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Cronache

Pietro Ioia, da narcos a garante dei detenuti di Napoli: vi spiego perchè de Magistris ha scelto me

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Ha sollevato molti dubbi e altrettante polemiche la nomina da parte del sindaco Luigi de Magistris di Pietro Ioia a garante dei detenuti della città di Napoli. Ex narcotrafficante, Ioia ha scontato 22 anni e 9 mesi di carcere e da 13 anni è un attivista per i diritti dei detenuti. In molti hanno messo in dubbio la sua competenza in materia di scienze giuridiche e tutela dei diritti umani. Non sono competenze qualunque, presuppongono conoscenze in materie giuridiche. Il neo garante, Pietro Ioia, risponde di aver acquisito esperienza sul campo in qualità di attivista e di conoscere i problemi dei detenuti e le storture del sistema penitenziario. Non foss’altro perchè le ha vissute e le ha sperimentate sulla sua pelle. Comunque sia, Ioia si dice pronto e non ha paura di niente e nessuno. A chi, offendendolo, ha anche paventato possa diventare un ponte tra chi si trova in carcere e chi delinque fuori, lui ha risposto con serenità: “Ho fatto i conti col mio passato e reciso ogni legame col mondo criminale”. Noi aggiungiamo che ha pagato ogni debito con la giustizia ed ha diritto (è scritto in Costituzione) a tornare e a reinserirsi in società.   

Ioia, ritiene di possedere Ie competenze giuridiche richieste dal bando?

Io ho competenze sul campo. Sono un attivista per i diritti dei detenuti da tredici anni, ho condotto visite ispettive nelle carceri, sono in grado di comprendere i problemi dei reclusi e dei loro famigliari perché li ho toccati con mano. Queste sono le mie competenze (il bando del comune di Napoli parla in maniera generica di competenze non di titoli di studio, ndr).

Come risponde a chi sostiene che lei possa diventare, anche suo malgrado, una sorta di ponte fra camorra ed istituzioni?

Rispondo che per me la camorra non esiste più, è una montagna di merda e non ho più niente a che vedere con loro. Darò conto del mio lavoro alle istituzioni, un lavoro, forse non tutti lo sanno, che non prevede retribuzione. Con la camorra non ho più alcun legame. Altro che ponte…

Che ne pensa delle critiche espresse dai sindacati della polizia penitenziaria?

Viviamo in una società democratica, ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni. Alla polizia penitenziaria ho teso la mano. Sono un uomo di pace, sono cambiato, desidero collaborare e fare rete per migliorare le condizioni dei detenuti nelle carceri, per contribuire a dare a chi esce un’opportunità di lavoro. La mia risposta la darò sul campo quando mi metterò all’opera.

In passato ha definito Poggioreale un lager. Ha già una ricetta per farlo diventare una casa di reclusione?

Per prima cosa si dovrebbero sfollare le carceri, il primo problema è proprio il sovraffollamento di queste strutture. Poi voglio parlare ai giovani, a Poggioreale oggi ci sono tantissimi ragazzi e vorrei essere per loro un punto di riferimento. Li aiuterò a trovare un lavoro quando usciranno dal carcere, affinché restino lontani dalla camorra e non commettano di nuovo gli stessi errori, altrimenti è tutto inutile… A Poggioreale troppo spesso esci peggio di come sei entrato. Il reinserimento nel mondo del lavoro è un tasto dolente, e per questo mi batterò molto. Sto già prendendo contatti con ristoranti e pizzerie. Voglio fare da tramite fra gli ex detenuti e le attività commerciali in cerca di personale.

Esiste ancora qualcosa di simile alla “cella zero” nelle carceri napoletane?

La cella zero si chiamava così perché non era numerata. Lì avvenivano i pestaggi dei detenuti da parte di alcune guardie carcerarie. Dobbiamo lavorare affinché episodi come quelli avvenuti in passato non si verifichino più. Io comprendo anche lo stress a cui è sottoposta la polizia penitenziaria che è sotto organico: ci vorrebbero più risorse. A Poggioreale non ho più avuto notizie di episodi violenti. Altrove, nelle celle di isolamento, può darsi che si verifichi ancora qualcosa di simile, ma non posso affermarlo con assoluta certezza.

In che condizioni versa il carcere di Poggioreale?

Assai problematiche. Anzitutto c’è la questione sovraffollamento: la capienza regolamentare e di 1600 detenuti, ma i reclusi sono circa 2000, 400 in più del consentito. Il trattamento sanitario poi lascia molto a desiderare. Non ci sono i medicinali e per ottenere una visita specialistica ci vogliono mesi di attesa. Anche su questo punto c’è tanto lavoro da fare.

