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Cronache

Pio che uccide Pio, il giudice dispone l’arresto: spari ad altezza d’uomo tra donne e bambini, azione mafiosa

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Là dove hanno ucciso il 18enne Francesco Pio Maimone, a Mergellina, c’erano donne e bambini. Proprio accanto a quei ragazzi  che dopo una rissa per futili motivi c’è stata una sparatoria. C’erano famiglie nello chalet dove si è consumato l’omicidio di un 18enne, un lavoratore. Un ragazzo incensurato. Quattro giorni dopo il delitto di Mergellina, le immagini, le testimonianze, le indagini, i riscontri hanno convinto il gip Maria Luisa Miranda a convalidare il fermo del 20enne Francesco Pio Valda.

E lui il presunto assassino del 18enne. L’ipotesi d’accisa che regge è di omicidio volontario aggravato dalla finalità e dal metodo mafioso . Il giudice  confermare in toto quanto ricostruito dalla Procura: la zona degli chalet è teatro di guerra tra clan cittadini, tra  giovanissimi armati. Analizzando i loro pedigree criminali, presso lunghi quanto la transiberiana nonostante la tenera età, più o meno sono quasi tutti sempre riconducibili alle famiglie criminali di Napoli. A Mergellina questi soggetti legati a famiglie di camorra, spesso giovanissimi e armati, si incontrano in quello che è una sorta di territorio neutro. Dove si spara e uccide.

Ieri è  morto il 19enne Antonio Gaetano, figlio del boss di Pianura, che era stato ferito il 12 marzo scorso a pochi metri dallo chalet, dove lunedì scorso è stato ammazzato Francesco Pio Maimone. Quindi i morti sono due ora. Era Antonio Gaetano il vero obiettivo del raid? Che cosa è successo? Lo diranno i giudici.
Pio Valda, difeso dall’avvocato Antonio Iavarone, in sede di convalida del fermo ha fatto scena muta. Si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il 20 enne è entrata in sala interrogatori. Ha salutato il suo legale, salutato il giudice ed è andato via. Tacere era un suo diritto. La convalida degli arresti era quasi scontata. Per ora resta in cella con accuse pesanti.

“È da mafioso sparare nel mucchio per sentirsi più forte, è da mafioso fare fuoco ad altezza d’uomo, ritenendo di essere più forte”, scrive il gip Miranda. È un concetto su cui ha fatto leva anche la Procura di Napoli, al termine della prima fase delle indagini a carico di Valda. Inchiesta condotta dai pm Antonella Fratello e Claudio Onorati. Sono decisive nella ricostruzione di quanto accaduto e nell’attribuire responsabilità, le immagini di una telecamera di un esercizio commerciale.

Si vede la scena della rissa nella quale Valda affronta un altro giovane. Uno scontro tra soggetti provenienti da aree criminali differenti: quelli di Barra contro quelli di rione Traiano, tra cui spiccano soggetti con precedenti e denunce per fatti di droga. Accanto ai duellanti si notano le sagome di donne che scappano, mentre indirizzano i carrozzini con i loro bambini lontano dalla rissa. Il resto è la storia di un dramma cittadino: Valda estrae la pistola e spara in aria, poi viene provocato (“ha una pistola giocattolo”, urla qualcuno) e decide di abbassare la canna. E sparare nel mucchio.

Fino a centrare al petto il 18enne Maimone, che era lì per caso, lontano anni luce dalle dinamiche criminali che avvelenano anche la movida, ma anche dai motivi del litigio tra Valda e i suoi avversari. Tutto nasce – giusto ribadirlo – dal fatto che qualcuno ha sporcato le scarpe griffate di Valda. Scarpe  da mille euro. Una ricostruzione che regge al primo giro di boa, quello della convalida, nel corso di una indagine che ora punta a identificare i complici del ventenne.
Agli atti dell’inchiesta, c’è anche una telefonata intercettata poche ore dopo l’omicidio. È un uomo ad avvisare Valda che è il momento di scappare, perché la polizia lo sta cercando in una inchiesta per omicidio.

