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Pink Floyd, raccolti oltre 500 mila euro con brano per Ucraina

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I Pink Floyd hanno annunciato di aver raccolto oltre 450.000 sterline (circa 508 mila euro) per l’Ucraina con la canzone ‘Hey Hey Rise Up’, pubblicata ad aprile proprio per sostenere il popolo ucraino. Lo ha annunciato la band in un comunicato. “I Pink Floyd desiderano ringraziare tutti coloro che hanno supportato Hey Hey Rise Up. Il singolo, registrato il 30 marzo con Andriy Khlyvnyuk della band ucraina Boombox, ha finora raccolto oltre 450.000 sterline per aiutare ad alleviare le sofferenze del popolo ucraino”, hanno scritto i Pink Floyd.

Alla cifra raggiunta con il brano, “David Gilmour e Nick Mason hanno aggiunto 50.000 sterline, per arrivare a 500.000 (circa 564 mila euro) che saranno distribuiti a organizzazioni benefiche umanitarie”, continua il comunicato. ‘Hey Hey Rise Up’ è la prima nuova musica originale registrata dalla band riunita, dai tempi di The Division Bell del 1994. La traccia utilizza la voce di Andriy Khlyvnyuk estrapolata da un suo video che lo immortala mentre canta in Sofiyskaya Square a Kiev, diventato virale sui social. Il brano ‘Oh, The Red Viburnum In The Meadow’ è una canzone ucraina folk di protesta scritta durante la prima guerra mondiale e che si e’ diffusa in tutto il mondo durante lo scorso mese sull’onda della protesta per l’invasione dell’Ucraina. Il titolo del brano dei Pink Floyd deriva dall’ultima frase del brano, che si traduce con ‘Hey, Hey, Rise up and rejoice’.

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Diktat di Trump: mie nomine senza la conferma del Senato

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Donald Trump entra nella battaglia per la leadership del Senato appena riconquistato dai repubblicani e cerca già la prima scorciatoia nella democrazia americana, ossia la possibilità di fare nomine per la sua amministrazione e per la magistratura bypassando l’approvazione del Senato, dove anche l’opposizione dice la sua nel processo di conferma. “Qualsiasi senatore repubblicano che ambisca alla posizione ambita di leader nel Senato degli Stati Uniti deve accettare le nomine durante le pause di attività (nel Senato!), senza le quali non saremo in grado di ottenere conferme in tempi utili”, è il suo diktat su Truth.

Il tycoon fa riferimento a una clausola costituzionale che consente al presidente di fare nomine temporanee quando il Senato non è in sessione. Una facoltà che era stata pensata per garantire l’operatività del governo in caso di necessità ma che alcuni presidenti hanno usato per scopi politici nominando dirigenti che altrimenti avrebbero avuto difficoltà di conferma al Senato, dove servono 60 voti. Trump può contare su una maggioranza di almeno 53 senatori, ma evidentemente non la considera sufficiente per un sostegno minimamente bipartisan alle sue scelte, che promettono quindi di essere potenzialmente controverse.

Nell’aprile 2020, frustrato dalla lentezza del Senato nel confermare le sue nomine, l’allora presidente Trump minacciò di prendere la misura senza precedenti di sospendere unilateralmente il Congresso per fare nomine durante la pausa. Nel giro di pochi minuti, il senatore Rick Scott si è subito allineato, impegnandosi a soddisfare la richiesta di Trump se diventerà il leader dei repubblicani al Senato: “Sono al 100% d’accordo. Farò tutto il possibile per far passare le tue nomine il più rapidamente possibile”, ha scritto su X. I principali alleati di Trump — tra cui Elon Musk — e una serie di influencer di estrema destra si sono rapidamente schierati dietro la candidatura di Scott, quella più “Maga”. Un altro candidato alla leadership del Senato, il senatore John Thune, ha detto invece di essere aperto alla richiesta di Trump, dichiarando a Fox News che “tutte le opzioni sono sul tavolo.”

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Trump nomina Homan responsabile controllo frontiere Usa

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Il presidente eletto americano Donald Trump ha annunciato il ritorno dell’intransigente Tom Homan alla guida dell’agenzia responsabile per il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, l’Immigration and Customs Enforcement (Ice) degli Stati Uniti. “Sono lieto di annunciare che l’ex direttore dell’Ice e pilastro del controllo delle frontiere, Tom Homan, entrerà a far parte dell’amministrazione Trump dove sarà responsabile dei confini del nostro Paese (‘Lo zar del confine’)”, ha scritto il tycoon sul suo social network Truth.

“Conosco Tom da molto tempo e non c’è nessuno più bravo di lui nel sorvegliare e controllare i nostri confini”, ha aggiunto Trump affermando che Homan sarà responsabile di “tutte le deportazioni di immigrati clandestini nel loro Paese di origine”. Il tycoon ha promesso di lanciare il primo giorno della sua presidenza la più grande operazione di deportazione di immigrati clandestini nella storia degli Stati Uniti. Ha ripetutamente inveito contro gli immigrati irregolari durante la sua campagna, impiegando una retorica violenta su coloro che “avvelenano il sangue” degli Usa.

