Jair Bolsonaro ha licenziato il Ministro della Sanità: un medico, suo sodale, che non ne ha potuto più di fare da megafono alle letture minimaliste dell’epidemia provenienti dal Planalto. È stato sostituito da un altro medico: anch’egli di osservanza bolsonariana, si capisce, ma con più garanzie di fedeltà. Dobbiamo dunque rassegnarci a credere che la medicina sia un’opinione? È quello che tenta disperatamente di negare Antony Fauci di fronte a Donald Trump, il padre -non certo nobile- di tutte le aberrazioni comunicative di questa crisi. Ma nulla si fa, qui da noi, per arginare questa credenza di una medicina meramente enunciativa. Ieri sera, per dire, la “brava presentatrice” di una trasmissione che seguo quando non ospita “giornalisti che parlano di giornalisti”, ha messo alle strette il “solito” Massimo Galli, dell’Ospedale Sacco di Milano, con domande del tipo: ma il Governo ha fatto bene o male? oppure: quale dovrebbe essere la “nuova narrazione” del premier Conte per la fase 2? Il professor Galli, la cui bravura si vede lontano un miglio, è pur sempre un uomo del suo e nostro tempo. Vive nella “società dello spettacolo” del mai troppo abusato Guy Debord e la pratica con visibile slancio. Così, da ormai consumata “video star” rispondeva dicendo che lui non ha la “competenza” per dire qualcosa su questo tema, ma come “semplice cittadino”…e giù il “Galli-pensiero” sul ciclo economico e la comunicazione pubblica.
Massimo Galli. Il professore del Sacco di Milano oramai lo si vede più in uno studio televisivo che in un laboratorio
I fasti della commedia dell’arte, un vanto della tradizione teatrale italiana, si perpetuano rinnovandosi nei temi -adesso, il coronavirus- ma rimanendo saldi nelle fondamenta metodologiche: la recita senza copione. Politici, dunque, giornalisti ed esperti: la triade inaggirabile di questa rappresentazione pandemica. Già, gli esperti. Pare ne siano stati coinvolti 240 dal nostro Governo, senza contare quelli a vario titolo reclutati dalle nostre istituzioni locali: da Bertolaso a non so chi. Come dite? Che fanno questi esperti? Come lavorano, dove lavorano e quando? Domande legittime. Che vi devo dire? Fidiamoci di loro, anche se sembrano pletorici alquanto. Prima o poi produrranno qualche documento chiaro, semplice, motivato nelle scelte -che tutti continuano a definire “difficili” anche se nessuno, di fatto, le vede- univoco delle direttive. Certo, fa impressione sentire il super-manager che dovrebbe aiutare questo Paese ad affrontare i flutti perigliosi della temibile “Fase 2” che è scontento perché “il suo mandato non è chiaro”.
Vittorio Colao. Il top manager chiamato al capezzale del Belpaese che dovrà riavviare i motori dell’economia dopo l’emergenza sanitaria
Dottor Vittorio Colao, io non so se è vero che lei “non parla” con il dottor Domenico Arcuri, manager a sua volta, sullo sfondo di una Protezione Civile che non si sa più cosa faccia dopo il reclutamento dei 300 medici a supporto del “Sistema Sanitario Nazionale” che ancora non raggiungono l’operatività totale, a quanto pare. Non lo so, ma sono portato a credere che sia una falsità, perché credo che un leader aziendale del suo livello, come elemento curricolare di base, debba “saper parlare”. Ciò acclarato, sia pure “solo” induttivamente, mi chiedo: com’è che un grande manager ci mette quasi una settimana a farsi venire il sospetto che “il suo mandato non è chiaro”, in un cotesto di crisi così drammatico? Devo proprio darglielo il consiglio, da cittadino, si intende, non già da esperto? Se lo scriva lei il mandato. Lo invii al Presidente del Consiglio al quale dovrà rendere conto e gli dia tempo un giorno per la risposta. Nessuna tergiversazione, nessun negoziato. Prendere o lasciare. Come primo atto della “Fase 2” de-burocratizzata, efficientista, diretta al risultato, di là dalle buone intenzioni di cui è lastricata, come al solito, la via dell’inferno.