Un uomo infatti  chiama sull’utenza della nonna del 20enne. Di chi è la soffiata? Verifiche su un uomo di Barra, che sarebbe stato condotto in Questura lunedì mattina, nel corso di alcuni controlli per i fatti di Mergellina. In queste ore, la squadra Mobile è al lavoro anche su un altro fronte: quello di identificare gli altri esponenti del branco di rione Traiano. Tra questi, c’è un uomo di 50 anni, ritenuto affiliato al clan Puccinelli, che ha da poco finito di scontare una condanna a sette anni di reclusione, sempre per fatti di droga, e viene immortalato mentre sferra un calcio a Valda, nel pieno della rissa.

Intanto, l’inchiesta a carico del 20enne di Barra ha un sequel sui social media: sono in tanti a postare messaggi di solidarietà e di incitamento verso il presunto assassino in cella; mentre c’è chi commenta il video dell’arresto di Valda con un avvelenato “buttate le chiavi”.

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Castello di Cisterna e Brusciano, blitz dei Carabinieri nelle piazze di spaccio: nascondigli – anche sacrileghi – della droga

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Ritrovamenti nelle cassette della posta, nei sotto scala o all’interno dei vani ascensori ma anche negli “altarini” accanto a statue sacre a spregio non solo della vita altrui per chi vende morte ma anche del credo o della religione.

I Carabinieri della compagnia di Castello di Cisterna sono impegnati quotidianamente nei controlli anti-droga nella zona a Nord di Napoli e spesso perquisiscono luoghi e zone che possono essere verosimilmente utilizzati come nascondigli.
Gli ultimi obiettivi – in ordine cronologico – sono le aree popolari di Brusciano e di Castello.
Passate a setaccio strade e piazze senza trascurare le aree comuni come le aiuole o le cantine passando per le lastre di marmo che coprono le scale condominiali fungendo da vero e proprio cassetto.
I Carabinieri della locale compagnia insieme ai militari del reggimento Campania sono tornati nel rione popolare la “Cisternina” e lì hanno rinvenuto e sequestrato numerose dosi di diverse specialità di droga, un caricatore Beretta 9×21 e bilancini di precisione.
Anche a Brusciano – nella “219” – sequestri di droga con numerose dosi già pronte per la vendita al dettaglio.
I Carabinieri hanno rovistato dappertutto e la droga era nelle zone comuni e quindi a carico di ignoti ma i controlli continueranno anche nei prossimi giorni.

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Incinta scomparsa, si cerca nelle campagne nel Milanese

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Un messaggio mandato a un’amica, verso le 21 di sabato sera, è l’ultima traccia su cui stanno lavorando la Procura di Milano e i carabinieri che indagano senza sosta, anche con ricerche incessanti nelle campagne attorno a Senago, sulla scomparsa della 29enne Giulia Tramontano, incinta di 7 mesi, di cui ufficialmente non si hanno più notizie da domenica scorsa, quando il fidanzato ha denunciato la sua sparizione. In quel whatsapp la giovane, originaria della provincia di Napoli, con un lavoro nel settore immobiliare, in particolare nella gestione di appartamenti di alto livello, e che da cinque anni vive nella cittadina a nord di Milano, diceva all’amica di sentirsi molto scossa e turbata dopo una lite col compagno, con cui convive. Fidanzato con cui i rapporti, pare, si fossero improvvisamente incrinati proprio in quelle ore per il sospetto di un’altra donna nella vita di lui. Nell’inchiesta, che è stata aperta dalla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e dalla pm Alessia Menegazzo, condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e della Compagnia di Rho, si stanno vagliando tutte le ipotesi, a partire da alcune incongruenze nelle versioni agli atti.

Si indaga a ritmi serrati, con l’acquisizione delle telecamere attorno alla casa della coppia e non solo e con l’audizione di testimoni, su una vicenda che potrebbe essere finita tragicamente. Il fidanzato, 30 anni, ha raccontato nella sua denuncia di essere andato al lavoro domenica mattina (fa il barman in un albergo di lusso a Milano), di essere rientrato nel pomeriggio e di non averla trovata a casa. Da qui, stando alla sua versione, la decisione di allertare le forze dell’ordine. La madre della 29enne, che vive nel Napoletano, si era subito preoccupata, invece, quel mattino, perché la figlia non l’aveva chiamata, come faceva di solito. Oggi, intanto, per tutto il giorno a Senago e nelle aree circostanti sono andate avanti le ricerche dei carabinieri, con l’aiuto anche dei vigili del fuoco e della Protezione civile. Nell’abitazione, da quanto si è appreso, non sono stati trovati il passaporto e il bancomat della donna. E nemmeno il suo telefono, che sarebbe risultato non attivo dalla tarda serata di sabato.

