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Politica

Piattaforma Rousseau, il M5S dice sì al Governo Draghi

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Il  59,3% sì e il 40,7% do no: è questo l’esito del voto online dei militanti del Movimento 5 Stelle sul gradimento al governo Draghi.

Così si è conclusa la consultazione su Rousseau attraverso la quale gli iscritti aventi diritto di voto hanno potuto esprimersi sul supporto a un Governo presieduto da Mario Draghi.

Hanno espresso la propria preferenza 74.537 iscritti su una base di 119.544 iscritti aventi diritto di voto.

Di seguito pubblichiamo l’esito delle votazioni certificate dal Notaio che ne ha garantito la regolarità (i risultati saranno depositati presso due notai):


Quesito: <<Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?>>

  1. SÌ: 44.177  (59.3%)
  2. NO: 30.360 (40.7%)

 

Anche in questa occasione, per tutta la durata delle votazioni sono stati attivi i nostri servizio di assistenza: il supporto live agli utenti sulla pagina Facebook ufficiale “Associazione Rousseau” e il sistema di ticketing che consente di inviare richieste di supporto tramite le FAQ di Rousseau.

Il MoVimento 5 Stelle è l’unica forza politica che, grazie alla piattaforma Rousseau, dà ai suoi iscritti la possibilità di partecipare attivamente alle decisioni politiche.

“La democrazia del Movimento passa per il voto degli iscritti che e’ vincolante” ha detto il capo politico M5s Vito Crimi commentando il voto su Rousseau.

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Politica

Santanché alla prova della sfiducia in Aula, gelo alleati

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Quasi in solitaria e “convinta di essere dalla parte della ragione”. La ministra Daniela Santanchè affronta così la prova della sfiducia del Parlamento. A chiederne le dimissioni sono 5 Stelle, Pd e Avs dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio nell’inchiesta Visibilia e quello che incombe, per truffa aggravata all’Inps. Il voto però è rinviato. A data da destinarsi. Ma dalla maggioranza, il sostegno latita. Almeno a contare i deputati nell’aula di Montecitorio: nessuno di Forza Italia, solo una leghista ai banchi del governo (la viceministra all’Ambiente Vannia Gava) e 11 di Fratelli d’Italia. Più i due ministri meloniani che le stanno accanto, al centro dell’Aula: Nello Musumeci, amico dai tempi della Destra di Storace e l’immancabile Luca Ciriani, responsabile dei Rapporti con il Parlamento. Entrambi negano che le assenze in aula siano segno di distanza e isolamento verso Santanchè. E tanto meno che lei stessa sia amareggiata: “Assolutamente no, Daniela è una tosta”, garantisce Musumeci.

Per Ciriani “è semplicemente lunedì” (giorno in cui normalmente l’Aula non si riunisce). E non manca chi, come Giovanni Donzelli di FdI, traduce la “poca folla” alla Camera come una reazione voluta, quasi per snobbare le opposizioni sulla “provocazione” delle dimissioni. Nessuno scandalo nemmeno per la Lega. Visto anche l’endorsement dato da Matteo Salvini a metà mattina: “Uno è innocente fin quando non è condannato in tre gradi di giudizio – aveva detto prima di partire per Gerusalemme – Non vedo perché uno si debba dimettere per un avviso di garanzia o per un rinvio a giudizio”. Per Santanché è la terza sfiducia, dall’inizio della sua avventura nel governo Meloni. La prima nell’estate del 2023 al Senato, poi alla Camera ad aprile scorso, tutte respinte. E l’esito – assicurano nel centrodestra – sarà lo stesso anche stavolta. E “allora sì, che ci saremo”, aggiungono. Le opposizioni invece insistono. Contestando il “conflitto di interessi vivente che è la ministra”, l’attaccamento alla poltrona e le bugie ai cittadini. Non va meglio nel centrodestra, dove restano l’imbarazzo e il gelo covati finora nei confronti della ministra che, per carattere e per convinzione, sembra decisa a restare al suo posto. Lo deduce Donzelli, fedelissimo della premier: “La riflessione che Santanché aveva detto che avrebbe fatto, a quanto pare, l’ha fatta e quindi è andata avanti”.

