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Piero Maranghi, il signore della bellezza e della curiosità: «Mi muove l’ignoranza»

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Piero Maranghi (foto Imagoeconomica) è editore, regista, conduttore, imprenditore, pescatore, padre di quattro figli e memoria vivente di una Milano nobile e colta. Oggi è anche l’ideatore di +Classica, la prima piattaforma streaming interamente dedicata alla musica classica. Una vita polifonica, fatta di contrasti, passioni e ironia. Quando gli chiedi come fa a tenere insieme tutto, risponde in una intervista al Corriere della Sera: «Mi muove la curiosità, unita all’ignoranza. Devo recuperare anni buttati al vento».

Un’infanzia “invisibile” e una famiglia ingombrante

Nato nella Casa degli Atellani, accanto a Santa Maria delle Grazie, con Leonardo da Vinci nel DNA e un cognome che evoca la finanza italiana (è figlio di Vincenzo Maranghi, Ad di Mediobanca), Piero racconta la sua infanzia da quartogenito dimenticato: «Ero il cocco di famiglia, ma era un inganno. Nessuno mi vedeva davvero». Studente “claudicante”, sognava ad occhi aperti, mentre il mondo si aspettava che finisse alla catena di montaggio della finanza. Invece, è approdato alla lirica, all’arte e all’architettura.

Una madre fondamentale e un padre da non evocare più

Maranghi si considera “prodotto totalmente materno”, profondamente legato alla figura della madre, Anna Castellini Baldissera, scomparsa l’anno scorso. Suo padre, figura centrale nella storia della finanza italiana, resta una presenza che ha segnato ma non definito la sua vita: «Vorrei fosse l’ultima volta che ne parlo pubblicamente». Una cesura netta, avvenuta con la nascita della sua primogenita: «Mio padre entrò in ospedale e lo vidi diverso. Ma non era cambiato lui. Ero cambiato io».

Il genio, l’eredità, e l’architetto Portaluppi

Il nome Piero, ricevuto in onore del bisnonno Portaluppi, è diventato destino. A 26 anni, Maranghi fonda la Fondazione Portaluppi, riportando alla luce l’opera dell’architetto. Suo è il restauro della Villa Necchi Campiglio e della Casa degli Atellani, dove ha vissuto con i figli. La casa è stata venduta a Bernard Arnault: «È stato difficile, ma non c’era alternativa. Lui è stato l’unico a capire la bellezza del luogo».

La battaglia su Mediobanca e il senso dello Stato

Maranghi commenta con preoccupazione la scalata di Mps a Mediobanca: «È l’unica banca al mondo a non aver avuto bisogno di aumenti di capitale dopo il 2008. Le Generali sono un asset strategico, come gli Uffizi o Santa Cecilia. Ma in Italia nessuno si indigna più».

L’amore per la musica classica e la nascita di +Classica

La folgorazione arriva a 20 anni: «Ascoltavo U2 e Dylan, poi è arrivato Beethoven. Quella complessità mi ha nutrito». Dopo uno stage a Tele+3, a 25 anni è già direttore di palinsesto. Oggi, con +Classica, offre concerti, opere, balletti e il celebre Almanacco di Bellezza in una sola app. Lo ha lanciato dirigendo un’orchestra, travestito da Don Giovanni e maschera di sala: «Un sogno pazzesco».

Il “pasticcione” e la vicenda giudiziaria

Nel 2023, ha patteggiato 22 mesi per il fallimento di due società: «Scelsi la liquidazione per evitare uno schianto. Forse non rifarei quella scelta, ma ormai è fatta». Oggi vuole guardare avanti, senza nascondersi.

Un padre tra regole e leggerezza

Con i suoi quattro figli canta, pesca, ride e condivide momenti sui social: «Sono un po’ bambino, ma anche severo. Ho due regole: non spiegare sempre i no e non mollare sui no».

Gli ospiti alle cene e la bulimia di umanità

Alle sue cene milanesi si incontrano Sapelli e Cipriani, Beecroft e intellettuali: «Mi piacciono tutti. È un mio difetto: mi piace piacere». Ma non è vanità, è “bulimia di umanità”, ereditata — forse — proprio da quel padre che di umanità ne aveva molta, anche se in giacca e cravatta.

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Esteri

Attacco a Teheran, Pezeshkian accusa Israele: “Volevano uccidermi”

Il presidente iraniano Pezeshkian accusa Israele di un attentato a Teheran. Sei missili contro il Consiglio di sicurezza: ferito, riesce a fuggire. Caccia ai traditori interni.

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Il 16 giugno, poco prima di mezzogiorno, sei missili israeliani hanno colpito un edificio strategico nella zona ovest di Teheran. All’interno si teneva una riunione del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale: presente anche il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, che sarebbe rimasto ferito ma riuscito a fuggire.

