Questo giornale ha sempre provato a ricordare le 43 vittime del Ponte Morandi di Genova senza l’ipocrisia italica che svilisce tragedie enormi annacquandole con l’oblio del tempo che passa. In troppi continuano a balbettare e ballare sui cadaveri di 43 persone uccise, non morte, che aspettano giustizia. Il giornalismo quando è racconto della realtà e non mistificazione ci impone di far rilevare alcune miserie umane che offendono un Paese che mostra in certe occasioni il suo lato peggiore. E poi, è utile ricordarlo, oltre alle tragedia immensa delle vittime e due familari delle vittime, ci sono i tanti feriti che sono rimaste fisicamente e psichicamente menomate in eterno.
Quest’anno, il giorno della commemorazione delle vittime del Ponte di Genova (dove spesso i familiari delle vittime non sono andati per scelta, perchè non se la sentivano di fare tappezzeria nel corso di una passerella) abbiamo deciso di dare voce ad una delle tante persone ferite nel fisico e nella mente e al suo legale: Yelina Nataliya, una delle vittima rimaste ferite gravemente, che è in piedi per scommessa e che cerca giustizia; l’avvocato cassazionista Giovanni Mastroianni, difensore di Yelina Nataliya e i suoi familiari. Leggere le loro parole ci fa capire quanto sono ancora lontane le parole verità e giustizia in questa storia italiana assurda.
Ponte Morandi. La vittima Yelina Natalia e il suo avvocato Giovanni Mastroianni
Yelina Nataliya, Vittima Ponte Morandi
“Dal 14 Agosto 2018 la mia vita è stata travolta da un un’ondata di dolore che non si è mai più arrestata. Ero diretta in Francia per una vacanza sognata da tanto tempo, con Eugeniu che oggi è mio marito. Appena giunti sul viadotto in quel giorno maledetto, abbiamo sentito l’autostrada sollevarsi sotto di noi, poi dopo pochi attimi, eravamo sanguinanti e feriti tra le lamiere contorte della nostra auto, divenuta una prigione di metallo che a sua volta era contenuta in una prigione di tonnellate di cemento, ovvero tutto ciò che restava del Ponte Morandi crollato. Ma noi non sapevamo neanche cosa fosse successo e cosa fosse quell’inferno dove eravamo stati catapultati all’improvviso, e per quatto ore siamo rimasti sepolti vivi sotto quelle macerie senza vedere e sentire nulla, tranne il dolore atroce delle nostre ossa rotte e il calore del nostro stesso sangue che ci inzuppava i vestiti.Se siamo vivi è solo grazie ai soccorritori, veri angeli che ci hanno regalato un’altra esistenza. Ma a parte loro, dopo quattro anni lo Stato ci ha totalmente abbandonato e la lentezza della Giustizia mortifica ogni giorno noi “vittime del Ponte Morandi”. Oltre alle menomazioni fisiche alle quali siamo stati condannati per sempre, il trauma di quel giorno ci provoca anche più dolore delle ferite fisiche, che ancora opprimono ogni attimo della nostra vita. Oggi provo dunque una grande rabbia, quasi un senso di umiliazione, perché chi ci ha fatto questo si gode i profitti guadagnati causando una tragedia che si poteva evitare adottando minime precauzioni, invece per ingordigia e assurda negligenza il crollo del viadotto ha ucciso quarantatré persone innocenti,tanto che ed io ed Eugenio, anche se distrutti da questa ignobile vicenda, dobbiamo persino dirci fortunati a non essere morti con loro, anche se una parte di noi è rimasta sotto quell’orrore per sempre. Nei giudizi civili intrapresi dai miei familiari, la società di gestione “Autostrade Per l’Italia” Spa, in modo che non riesco neanche a definire, viene a raccontare che non ha alcuna responsabilità e non c’entra nulla con l’accaduto, anche se il 15 Marzo di quest’anno hanno patteggiato una pena dove ammettono le loro gravissime colpe. Un atteggiamento che dire beffardo sarebbe poco, ma che di certo viene assunto con la consapevolezza di una perdurante impunità e la complicità di uno Stato benevolo con i nostri carnefici e non con le vittime. Una vergogna senza fine, e pensare che all’indomani di quel giorno disgraziato, ormai di quattro anni fa, esponenti politici di primo piano fecero a gara per sfilare a Genova sulle macerie e sul sangue dei morti e dei feriti come noi, promettendo giustizia e ristori. A distanza di quattro anni nessuno paga per questi crimini e Autostrade per l’Italia racconta nei giudizi civili che è estranea a tutto. Non ho davvero altro da dire”.