In effetti lei non mostra tentennamenti. Entra a Montecitorio mezzora prima dell’Aula (convocata alle 14), sfoggia un tailleur crema e un foulard al collo e si ritaglia il tempo per una chiacchiera con Augusto Minzolini, un pranzo al ristorante e una sigaretta in cortile. Poi si fa strada tra i giornalisti e a parte un “buongiorno a tutti”, fila dritta in Aula. Quando entra la discussione è già cominciata. La ministra ascolta, parla con Musumeci, prende qualche appunto ed esce all’ultimo intervento. Nessuna replica, quindi. Un copione noto che però indispettisce le opposizioni e alcuni 5S urlano “Vergogna”. Banchi semivuoti anche nell’emiciclo di sinistra ma non mancano Elly Schlein per i Dem e Giuseppe Conte per il M5s. Nessuno dei due parla in aula, ma a fine seduta l’ex premier non resiste alla tentazione e ironicamente saluta Rampelli dicendogli: “Meno male sei venuto almeno tu!”. Conte diventa più duro in serata, al Tg3, ricordando che sulla ministra “ci sono gravi accuse, addirittura anche una truffa aggravata per l’utilizzo improprio di fondi Covid. Non possiamo permettere questo senso di impunità a un ministro del nostro governo che sta arrecando disdoro all’Italia intera”.

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Politica

Al Comune di Napoli l’opposizione si riunisce… per dividersi

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A Napoli, la politica regala sempre spunti interessanti, se non altro per la sua innata capacità di moltiplicare gruppi consiliari anche in assenza di consiglieri. Stamattina si è tenuta una riunione tra i rappresentanti dell’opposizione nel Consiglio comunale partenopeo: presenti i consiglieri di Forza Italia, Fratelli d’Italia, il Gruppo Maresca e Lega/Napoli Capitale, insieme ai segretari cittadini Iris Savastano (Fi) ed Enzo Rivellini (Lega). Assente il consigliere Marco Nonno, mentre per Fratelli d’Italia ha partecipato Longobardi.

Un incontro che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto consolidare l’azione del centrodestra in vista delle prossime elezioni regionali. Obiettivo? Riportare Napoli al centro della scena politica campana, arginando quella che viene definita “l’egemonia salernitana di De Luca”. Eppure, invece di una ritrovata coesione, la riunione ha messo in luce la frammentazione dell’opposizione comunale.

Tanti partiti, pochi consiglieri: la strana aritmetica dell’opposizione

I numeri parlano chiaro: la Lega/Napoli Capitale rivendica il primato di primo gruppo di opposizione con tre consiglieri, seguita da Forza Italia (due), Fratelli d’Italia (uno) e il Gruppo Maresca (uno). Dati che, letti in controluce, suggeriscono un’opposizione più ricca di gruppi che di effettivi consiglieri, con dinamiche interne che sembrano più orientate alla distribuzione di incarichi che a una strategia politica comune.

Secondo la Lega, Forza Italia detiene oggi tutte le cariche dell’opposizione, ma si è rifiutata di ridiscutere la distribuzione degli incarichi in base ai nuovi equilibri consiliari. A pesare, però, non sarebbe – assicurano dalla Lega – la paura di perdere poltrone, ma una diversa interpretazione politica della situazione.

Intanto, Catello Maresca, ex candidato sindaco e oggi consigliere comunale, ha lasciato la riunione dichiarando di non voler dipendere da nessun partito. Un’affermazione che sottolinea ancora di più l’eterogeneità dell’opposizione e il rischio di una minoranza consiliare più concentrata sulle proprie dinamiche interne che sulla sfida politica alla giunta di Gaetano Manfredi.

Unità in Regione, isolamento in Comune?

A provare a ricucire lo strappo è l’ala leghista, che invita i consiglieri di Forza Italia ad ascoltare il loro leader regionale, Fulvio Martusciello, promotore di una sinergia tra le forze di centrodestra in vista delle regionali. Un appello che si scontra con le dinamiche comunali, dove la frammentazione sembra dominare su qualsiasi ipotesi di unità d’azione.

E così, mentre l’opposizione si riunisce per compattarsi, esce dall’incontro più divisa che mai. Il rischio? Che il sindaco Manfredi e la sua maggioranza possano continuare a governare senza un reale contraddittorio, mentre il centrodestra discute su chi abbia più diritto a sedere sulla (poche) poltrone dell’opposizione.