Lei era un narcotrafficante ed é stato per più di 22 anni in cella: cosa dirà ai ragazzi per far comprendere loro che la strada criminale è letale per chiunque la intraprende?

Ai ragazzi racconterò che io per ventidue anni non ho potuto trascorrere il Natale con la mia famiglia, non ci sono stato alle comunioni dei miei figli o ai loro diciotto anni, non ho accompagnato all’altare le mie figlie quando si sono sposate. Ai ragazzi parlerò della famiglia, il valore più importante nella vita di un uomo. Voglio che comprendano che se proseguono sulla strada criminale, perderanno ciò che hanno di più caro e un giorno se ne pentiranno amaramente. Se mi sono salvato lo devo alla mia famiglia.

Capitolo parcheggiatori abusivi. Borrelli ritiene che siano tutti criminali, estorsori, violenti. Lei che idea si è fatto? 

I parcheggiatori abusivi che chiedono soldi con insistenza e in modo violento vanno arrestati. Io non rappresento e non ho mai rappresentato i parcheggiatori abusivi, ho soltanto espresso un parere personale quando sono andato in televisione insieme a Borrelli. Se ho rappresentato alcuni di loro, l’ho fatto in quanto ex detenuti, non in quanto parcheggiatori.

A Borrelli dico, invece di attaccarli di continuo, provi anche a fare qualcosa per queste persone. Provi a proporre delle alternative. Una volta che un detenuto esce dal carcere incontra enormi difficoltà nel trovare un lavoro, allora non li giustifico, ma è sempre meglio che vadano a fare i parcheggiatori piuttosto che a fare rapine o spacciare droga.

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La Cassazione,’Cospito pericoloso e non si è dissociato’

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Alfredo Cospito, il leader del Fai detenuto al 41 bis e in sciopero della fame da oltre cinque mesi, “se sottoposto a regime ordinario” può continuare ad essere “punto di riferimento e fonte di indicazione delle linee programmatiche criminose e degli obiettivi da colpire” da parte dei suoi “accoliti” della Federazione anarchica informale. Per la sua attuale e “perdurante pericolosità” dunque la Cassazione, spiegano gli ermellini nel verdetto 13258 depositato dalla Prima sezione penale e relativo all’udienza svoltasi il 24 febbraio, ha deciso di confermare il carcere duro per Cospito, convalidando in pieno l’ordinanza con la quale il Tribunale di Sorveglianza di Roma lo scorso primo dicembre aveva respinto il ricorso della difesa contro il 41bis. Cospito, arrivato a 162 giorni di digiuno, è detenuto nel reparto penitenziario dell’ospedale San Paolo di Milano.

Sulle spalle ha una condanna a venti anni di reclusione pronunciata in primo grado dalla Corte di Assise di Torino il 24 aprile 2019 per una serie di attentati rivendicati tra il 2003 e il 2016, tra i quali l’aver sparato alle gambe a Roberto Adinolfi, manager dell’Ansaldo Nucleare, nel 2012 a Genova. Un crimine del quale non si è mai pentito, ed anzi se ne è assunto la paternità in udienza. E’ in corso il processo di appello, anche per gli attentati falliti alla scuola carabinieri di Fossano. Il procedimento è sospeso e la difesa di Cospito ora ha gli occhi puntati alla Consulta che il 18 aprile decide se è legittima la norma che, per il reato di strage politica, impedisce certi sconti di pena in casi, come quello di Cospito, di recidiva aggravata. Altro aspetto messo in rilievo dalla Cassazione è il fatto che Cospito “non ha in alcun modo manifestato segni di dissociazione e, anzi, ha continuato con i suoi scritti fino ad epoca recente a propugnare il metodo di lotta armata”, esaltando un anarchismo “diverso da quello ‘classico’ e connotato da azioni che mettono in pericolo la vita degli uomini e donne del potere”.

