Due ore vicini al baratro. Pd e Cinque stelle hanno costruito un giornata thriller moltiplicando diffidenze e sospetti che con tutta probabilita’ hanno irritato il presidente Mattarella, costretto a prendersi due ore di riflessione prima di sciogliere il nodo e concedere piu’ tempo alle parti. E quindi solo alla fine si parte. Piano, ma si parte. Con un incontro tra i capigruppo M5S e una delegazione Pd formata dai capigruppo e dai zingarettiani Paola De Micheli e Andrea Orlando. Con i due leader, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, che al momento restano dietro le quinte, bloccati tra sospetti reciproci e, nel caso del segretario Dem, divisioni interne che irritano anche il Movimento. E la giornata in cui parte la trattativa per il governo giallo-rosso ha tratti bipolari: stop & go di contatti tra esponenti di punta Pd e M5S accompagnati dalla sensazione che da un momento all’altro possa franare tutto. Con un nodo, per ora tenuto coperto, su tutti: quello del premier, che vede il M5S intenzionato piu’ che mai a piegare il suo potenziale alleato sul nome di Giuseppe Conte.
Nel Movimento la giornata del primo si’ al Pd inizia male: le tre condizioni fatte filtrare dai Dem fanno andare su tutte le furie i pentastellati. “Il Pd non puo’ dettarci le condizioni, siamo noi la maggioranza relativa”; e’ il sentiment che filtra prima della salita al Colle di Di Maio. E’ il “no al taglio dei parlamentari, sul quale il Pd poi ripiega, il paletto che per il M5S non permette neanche l’inizio della trattativa. E, ancora a sera, la condizione dell’ok del Pd al taglio viene definita “imprescindibile”. Dalle parti dei Dem sale invece l’irritazione per il prolungarsi del tatticismo grillino che non esplicita mai nettamente la chiusura definitiva del rapporto con la Lega. Tanto che Matteo Salvini anche dal Quirinale ricorda platealmente che la porta della Lega ai Cinque stelle e’ sempre aperta. Sul taglio dei prlamentari i Dem affiancano la necessita’ di una riforma elettorale che, invero, nel Movimento non e’ troppo invisa: un proporzionale, nei mesi del dominio della Lega e del centrodestra, conviene sia al Pd sia al M5S. Di Maio, per l’intera giornata, sceglie di non esporsi. Va al Quirinale con l’intenzione di non nominare neanche il Pd dopo le consultazioni, cosa che irrita non poco i Dem. Si attiene ad una linea che i vertici del Movimento definiscono “responsabile” spiegando che il capo politico ha messo davanti a se’ prima gli interessi del Paese e poi quello del Movimento. Ed e’ con l’arma di questa responsabilita’ che il M5S provera’ a spiegare al suo Marta Cartabia e Paola Severino Salvini.
Quello del leader della Lega, per Di Maio, resta un tradimento in questo momento difficilmente ricucibile. Certo, in linea teorica il forno leghista non e’ totalmente chiuso. Mattarella, nel suo intervento, parla di altri partiti che “hanno chiesto ulteriore verifiche”, pur senza nominare la Lega. E a conferma della chiusura non ancora definitiva del M5S c’e’ un dato: Di Maio, per ora, non si espone. Non sara’ presente, salvo colpi di scena, al primo contatto con il Pd e all’assemblea non e’ lui, inizialmente, ma Stefano Patuanelli a chiedere il mandato a trattare con Zingaretti. C’e’, tuttavia, il presidente Sergio Mattarella con cui fare i conti. Il Quirinale – probabilmente sconfortato per le ambiguita’ della giornata – ha dato a M5S e Pd cinque giorni per siglare un accordo e, nelle due ore di “riflessione” che Mattarella si prende dopo le consultazioni fioccano, a quanto riferiscono fonti parlamentari, i contatti con Pd e M5S per capire in maniera chiara quali siano le loro intenzioni. Non e’ un ultimatum, ma quasi. E ha funzionato. Il mandato dell’assemblea a trattare arriva 5 minuti prima delle dichiarazioni di Mattarella in una successione di orari dove nulla e’ lasciato al caso. Ora tocchera’ a M5S e Pd sciogliere i nodi che si celano dietro al punto del taglio dei parlamentari: quello del premier, innanzitutto. Il veto di Zingaretti al Conte-bis resta, sebbene il M5S non ceda. E circola, con una certa insistenza, l’ipotesi di un terzo nome, donna: con Marta Cartabia e Paola Severino tra i profili piu’ quotati. Con un rumor inaspettato che emerge in serata: quello di Di Maio premier. Poi c’e’ una squadra di ministri da comporre, con Di Maio ben poco intenzionato a lasciare indietro i suoi fedelissimi. E il nodo di un Pd diviso: “noi dobbiamo aprire con chi parlare, tra renziani, zingarettiani e altri”, mormorano nel M5S. Ma il dato e’ tratto. A fine assemblea i volti dei big Cinque Stelle tradiscono una convinzione: con il Pd ci si prova.
