ranucci e Federica Sciarelli. Due professionisti che per Usigrai sarebbero una perdita ancor più dolorosa perché si tratta di giornalisti interni da sempre impegnati nella ricerca della verità attraverso inchieste che hanno fatto la storia dell’azienda”. A sottolinearlo, in una nota, è l’esecutivo dell’Usigrai.

“Peraltro, è notizia di questi giorni – aggiunge il sindacato – la decisione della Rai di cancellare le repliche di Report dal palinsesto estivo. Si rinuncia a un prodotto di qualità a costo zero pur di rimuovere Ranucci dal servizio pubblico. Ci chiediamo se il mandato di questo vertice – che il governo si appresta a riconfermare, almeno in parte – sia quello di distruggere la Rai. Si fanno investimenti fallimentari, si chiedono sacrifici ai dipendenti, si taglia il budget delle redazioni con ripercussioni inevitabili sulla qualità del prodotto e al contempo si perdono pezzi importanti dell’identità Rai, con gravi danni per gli ascolti e il bilancio. Una situazione inaccettabile sia per il tradimento della missione della Rai servizio pubblico, sia dal punto di vista sindacale per la progressiva riduzione del perimetro occupazionale che le scelte del vertice comportano”.

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