Vincenzo De Luca. Il presidente della Regione Campania sempre più a suo agio nella guerra delle parole nella fase acuta della pandemia
Nel frattempo, il “governatorato d’oro”, prestigioso premio mensile in via di istituzione, è stato vinto dal “solito” Vincenzo De Luca. No, no: non sto facendo una (ennesima) battuta sull’on. De Luca, per carità. Sono molto, ma molto serio. Rilevo come il Presidente della Regione Campania abbia detto alla maniera di Eduardo ai suoi pensosi colleghi del Nord che annunciano urbi et orbi che “in Veneto il lockdown è finito” e che “in Lombardia siamo pronti a riaprire” che loro non possono decidere un bel niente, se la loro decisione mette a rischio la salute dei cittadini italiani (sia pure, ahimé, di altre regioni!). Ammesso che la loro decisione possa avere un qualche valore legale. Ma questo non lo sapremo finché il Governo non emette un comunicato: non alla televisione, o sui social, sperabilmente, ma su una “carta bollata”, come si faceva una volta. Un comunicato di tre righe, in cui ai sensi dell’art. 32 della Costituzione, rivendica a sé l’onere della condotta della Sanità Pubblica nelle situazioni di emergenza epidemica. Ciò che del resto si fa in Italia da parecchi secoli a questa parte, con risultati di primazia europea a partire dal quadrilatero dell’eccellenza rinascimentale in questo campo, vale a dire Milano-Genova-Firenze-Venezia.
Attendiamo, dunque, sperando che il buon senso elettorale ricominci a farsi sentire nelle Americhe e restando consapevoli che in Italia un popolo con un passato come il nostro, con una cultura come la nostra e, come sempre si dice, con una bellezza come la nostra, qualcosa di decente saprà pur tirare fuori dal cappello. Mentre da credenti spronati dal Papa o da furbetti del “non si sa mai”, recitiamo le nostre preghiere.
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Comincia il viaggio che tra immagini e memorabilia racconterà ciò che Maradona è stato per il Napoli, per Napoli ed anche per Pompei: 140 tra i più suggestivi scatti firmati dal fotogiornalista Sergio Siano e circa 100 cimeli originali del campione argentino (tra magliette, scarpe, tute e molto altro) prestati dal Museo Vignati sono la dotazione della mostra “Maradona, il genio ribelle” che sarà inaugurata sabato prossimo, primo aprile (ore 19.30) a Pompei, nel Museo Temporaneo di Palazzo De Fusco, in piazza Bartolo Longo. Da domenica 2 aprile la mostra sarà aperta al pubblico (fino al 9 giugno). Al taglio del nastro interverranno il sindaco di Pompei Carmine Lo Sapio, il fotogiornalista e autore Sergio Siano e Massimo Vignati, che cura il Museo Vignati di Napoli con i cimeli di Maradona. Saranno presenti, inoltre, i curatori della mostra Kaos48 (Fabrizio Scomparin e Stefano Nasti) e l’artista Nello Petrucci ideatore dell’esposizione.