In proposito, i supremi giudici ricordano che il primo attentato messo a segno dal Fai è quello del pacco bomba consegnato a Romano Prodi, a Bologna nel dicembre 2003, quando era presidente della Commissione Ue. Secondo i giudici del Palazzaccio inoltre, è “esaustiva e corretta” la motivazione del tribunale di sorveglianza di Roma “che ha individuato il pericolo di collegamenti” di Alfredo Cospito con il Fai “sulla base di univoci elementi fattuali, non contestabili per essere rappresentati sulla base di dati certi” e “ravvisati nella reiterata affermazione di appartenenza associativa e nel ruolo verticistico di Cospito, accertato con sentenza passata in giudicato”. Nei giorni scorsi un attacco degli hacker anarchici ha fatto comparire la scritta ‘Fuori Alfredo dal 41bis’ sul display di alcuni distributori di sigarette in varie città. Con atto notificato il primo marzo alla rappresentanza del governo italiano a Ginevra, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani ha chiesto informazioni sulle condizioni di detenzione di Cospito e attende una risposta. Nei giorni scorsi, il 27 marzo, il Tribunale di Sorveglianza di Milano e quello di Sassari hanno respinto la richiesta di differimento pena del leader del Fai che chiedeva di poter andare ai domiciliari casa di sua sorella.

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Dichiarazioni fraudolente, assolto imprenditore Gianni Lettieri

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Il Tribunale di Napoli ha assolto con formula piena l’imprenditore Gianni Lettieri, presidente di Atitech, difeso dall’avvocato Francesco Picca. Lo rende noto un comunicato. A Lettieri – si legge nella nota – era stato contestato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Al centro dell’inchiesta, per lavorazioni effettuate negli anni 2011 e 2012, vi era la società SG S.r.l. che forniva servizi di verniciatura ad alcune aziende del settore trasporti e aerospazio, tra cui Alenia, Ansaldo e la stessa Atitech.

Le indagini del pool criminalità economica della Procura di Napoli, continua la nota, “riguardavano presunte operazioni soggettivamente inesistenti. I registri fiscali e contabili della SG, società che aveva iniziato a operare per Atitech prima dell’acquisizione da parte di Lettieri, presentavano incongruità e difformità”. “Sono sempre stato sereno – ha detto l’imprenditore Gianni Lettieri, dopo la sentenza – perché non ho mai avuto dubbi sulla condotta cristallina di Atitech e dei miei collaboratori che avevano rapporti con la società incriminata. D’altra parte la mia responsabilità, in qualità di legale rappresentante, si limitava alla firma delle dichiarazioni IVA ma, come si è dimostrato in fase dibattimentale, l’operato del management di Atitech è stato ineccepibile”.

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Lo staff medico al Gemelli, così si cura il Papa

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Due primari e una piccola squadra di due infermieri di fiducia del Vaticano, all’interno della quale c’e’ Massimiliano Strappetti, assistente sanitario personale del Papa, compongono il nucleo centrale dello staff medico che assiste Papa Francesco al Policlinico Gemelli, dopo il ricovero di ieri al decimo piano. A questi si aggiunge Andrea Arcangeli, direttore della Sanità e Igiene dello Stato della Città del Vaticano.

Attorno ruotano altri specialisti, come i radiologi che ieri hanno contribuito a chiarire il quadro clinico. Nello stesso ospedale c’è un altro medico che ha già seguito il Pontefice per l’intervento al colon, il chirurgo Sergio Alfieri, che ha avuto il compito nel precedente ricovero di risolvere una stenosi diverticolare sintomatica del colon e che può contribuire con la sua esperienza a valutare lo stato di salute generale. Intanto proseguono i controlli ematici e quelli della saturazione dell’ossigeno e continua la terapia per endovena di antibiotici e antinfiammatori che andrà avanti ancora per qualche giorno. L’incarico di Strappetti, che resta sempre accanto a Papa Francesco, precedentemente era sempre stato ricoperto esclusivamente da medici e la sua presenza continua a dimostrare l’importanza di questa figura nei momenti più delicati della malattia.

A lui il Papa aveva dedicato parole di grande riconoscenza dicendo che era stata la sua prontezza a salvargli la vita e la sua presenza è costante. Il grande equilibrio cardio-respiratorio e la delicatezza della situazione, vista l’età del paziente, prevedono che i controlli avvenga parallelamente sulla funzionalità del respiro e su quella cardiaca. I due apparati sono fortemente legati e l’affaticamento di uno incide sull’altro. Il professor Luca Richeldi, direttore della UOC di Pneumologia e Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio, è in prima linea per trattare l’infezione respiratoria. Richeldi è noto anche per il suo impegno durante la pandemia all’interno del Comitato tecnico scientifico (Cts) ed è stato presidente della Società italiana di pneumologia. La situazione cardiologico è sotto il controllo del professor Filippo Crea, Ordinario di Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Cardiologia.

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