Secondo quanto riferito dall’agenzia Fars, vicina ai Guardiani della Rivoluzione, i missili hanno colpito gli ingressi e le uscite dell’edificio, nel tentativo di bloccare ogni via di fuga. Pezeshkian e i presenti si sono salvati solo grazie a un portello d’emergenza.

In un’intervista a Fox News, il presidente ha accusato direttamente Israele: “Hanno cercato di uccidermi”, ha dichiarato.

Il Mossad sotto accusa

In un clima carico di sospetti, Mehdieh Shadmani, figlia del comandante dei Pasdaran Ali Shadmani, ucciso nei raid israeliani, ha pubblicato un post sui social in cui racconta che suo padre cambiava posizione ogni poche ore, senza portare con sé dispositivi elettronici, seguendo rigidi protocolli di sicurezza.

Secondo lei, il Mossad avrebbe superato i metodi tradizionali di spionaggio, lasciando intendere l’esistenza di una falla interna o l’uso di tecnologie avanzatissime.

C’è anche chi ipotizza teorie al limite del surreale: l’ex direttore di un giornale legato alle Guardie, Abdollah Ganji, ha sostenuto che l’intelligence israeliana avrebbe fatto ricorso a scienze occulte e creature soprannaturali per localizzare i bersagli.

Caccia alla talpa

I punti chiave delle ultime analisi da Teheran convergono su tre elementi:

  1. Israele sapeva tutto, non solo i luoghi in cui si trovavano i vertici politici e militari iraniani, ma persino i rifugi alternativi. In alcuni casi, è riuscito a colpire anche i successori dei leader eliminati.

  2. All’interno del sistema iraniano cresce il sospetto di una fonte ai massimi livelli che abbia fornito informazioni al nemico, una dinamica già verificatasi a Beirut con i leader di Hezbollah.

  3. Si amplifica il mito del Mossad: una costruzione utile sia all’Iran, per giustificare le falle nella propria sicurezza, sia a Israele, per rafforzare l’immagine di onnipotenza del proprio servizio segreto.

Una guerra nell’ombra

Il conflitto tra Israele e Iran si è ormai spostato sul piano della guerra segreta, dove le informazioni valgono quanto i missili. In questo scenario, anche i social network e i canali informativi paralleli diventano strumenti di propaganda, specchi deformanti attraverso cui i nemici si osservano, si temono e si combattono.

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Economia

Vincenzo Celeste, ambasciatore italiano al Coreper: il napoletano in prima linea nelle decisioni Ue

L’ambasciatore Vincenzo Celeste rappresenta l’Italia al Coreper II, l’organismo chiave che collega gli Stati membri alle istituzioni Ue. Esperienza, competenza e un ruolo strategico.

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Sono figure spesso poco conosciute dal grande pubblico, ma decisive nel cuore dell’Unione Europea. Gli ambasciatori permanenti presso la Ue costituiscono il Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti), vero snodo tra gli Stati membri e le istituzioni europee. È questo organismo che prepara le decisioni più sensibili e rappresenta il primo filtro politico tra i governi e Bruxelles.

Negli ultimi anni, la loro importanza è cresciuta in modo esponenziale. Le grandi crisi – dalla pandemia al conflitto in Ucraina, dalle tensioni globali sui dazi al Green Deal – hanno imposto risposte rapide e coordinate. Durante il Covid, nonostante il lockdown, le riunioni del Coreper si sono tenute in presenza, consapevoli che le delicatezza degli scambi diplomatici richiedeva contatti diretti e continui. E ancora oggi, come nella riunione d’urgenza di ieri sui dazi, sono loro i primi ad agire.

Chi è Vincenzo Celeste, la voce dell’Italia nel Coreper II

A rappresentare l’Italia nel Coreper II, il gruppo che affronta i dossier politici più delicati – politica estera, difesa, commercio, fisco – è Vincenzo Celeste (foto in evidenza di Imagoeconomica), ambasciatore permanente presso l’Unione Europea dal 17 aprile 2023. Napoletano, con un profilo istituzionale di altissimo livello, Celeste è un profondo conoscitore dei meccanismi europei e delle dinamiche brussellesi.

Il suo percorso inizia già nel cuore della Rappresentanza italiana a Bruxelles, dove è stato primo consigliere d’ambasciata dal 2005 al 2010. Successivamente ha assunto il ruolo di coordinatore a Palazzo Chigi per le procedure di infrazione Ue, maturando una visione precisa della dialettica tra istituzioni italiane ed europee.

Ha poi affiancato Enzo Moavero Milanesi come consigliere diplomatico e vicecapo di gabinetto alla Farnesinadurante il mandato da ministro per gli Affari europei, consolidando ulteriormente il suo profilo tecnico-politico.

Dal 2019 al 2023 è stato direttore generale per l’Europa e la politica commerciale internazionale al Ministero degli Esteri, un incarico cruciale in anni dominati da trasformazioni geopolitiche e guerre commerciali.