Prevista anche la presenza di Corrado Ferlaino, presidente del Napoli degli scudetti del 1987 e del 1990, e dell’ex calciatore azzurro Gianni Improta. “Maradona, il genio ribelle” è realizzata da Art and Change con il patrocinio del Comune ed è curata da Kaos48. Le fotografie di Sergio Siano hanno immortalato le più decisive gesta atletiche di Diego per le vittorie del Napoli, ma anche i suoi momenti più “intimi” in cui El Pibe de Oro rimaneva ad allenarsi da solo al Centro Paradiso, lontano dai riflettori e dall’entusiasmo, talvolta straripante, dei tifosi napoletani. “Ma anche quegli stessi tifosi e le loro incontrollabili manifestazioni di gioia – sottolineano i promotori della mostra – in occasione dei trionfi azzurri, sono rimasti impressi nelle immagini del fotoreporter partenopeo”. Ci sono, poi, i cimeli originali del Museo Vignati che fanno della mostra una “stanza delle meraviglie”: si va dalla camicia che Diego indossava il giorno stesso in cui ha messo piede a Napoli al pallone del Mundial ’86. Un’attenzione particolare sarà infine dedicata al rapporto speciale che il campione aveva con Pompei, che raggiungeva spesso per regalare un sorriso ai bambini delle Opere di carità del Santuario mariano.
E’ record di donne al Premio Strega 2023 che vede nella dozzina otto scrittrici, delle quali tre al primo romanzo per adulti e quattro scrittori, con superfavorite Romana Petri e il suo ‘Rubare la notte’ (Mondadori) e Rosella Postorino con ‘Mi limitavo ad amare te’ (Feltrinelli). Tra gli 80 titoli della long list tra i quali sono stati scelti i dodici candidati, dal Comitato direttivo del Premio, presieduto da Melania Mazzucco, “45 sono di autrici. Un record assoluto” ha sottolineato Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci. Annunciata al Tempio di Vibia Sabina e Adriano, a Roma, la dozzina vede in pole position anche Igiaba Scego con Cassandra a Mogadiscio (Bompiani), Silvia Ballestra con ‘La Sibilla. Vita di Joyce Lussu’ (Laterza) e Maria Grazia Calandrone con ‘Dove non mi hai portata’ (Einaudi).
In gara entra anche un eccezionale terzetto di autrici al loro primo romanzo: Ada D’Adamo con ‘Come d’aria’ (Elliot) in cui racconta la disabilità della figlia e la propria malattia, Maddalena Vaglio Tanet con ‘Tornare dal bosco’ (Marsilio), già finalista nel 2021 al Premio Strega Ragazze e Ragazzi e Carmen Verde con ‘Una minima infelicità’ (Neri Pozza) in cui Annetta racconta la sua vita vissuta all’ombra della madre. “Anche quest’anno abbiamo una conferma della capacità del Premio Strega di crescere e rinnovarsi: tante le autrici donne, tra cui alcune all’esordio e in questa edizione riprende la collaborazione con l’Amministrazione Capitolina” ha sottolineato Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci.
“Lo scorso anno notavamo che le opere erano state scritte o completate nell’isolamento degli anni di pandemia, il che aveva comportato toni intimi e autoconfessioni. Adesso si è abbattuta sui libri l’onda lunga dello shock post traumatico” ha spiegato Mazzucco. Mondadori che si era guadagnata lo scettro della longlist con sei titoli può concentrare ora tutte le sue forze su uno: la storia di Antoine de Saint-Exupery, l’autore de ‘Il Piccolo principe’ raccontata in ‘Rubare la notte’. “Mio padre quando avevo cinque anni mi raccontò ‘Volo di notte’. Molti anni dopo lessi tutta l’opera di Saint-Exupery, è stato l’inventore di un nuovo umanesimo come disse Gide” ha detto la scrittrice. Feltrinelli punta tutto su ‘Mi limitavo ad amare te’ di Rosella Postorino, vincitrice del Campiello nel 2018.