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Giovanni Mastroianni
“La situazione è grave , potremmo dire paradossale, eppure rappresenta uno spaccato non inconsueto della Giustizia italiana e più in generale dell’Amministrazione del nostro Paese. I giudizi sono lenti, come sempre, malgrado la Procura della Repubblica di Genova abbia fatto sforzi significativi per giungere nei tempi più brevi possibili, quantomeno alla conclusione delle indagini preliminari. Ma sono passati già quattro anni. Avere una sentenza di condanna tra dieci anni o anche più non sarà che un altro duro colpo per le “Vittime del Ponte Morandi” ed i loro familiari. In Sede Civile le cose non vanno di certo meglio, anzi, anche qui i Magistrati cercano di fare quello che possono con i tempi della Giustizia, che sono però parimenti lenti a causa un problema che affligge tutta l’organizzazione amministrativa italiana. Mezzi insufficienti, strutture giudiziarie non sempre adeguate, ancora poco personale di cui una considerevole parte ancora da formare e rendere effettivamente capace di sfruttare al meglio tutte le innovazioni del Processo Telematico e della Digitalizzazione. Effettivamente appare sconcertante che una Società ormai pubblica, come Autostrade per l’Italia Spa , venga nel Tribunale Civile di Roma a dire che è totalmente estranea alle responsabilità del crollo del Ponte Morandi, quando presso il Tribunale Penale di Genova ha patteggiato la pena per i medesimi fatti contestati, quindi riconoscendo ovviamente la sua responsabilità nel crollo del viadotto autostradale.I nostri giudizi civili sono comunque ormai prossimi alla conclusione della fase istruttoria, e dopo l’espletamento della già richiesta prova testimoniale ed interrogatorio formale, siamo certi che mergerà anche in tal Sede, ed ancora una volta, la gravissima responsabilità di Autostrade per l’Italia Spa nella causazione del crollo del Ponte Morandi, dove hanno perso la vita quarantatré persone e tante altre sono rimaste gravemente ferite, proprio come Nataliya. Noi avvocati forse più di tutti sappiamo quanto la Giustizia possa essere lenta nel nostro Paese, ma sappiamo anche quanto sia inarrestabile”
Avvocato cassazionista Giovanni Mastroianni, difensore della signora Yelina Nataliya e suoi familiari, vittime del Ponte Morandi
Non si ferma la polemica nel piccolo paese di Terricciola (Pisa) per la coesistenza in giunta comunale di sindaco e assessora conviventi, nonché genitori di una bambina di 18 mesi. Ora, come riportano La Nazione e il Tirreno, il sindaco Mirko Bini ha comunicato al consiglio comunale di avere respinto le dimissioni e ridato le deleghe all’urbanistica e ai lavori pubblici a Giulia Bandecchi, inoltre a fine seduta le ha pure lanciato una promessa di matrimonio.
“Giulia ha svolto bene il suo lavoro e per questo non c’è nessun motivo per cui non debba riprendersi le deleghe”, ha detto il sindaco Bini, aggiungendo “Il matrimonio tra noi? Magari dopo il 9 giugno”, data delle amministrative. I due non sono sposati e vivono insieme con la bambina. Un’interrogazione parlamentare del deputato di FdI Francesco Michelotti, stimolato dall’opposizione locale, ha chiesto se la situazione di sindaco e assessora che stanno insieme e hanno una bimba, sia corretta dato il legame fra i due, tirando in ballo anche lo statuto comunale e il Testo unico degli Enti Locali. Giulia Bandecchi ha dato dimissioni “il 7 marzo – come ricorda lei stessa – perché non volevo creare problemi all’ente”.