Quando domenica, poi, la mamma ha provato a chiamarla risultava spento. Per la famiglia la giovane non avrebbe avuto alcun motivo per sparire nel nulla volontariamente. In questi tre giorni attraverso la trasmissione ‘Chi l’ha visto?’ e l’associazione Penelope, che si occupa di persone scomparse, sono stati rilanciati via social numerosi appelli per ritrovare Giulia, ma tutte le segnalazioni arrivate non hanno avuto alcun effetto concreto. “L’ultimo contatto con la famiglia risale alla serata di sabato 27 maggio”, hanno scritto i familiari. La sorella Chiara oggi ha postato un’altra fotografia di Giulia sulla battigia del mare. “Aveva questo pancione un mese fa – ha scritto in riferimento alla foto – ora è anche più grande! Se la ragazza che vedete non ha il pancione è evidente che non è Giulia. Se Giulia ha le braccia scoperte questo tatuaggio è il segno più caratteristico che ha”.

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Prof aggredita, 16enne arrestato per tentato omicidio

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Ieri mattina era un 16enne come tanti, con una insufficienza in Storia e qualche nota disciplinare sul registro. Oggi Marco (nome di fantasia) è piantonato dai carabinieri nel reparto di neuropsichiatria infantile dell’ospedale San Paolo di Milano, con l’accusa di tentato omicidio aggravato per aver accoltellato la sua insegnante nell’aula dell’istituto Emilio Alessandrini di Abbiategrasso, nell’hinterland di Milano. Il tribunale per i Minorenni non poteva fare altrimenti, l’aggressione alla 51enne Elisabetta Condò non lascia dubbi sulle intenzioni dello studente, che si è scagliato almeno 6 volte col coltello rubato al padre, appassionato di caccia.

Un pugnale in stile Rambo lungo 20 centimetri e con la lama modello Bowie, col quale ha causato alla docente una prognosi di 35 giorni e una lunga riabilitazione. All’ospedale di Legnano, dove ha subito un delicato intervento di ricostruzione dei tendini del polso, hanno riscontrato 3 ferite alla testa da 20 centimetri, la frattura dell’osso parietale sul lato destro, il collasso di una piccola porzione del cranio, un’altra ferita profonda 10 centimetri alla scapola e infine una incisione dell’arteria ulnare da 15 centimetri. Le ragioni dell’aggressione restano chiuse nella mente del 16enne, che pur non avendo una diagnosi psicologica precisa viene ritenuto dai medici affetto da un disturbo paranoide che ha trasformato una normale insofferenza nei confronti dell’insegnante in uno slancio tanto violento.

Lo studente aveva ricevuto 6 note dall’inizio dell’anno e le ultime 4 erano state firmate proprio dalla Condò che però, così come l’intero istituto, non immaginava una reazione simile anche perché si trattava di richiami di poco conto, seppur gravi nel contesto scolastico. Neppure il padre del 16enne riesce a spiegare il suo comportamento, dice che non c’erano stati avvertimenti e aggiunge di non essere a conoscenza delle note. In un quadro così drammatico riesce però a trovare un aspetto da cui ripartire: la vita del figlio, distrutta ma ancora qui. Ai cronisti parla di uno scenario a cui nessuno aveva pensato, dice che avrebbe potuto uccidersi in classe in preda alla disperazione e invece è in arresto ma vivo. Quindi c’è ancora una speranza e da lì vuole cominciare. All’istituto Alessandrini sono tutti sotto choc, compagni e insegnanti continuano a raccontare la sequenza della mattinata vissuta, pochi minuti di un lunedì iniziato come tanti e che impiegherà anni per finire.

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