“E un libro che parla di guerra e delle lacerazioni che lascia e della separazione come condizione inevitabile”, ha sottolineato Postorino. Due invece i titoli Bompiani, oltre a Igiaba Scego sarà in gara Vincenzo Latronico con ‘Le perfezioni’, storia di sogni e disillusioni ambientata a Berlino da dove lo scrittore si è collegato in video: “Ho raccontato come sono cambiate le nostre emozioni e vite con l’impatto dei social media”. In corsa per la cinquina anche Andrea Canobbio con La traversata notturna (La nave di Teseo) in cui Torino diventa un grande teatro della memoria; Andrea Tarabbia, vincitore del Premio Campiello 2019, che ne ‘Il continente bianco’ (Bollati Boringhieri) è partito “da un libro suggestione non finito ‘L’odore del sangue’ di Parise”. E Gian Marco Griffi con il romanzo corale ‘Ferrovie del Messico’ (Laurana Editore).
I libri saranno votati da una giuria composta da 660 aventi diritto. Tra i voti espressi dagli Istituti italiani di cultura all’estero Petrocchi ha ricordato che “il ministero degli esteri nella fase attuale, a livello politico ha ritenuto opportuno non invitare i giurati russi, per evitare strumentalizzazioni che potrebbero nuocere al prestigio di un Premio letterario come lo Strega”. La votazione della cinquina sarà il 7 giugno al Teatro Romano di Benevento. Il vincitore sarà proclamato il 6 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a Roma, dalle 23 in diretta su Rai3. I libri in gara concorreranno inoltre alla IX edizione del Premio Strega Giovani. I 12 autori candidati incontreranno il pubblico in 23 tappe in tutta Italia, di cui una all’estero.
Il museo più visitato al mondo continua a essere il Louvre di Parigi, con poco meno di 8 milioni di ingressi nel 2022 (7.726.321), in recupero dai meno di 3 milioni (2.825.000), del 2021 ma in calo rispetto ai 9,6 milioni del 2019 pre-pandemia. E’ quanto emerge dalla tradizionale classifica in esclusiva de “Il Giornale dell’Arte” che assegna la medaglia d’argento ai Musei Vaticani, in risalita dal decimo posto mondiale fino al secondo. In ascesa anche il British Museum di Londra, che passa dal 13/o posto al terzo assoluto. Sono fuori dal podio le Gallerie degli Uffizi che però risalgono di una posizione, dal quinto al quarto posto. In generale nei primi 100 musei d’arte del mondo nel 2022 sono state effettuate 141 milioni di visite: un dato post-pandemia ben lontano però dai 230 milioni di visitatori del 2019, crollati a 54 milioni nel 2020 e leggermente risaliti fino a 71 milioni nel 2021. Complessivamente i primi 10 musei in classifica hanno totalizzato quasi 40 milioni di visite. Restando nella top ten, dietro i musei citati c’è la Tate Modern di Londra che passa dalla 18/a alla 5/a posizione; il Museo Nazionale della Corea di Seul, che sale dalla 14/a posizione fino ad arrivare sesto davanti al Musée d’Orsay di Parigi, dal 20/o al settimo.
A seguire c’è all’ottavo posto la National Gallery of Art di Washington che perde due posizioni piazzandosi ottava in classifica, seguita dal Metropolitan Museum of Art di New York che piomba al nono posto dal precedente quarto. Decimo il Reina Sofía di Madrid, scalato nel ranking di due posti. Limitando la classifica delle visite alla sola Italia, invece, il primo museo è ancora il complesso delle Gallerie degli Uffizi, che comprende Uffizi, Pitti, Giardino di Boboli (quarto al mondo). Seguono la Galleria dell’Accademia e Palazzo Ducale di Venezia. E dietro ancora Castel Sant’Angelo a Roma, il Museo Egizio a Torino, la Reggia di Caserta, la Triennale di Milano con il Museo del Design, il Museo del Cinema e la Galleria Borghese di Roma. Roma, Firenze e Torino hanno quindi due musei nella “top ten” italiana. A livello nazionale, “Il Giornale dell’Arte” fa anche una classifica dei ‘supermusei’ statali autonomi: in prima posizione la rivista piazza il Parco Archeologico del Colosseo davanti al complesso degli Uffizi, al Parco Archeologico di Pompei e al complesso di Capodimonte a Napoli.