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Politica

Il governo valuta un nuovo dl Albania. Il Pd, una follia

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Un decreto per rendere operativi i centri in Albania. Il governo è deciso a non sospendere gli accordi con Tirana e, anzi, per consentire il trattenimento dei migranti starebbe valutando di rilanciare con un nuovo provvedimento, probabilmente un decreto legge. A parlarne, in un’intervista, è il ministro Tommaso Foti, esponente di spicco di FdI: “Valuteremo se intervenire prima della sentenza” della Corte di giustizia europea, che potrebbe arrivare non prima di marzo. Di certo, in un momento in cui sembrano aprirsi spiragli di dialogo tra governo e magistrati, una mossa del genere non sarebbe un buon viatico per una nuova stagione dei rapporti con l’Anm.

E lo sanno bene le opposizioni, che attaccano a testa bassa: “Perseverare è diabolico – dice il Pd per voce di Simona Bonafè -, il governo fermi questa follia istituzionale che sta creando uno scontro tra poteri senza precedenti e uno spreco di risorse”. Chiudere “questa pagina vergognosa, scusarsi e devolvere gli 800 milioni di euro destinati ad un centro inumano e inutile a sanità e sicurezza”, la richiesta del responsabile politiche migratorie del Nazareno Pierfrancesco Majorino.

A puntare il dito sono anche Avs e Più Europa. “Si sono ormai cacciati in un pasticcio, per uscirne rinuncino ‘all’avventura albanese’ e smettano di sperperare i soldi degli italiani”, afferma Filiberto Zaratti. “Non gli sono bastate le pronunce dei tribunali di ogni ordine e grado a dire che è una procedura illegittima? Errare umano, perseverare è meloniano”, punge Riccardo Magi nel giorno della sua conferma a segretario di +Europa.

Ma nel partito di Giorgia Meloni non ci stanno ad essere etichettati come pasticcioni. “Sui centri in Albania andiamo avanti – annuncia la vice capogruppo di FdI alla Camera, Augusta Montaruli -. L’accordo, del resto, è un modello che fa scuola in Europa con gli Stati membri, i quali stanno assumendo la posizione italiana, ad iniziare dalla presidente Ue Ursula von der Leyen. La follia è stata quella del centrosinistra, che per anni non ha governato l’immigrazione incontrollata. Le opposizioni si rassegnino”. L’iniziativa però non appare destinata a essere discussa a breve in una riunione del Consiglio dei ministri. Di certo l’idea è in campo da diversi giorni: era infatti già emersa l’intenzione di una norma specifica per evitare che nelle Corti d’appello (titolari della convalida dei trattenimenti) si possano trasferire i magistrati delle ‘sezioni immigrazione’: ovvero gli stessi giudici che finora hanno sempre bocciato le richieste di convalida dei trattenimenti in Albania.

Se così fosse, il provvedimento potrebbe diventare il nuovo terreno di scontro tra maggioranza e opposizione. Aggiungendosi a diversi fronti caldissimi: dal caso Santanchè ad Almasri fino a Paragon. Stretta tra le critiche del centrosinistra, la premier deve sciogliere anche i nodi della sua coalizione. Da ultimo, la battaglia della Lega per una nuova rottamazione delle cartelle, che rappresenti un intervento “definitivo” di “tranquillità fiscale”. Il viceministro di FdI Maurizio Leo, artefice della riforma fiscale, nei giorni scorsi si è mostrato cauto facendo capire che prima toccherebbe individuare le risorse, ma in giornata il leader leghista Matteo Salvini è tornato ad incalzare: “Pace fiscale e rottamazione di tutte le cartelle esattoriali: 120 rate tutte uguali in dieci anni, senza sanzioni e interessi, per aiutare milioni di italiani onesti in difficoltà”.

Da Forza Italia, Maurizio Gasparri, pur dicendosi “favorevole alla rottamazione delle cartelle con una lunga rateizzazione” tiene a precisare che la priorità è “anche la riduzione dell’Irpef dal 35 al 33 per cento per i redditi fino a 60mila euro”.

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