Un ruolo strategico per l’Italia

Celeste non è solo un esperto tecnico. In un’Europa in continua ridefinizione, la sua figura rappresenta la capacità dell’Italia di contribuire alle scelte più complesse con autorevolezza e competenza. Il Coreper è infatti il luogo dove si forgia il compromesso, dove i Paesi negoziano le decisioni prima che arrivino sul tavolo dei ministri o del Consiglio europeo.

L’esperienza e il radicamento europeo dell’ambasciatore Celeste permettono all’Italia di avere una voce solida, capace di incidere nelle trattative su dossier sensibili come dazi, sicurezza energetica, difesa comune e aiuti di Stato.

In un’epoca in cui i cittadini chiedono all’Europa risposte più rapide ed efficaci, il lavoro quotidiano di figure come Celeste è ciò che rende possibile la costruzione di un’Unione coesa e reattiva.

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Cultura

Riccardo Muti a Pompei: “Ogni ritorno in Campania è un tuffo nel mio passato. La cultura del Sud va difesa”

Riccardo Muti si racconta al Mattino: l’amore per Napoli, la formazione al San Pietro a Majella, l’omaggio a Rota e la difesa della cultura del Sud con la musica.

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Riccardo Muti torna in Campania e si lascia avvolgere dalla memoria. «Ogni ritorno a Napoli o a Pompei è un ritorno all’infanzia, all’adolescenza, alla nostalgia di un passato meraviglioso, di luoghi magici», racconta in una lunga intervista al Mattino. E lo fa alla vigilia del concerto che il 24 luglio dirigerà nell’anfiteatro degli scavi di Pompei con l’Orchestra Giovanile Cherubini.

Nel ricordo di quel ragazzo che a Pompei fece la Prima Comunione nella Basilica del Rosario e che a Napoli, tra il liceo Vittorio Emanuele e il conservatorio San Pietro a Majella, pose le basi di una carriera leggendaria, c’è tutta l’intensità di un uomo che continua a difendere la cultura del Sud.

Un programma per tutti, ma non semplice

Nel programma della serata, nell’ambito della rassegna “Beats of Pompeii”, brani popolari ma non banali: Bellini, Verdi, Rota e Ravel. «Sì, è musica che tutti conoscono, ma non per questo è semplice. È un repertorio che mostra diverse sfumature della grande musica sinfonica», spiega Muti.

In particolare, “Le quattro stagioni” di Verdi da I Vespri siciliani è un passaggio che il Maestro difende con forza: «È uno dei brani sinfonici più importanti di Verdi. Eppure viene spesso tagliato a teatro: è un errore. È un delitto tagliarlo».

L’omaggio a Nino Rota, il maestro dimenticato

Nel programma anche la celebre colonna sonora de Il Padrino di Nino Rota, di cui Muti parla con affetto e riconoscenza: «Fu lui a riconoscere il mio talento e ad indicarmi il percorso da seguire. È grazie a lui se ho fatto la strada che ho fatto».

Ma aggiunge con amarezza: «In Italia Rota non è ancora considerato come merita. È stato molto di più che un autore di colonne sonore: ha scritto musica sinfonica, operistica, da camera. Tutta da scoprire».

San Pietro a Majella: promesse ancora non mantenute

Il Maestro non nasconde la delusione per lo stato del Conservatorio di Napoli dove si formò: «L’ultima volta che sono passato da lì sono rimasto molto colpito negativamente. So che la Regione ha stanziato fondi importanti e che i lavori dovrebbero partire a novembre, ma in Giappone in questo tempo avrebbero costruito un grattacielo. Basta progetti infiniti. San Pietro a Majella è un patrimonio mondiale, non solo napoletano».

Pompei e i luoghi della cultura del Sud

Il concerto a Pompei è la tappa finale di un tour iniziato a Udine e passato da Lucca. Un ritorno, due anni dopo l’esibizione nel Teatro Grande degli Scavi in occasione delle “Vie dell’Amicizia”. Ma è anche una dichiarazione d’amore per la cultura meridionale.

«Pompei, Paestum, Agrigento… sono luoghi che raccontano la bellezza e la storia millenaria del Sud», dice. E ricorda l’emozione di suonare davanti al Tempio della Concordia o al Tempio di Nettuno, mentre si alzava la luna.

La missione di un uomo del Sud

«Vorrei che questi eventi non fossero episodi isolati, ma parte di un percorso culturale forte», afferma Muti con passione. E aggiunge: «Io, napoletano da parte di madre e pugliese da parte di padre, sento il dovere di difendere i valori della cultura meridionale, tanto più attraverso la musica, che è un linguaggio universale capace di unire i popoli».

La musica, per Muti, è un ponte verso la pace, uno strumento per rendere l’uomo migliore, un messaggio rivolto soprattutto ai giovani: «Devono amare le loro radici e la loro terra. Io continuo a farlo».

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