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Trump sente Putin, ‘evitare escalation in Ucraina’

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Prima telefonata tra il presidente eletto Donald Trump e Vladimir Putin per parlare di Ucraina. Il colloquio risale a giovedì scorso, due giorni dopo la vittoria del tycoon alle elezioni, come ha svelato il Washington Post. Secondo il quotidiano, Trump ha consigliato allo “zar” di non intensificare la guerra in Ucraina e gli ha ricordato la consistente presenza militare di Washington in Europa. Quasi un monito, una esibizione di muscoli a scopo deterrente, anche se per ora non sembra aver frenato la brutale offensiva russa, come suggerisce l’ultimo massiccio attacco con droni.

Nella loro telefonata i due leader hanno discusso l’obiettivo della pace nel continente europeo, e il presidente eletto americano ha espresso interesse per ulteriori conversazioni per discutere “una rapida risoluzione della guerra in Ucraina”. Un primo approccio, quindi, cui dovrebbero seguirne altri. Trumpaveva dichiarato giovedì a NBC di aver parlato con circa 70 leader mondiali dopo le elezioni, tra cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in una chiamata a cui ha partecipato anche Elon Musk, ma non aveva rivelato la telefonata con Putin. Il governo ucraino è stato informato della telefonata con lo “zar” e non si è opposto alla conversazione, secondo il Washington Post. Le prime chiamate di Trump con i leader mondiali non si stanno svolgendo con il supporto del Dipartimento di Stato e degli interpreti del governo statunitense.

Il team di transizione di Trump diffida dei funzionari di carriera del governo. Mosca inizialmente ha reagito con freddezza alla vittoria del tycoon. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva detto ai giornalisti che Putin non aveva intenzione di chiamare il presidente eletto di “un Paese ostile, direttamente e indirettamente coinvolto in una guerra contro il nostro Stato.” Ma giovedì scorso lo “zar” si è pubblicamente congratulato conTrump per la vittoria, lodando la sua “risposta virile” al tentato assassinio in Pennsylvania e dicendosi “pronto” a parlare con lui. Come è successo lo stesso giorno. La Russia continua a ventilare spiragli di pace in Ucraina dopo i “segnali positivi” arrivati dall’America di Trump, mentre sul terreno infuria la battaglia di droni e un’armata di soldati di Mosca si prepara a riconquistare il territorio perso nel Kursk russo. Il prezzo di sangue è drammatico: Londra stima siano 700 mila i soldati del Cremlino uccisi o feriti dall’inizio della guerra, Mosca per parte sua rivendica l’uccisione di oltre mille militari ucraini solo nelle ultime 24 ore. E altro sangue scorrerà presto nel Kursk: i russi hanno ammassato una forza d’assalto di 50mila uomini, compresi i nordcoreani inviati da Pyongyang, che si prepara all’offensiva contro le truppe ucraine che hanno occupato pezzi della regione nel blitz di agosto. Da allora i russi si sono limitati a contenere gli attacchi, senza lanciare una vera e propria operazione di terra. Fonti americane e ucraine hanno rivelato al New York Times che l’attacco sarebbe imminente, è probabile già “nei prossimi giorni”. L’armata dei 50mila “non ha intaccato il dispiegamento russo nell’est ucraino”, sottolineano le fonti. I nordcoreani, che “si stanno addestrando all’uso di artiglieria e manovre tattiche di fanteria, sono dotati di armi e uniforme russe”.

Sarebbero 10 mila secondo le ultime stime dell’intelligence occidentale. In questo quadro, i droni continuano a farla da padrone. In un attacco senza precedenti le forze russe hanno impiegato in Ucraina in 24 ore un record di 145 droni, soprattutto kamikaze Shahed iraniani, causando danni e feriti. Le difese aeree di Kiev – hanno annunciato i militari – ne hanno abbattuti 62: altri 67 risultano dispersi, 10 hanno lasciato lo spazio aereo ucraino in direzione di Moldavia, Bielorussia e Russia. In una settimana sono 600 i droni lanciati all’assalto, ha denunciato il presidente Volodymyr Zelensky. Sull’altro fronte, i russi annunciano la distruzione di 70 velivoli, oltre la metà nella regione di Mosca – anche questo un record – che hanno causato feriti e la chiusura per diverse ore degli scali della capitale. Nonostante il clima di guerra guerreggiata, Mosca manda messaggi distensivi. La volontà di Donald Trump di arrivare a un accordo che porti alla pace in Ucraina indica che “i segnali sono positivi”, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “È difficile dire cosa succederà,” ha precisato, ma il presidente eletto “non parla di scontro, non dice di voler infliggere una sconfitta strategica alla Russia, e questo lo distingue favorevolmente dall’amministrazione in carica”.

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