Dal 1988 ad oggi 2,5 miliardi di bambini hanno ricevuto il vaccino contro la polio, grazie a uno sforzo che ha coinvolto 200 Paesi e oltre 20 milioni di volontari. Ma il virus non è stato ancora del tutto eradicato e la sua presenza è stata rinvenuta quest’anno nelle acque reflue di New York e Londra. A ricordare l’importanza di aumentare consapevolezza e risorse è la Giornata Mondiale della Polio, che si celebra il 24 ottobre, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e Rotary International. “Era il 29 settembre 1979 quando un gruppo di volontari somministrò il vaccino orale antipolio in un centro sanitario nelle Filippine – ricorda Guido Franceschetti, governatore del Distretto Rotary di Roma, Lazio e Sardegna -. L’iniziativa è simboleggiata dal gesto del presidente del Rotary James L. Bomar Jr, che versò le prime gocce di siero nella bocca di una bimba, aprendo la campagna di immunizzazione finanziata dalla Fondazione Rotary”. Nel 1988, la malattia colpiva 350mila bambini causando in molti casi la paralisi. “Dall’istituzione dell’iniziativa globale per l’eradicazione della polio (Gpei), nel 1988, di cui il Rotary International è stato il promotore in collaborazione con Oms, Unicef, i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) e la Bill & Melinda Gates Foundation, oltre 2,5 miliardi di bambini – aggiunge -hanno ricevuto il vaccino e la polio si è ridotta del 99,9%”. Domani il Rotary International celebrerà la ricorrenza raccontando con una diretta sui social alle 17 le storie degli eroi dell’eradicazione di questa malattia che colpisce i neuroni motori del midollo spinale. Mentre domani al Teatro Sistina a Roma si terrà il concerto del violinista Alessandro Quarta, il cui ricavato servirà a sostenere la campagna.
L’Intelligenza Artificiale per ridisegnare prevenzione e terapia in tutti i campi della medicina. A Caserta il bilancio del Progetto Platone traccia un percorso chiaro per il futuro: superare la medicina uguale per tutti, disegnare una prevenzione e una cura specifiche per ogni paziente
Un sistema che si affiancherà al medico, una piattaforma informatizzata versatile, utilizzabile sia nella pratica clinica che nella ricerca futura. È l’eredità che lascia il Progetto Platone, nato dalla collaborazione tra I.R.C.C.S. Neuromed, Casa di Cura Montevergine, Maticmind, CIRA e CNR IBBR. Questa mattina, nel Polo di Ricerca Neurobiotech a Caserta, si è tenuta la manifestazione di chiusura del progetto, con la presentazione dei risultati e con le ampie prospettive che l’iniziativa ha aperto.
“È stato un bellissimo viaggio – dice Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione e professore di Igiene e Salute Pubblica all’Università dell’Insubria di Varese e Como e Coordinatrice del progetto – Con Platone eravamo partiti da ipotesi che inizialmente sembravano quasi fantastiche. Il nostro sogno era sviluppare una piattaforma software che consentisse ai medici di fare predizioni del rischio per le tre patologie cronico-degenerative più importanti (malattie cardiovascolari, tumori e malattie neurodegenerative) attraverso algoritmi di intelligenza artificiale. Volevamo non solo personalizzare il rischio, ma anche sviluppare percorsi di prevenzione personalizzati per ogni individuo”.
Ma nei settori delle tecnologie avanzate il tempo corre veloce. E oggi Platone ha tradotto quel sogno in una serie di studi scientifici nei quali la persona non viene più inserita in grandi categorie (ad esempio fumatori e non, diabetici e non, obesi e non). Ogni individuo viene invece identificato da una enorme quantità di dati, fino a che viene rivelato nella sua unicità. La sua storia clinica, le decisioni da prendere per la prevenzione futura, le terapie, saranno specificamente “sue”. Al centro di tutto questo c’è l’enorme quantità di dati raccolti dalla Rete di Ricerca Clinica Neuromed.