Mirko Bini, ricordando che “tra noi non c’è coniugio e non siamo affini”, ha anche detto che Giulia Bandecchi “ha lavorato con impegno e competenza al Piano operativo comunale, ho ritenuto giusto che potesse concludere questo lavoro”. Non è d’accordo ‘Terricciola sicura’: “Per farla semplice – dice la consigliera d’opposizione Elena Baldini – una coppia che vive sotto lo stesso tetto non può ricoprire il ruolo di sindaco e assessora nel solito Comune. Non accade in alcun Comune italiano. La legge dice che non si può fare”. Bini e Bandecchi si erano posti il problema già da tempo, in precedenza avevano chiesto anche un parere al segretario comunale ma, afferma Giulia Bandecchi al Tirreno, “c’è stato sempre detto che non ci sono problemi rispetto alla legge” e “la bambina non l’ho mai nascosta a nessuno, l’ho anche portata in questa sala del consiglio comunale”.
Il pm della Procura dei Minori ha chiesto 20 anni di carcere per il 17enne imputato dell’omicidio di Giovanbattista Cutolo, il giovane musicista ucciso la sera del 31 agosto scorso a Napoli. Si attende ora la decisione del giudice.
Il pubblico ministero presso il Tribunale dei Minorenni di Napoli Francesco Regine ha chiesto venti anni di reclusione, il massimo della pena considerato il rito abbreviato, al termine della sua requisitoria al processo per l’omicidio di Giovanbattista Cutolo, il giovane musicista 24enne ucciso all’alba dello scorso 31 agosto, in piazza Municipio, a Napoli, durante una lite scoppiata per uno scooter parcheggiato male.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, comparirà il 2 luglio in Tribunale a Sassari come parte offesa nel processo in corso contro due sassaresi, padre e figlio di 73 e 40 anni, accusati di aver pubblicato su un sito internet pornografico statunitense dei video contraffatti apponendo il volto della premier sui corpi dei protagonisti di scene hard. Nel procedimento la presidente si è costituita parte civile e nell’udienza filtro che si è tenuta questa mattina è stata convocata a deporre in aula per il 2 luglio. La premier, rappresentata dall’avvocata Maria Giulia Marongiu, ha chiesto un risarcimento danni di 100 mila euro.
Una richiesta che, è stato spiegato dall’avvocata in una precedente udienza, “vuole essere un messaggio rivolto a tutte le donne vittime di questo genere di soprusi a non avere paura di denunciare”. Il risarcimento, è stato annuciato, sarà devoluto al fondo del ministero dell’Interno per le donne vittime di violenza. Il tribunale di Sassari procede con rito ordinario solo nei confronti del 40enne imputato per i video contraffatti; per il padre 73enne, l’avvocato difensore Maurizio Serra, ha chiesto la messa alla prova e il giudice deciderà la prossima settimana se accogliere la richiesta.
Le indagini sui video fasulli e diffamatori, condotte dalla Polizia postale di Sassari, sono iniziate nel 2020. Gli investigatori, tramite il nickname utilizzato da chi aveva pubblicato i video sul sito internet, sono risaliti all’utenza telefonica da cui erano partiti i dati e sono riusciti a identificare i presunti autori della contraffazione. Secondo le accuse della Procura, il 40enne aveva modificato dei filmati pornografici e, utilizzando dei software specifici per la manipolazione grafica dei video, aveva apposto il volto di Giorgia Meloni sui corpi delle attrici hard. I video restarono in rete parecchi mesi, raccogliendo milioni di visualizzazioni in tutto il mondo.