Licia Iacoviello
“La piattaforma – spiega Iacoviello – ci ha permesso di analizzare una grande quantità di dati dei pazienti. Sulla base di essi, i sistemi sviluppati nell’ambito del progetto hanno individuato elementi che altrimenti sfuggirebbero alla clinica tradizionale. L’intelligenza artificiale, grazie alla sua capacità di elaborare i dati con modalità e velocità che noi non avremmo mai potuto raggiungere, ci ha svelato caratteristiche completamente nuove. E non è tutto: l’intelligenza artificiale tratta tutti i fattori in modo uguale, non ha idee preconcette, non formula ipotesi a priori. È così che possiamo usarla per cercare connessioni che non avremmo immaginato prima”.
Guardando al futuro, è importante sottolineare che questo è solo un primo passo. Gli algoritmi di intelligenza artificiale sono in continua evoluzione. Ciò che sta emergendo dai risultati di Platone non è un prodotto finito, ma un sistema che continua ad evolversi. Più dati vengono inseriti nel sistema, più la macchina può imparare cose nuove, affinando l’algoritmo con variabili nuove, migliorando la precisione delle previsioni.
Dai gorilla agli scimpanzé, dai macachi agli oranghi: è un’inedita fotografia ad alta risoluzione della diversità genetica dei primati, quella che emerge da dieci studi scientifici, di cui otto pubblicati su Science e due su Science Advances. I loro risultati offrono nuovi spunti utili non solo a migliorare gli sforzi di conservazione di queste specie (sempre più minacciate da cambiamenti climatici, perdita di habitat, bracconaggio e traffici illegali), ma anche a capire meglio l’origine genetica di molte malattie umane. Lo studio principale dello speciale, guidato da Lukas Kuderna dell’Istituto di biologia evolutiva in Spagna, ha esaminato in particolare il genoma di oltre 800 esemplari provenienti da Asia, America, Africa, Madagascar e appartenenti a 233 specie di primati (quasi la metà di tutte quelle esistenti sulla Terra), quadruplicando di fatto il numero di genomi di primati ad oggi disponibili.
Questa mole di dati ha permesso di datare meglio il momento in cui si sono separate le strade evolutive di scimpanzé e umani (la divergenza sarebbe avvenuta tra 9,0 e 6,9 milioni di anni fa, dunque prima rispetto a quanto stimato in precedenza). Inoltre ha consentito di individuare oltre 4 milioni di mutazioni che influiscono sulla composizione degli aminoacidi e possono alterare la funzione delle proteine, provocando malattie negli umani. Grazie a questo nuovo catalogo genomico è stato infine dimezzato il numero di ‘innovazioni genomiche’ che si credevano esclusive degli esseri umani. Diventa così più facile identificare le mutazioni non condivise con i primati che potrebbero di conseguenza essere uniche per l’evoluzione umana e le caratteristiche che ci rendono umani.
La carenza di flavonoli, composti vegetali presenti in diversi alimenti, può peggiorare il calo della memoria correlato all’età. Tuttavia, l’assunzione di queste sostanze, con la dieta o integratori, è in grado di invertire o rallentare il fenomeno. È quanto sostiene uno studio della Columbia University pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas). I flavonoli sono sostanze presenti in numerose verdure come spinaci, broccoli, asparagi, cipolle così come nel tè e nel cacao. Sono noti per avere diversi effetti positivi sull’organismo.
I ricercatori ne hanno voluto verificare i benefici sulla memoria, testando in 3.500 anziani sani gli effetti dell’assunzione quotidiana di un integratore e confrontandolo con quelli osservati in chi prendeva un placebo. Dopo tre anni, i ricercatori hanno scoperto che in chi all’inizio dello studio aveva un consumo di flavonoli basso si registrava un miglioramento del 16% delle performance della memoria. L’incremento era del 10,5% rispetto a chi aveva preso il placebo. Nessun miglioramento è stato invece riscontrato in chi all’inizio dello studio aveva già buoni livelli di flavonoli. “La ricerca sta iniziando a rivelare che sono necessari diversi nutrienti per fortificare le nostre menti che invecchiano”, dice il coordinatore dello studio Scott Small, che annuncia ulteriori studi sul tema. “Si pensa che il declino della memoria legato all’età si verifichi prima o poi in quasi tutti, sebbene vi sia una grande variabilità”, aggiunge Small. “Se solo una parte di questa variabilità è dovuta a differenze nel consumo di flavanoli, allora vedremmo un miglioramento ancora più marcato della memoria nelle persone che reintegrano i flavanoli nella dieta già quando hanno 40 o 50 anni”.