La riunione della segreteria Pd ha fatto fare un passo in avanti alla candidatura di Elly Schlein alle Europee. Il tema del voto per Bruxelles ha dominato l’incontro. D’altronde la sfida è alle porte – urne l’8 e il 9 giugno – e i termini per la presentazione delle liste si fanno sempre più stretti. E infatti Schlein ha ufficializzato qualche nome. Il primo è quello di Antonio Decaro, “uno dei più bravi sindaci d’Italia”, ha detto la segretaria a DiMartedì.
Una difesa nitida, quella di Schlein, dopo le polemiche di questi giorni su Bari, per la commissione che dovrà valutare lo scioglimento del Comune (dopo un’inchiesta per mafia che non ha coinvolto il primo cittadino) e le affermazioni del governatore pugliese Michele Emiliano su un loro incontro con la sorella di un boss, che Decaro ha smentito. Capolista del Pd al Sud sarà Lucia Annunziata, “non solo perché è una figura di grande valore come giornalista – ha spiegato Schlein – ma soprattutto per la sua grande conoscenza di politica estera e internazionale”. Fra gli altri, circola anche il nome di Cecilia Strada. La definizione dello schema di gioco – chi dovrà correre, in quale circoscrizione e in quale casella – è tema caldo, in un incrocio di equilibri, ambizioni, rapporti di forza. “Il Pd ha gestito la questione delle alleanze alle amministrative e alle regionali con una linea unitaria – hanno fatto sapere dal partito – Con lo stesso spirito verrà affrontato il tema delle europee”.
Perché “l’avversario è la destra”, è stato ribadito. Alle europee non ci sono alleanze: ognuno corre per sé. Così, quando il Pd parla di unità parla di Pd. “Con varie sfumature – è stata la sintesi della segreteria fornita dal Pd – tutti hanno chiesto a Schlein di candidarsi”, anche se “le formule proposte sono diverse”. Lei ha ammesso: “Ci sto riflettendo, ma prima voglio vedere la squadra”. Nel Pd, quel “varie sfumature” e “tutti hanno chiesto” sono stati raccontati in vari modi. Con un minimo comun denominatore: il tema della corsa di Schlein non poteva che essere sul tavolo e nessuno lo ha messo in discussione. Lo schema generale dovrebbe partire dalla previsione di capolista civici nelle cinque circoscrizioni. Ma “il confronto è ancora aperto – hanno fatto sapere fonti di minoranza Pd – Sono state espresse delle preoccupazioni in merito alle candidature civiche come capolista che penalizzerebbero la classe dirigente del partito. Riguardo la candidatura di Elly Schlein, sono state espresse perplessità in merito alla posizione che occuperebbe in lista, che rischierebbe di penalizzare le candidature femminili”.
Fuori dal Pd, in tema europee altre forze hanno fatto passi avanti. Italia Viva e Più Europa sono sempre più vicine a un’intesa per una lista di scopo anche con Radicali, Psi, Volt e Libdem, mentre Azione per ora ha detto “No”. Un incontro era atteso a breve: era stato annunciato come vertice risolutivo fra i leader. Col passare delle ore è stato un po’ ridimensionato: ci sarà ma probabilmente sarà interlocutorio e fra seconde linee. Ma la direzione pare tracciata. Mentre in casa M5s si glissa sulla corsa di Virginia Raggi, che per candidarsi dovrebbe ottenere una deroga ad hoc. “Nel caso avessimo voluto introdurre una deroga – è stato spiegato da Campo Marzio – lo avremmo fatto in maniera trasparente, non nascondendola in un cavillo burocratico, ma passando dal trasparente giudizio della nostra comunità”.
Le misure adottate con il decreto sul superbonus e sui bonus edilizi “sono tese a chiudere definitivamente la eccessiva generosità di una misura che come è noto ha causato gravi effetti sulla finanza pubblica e i cui effetti, definitivamente, potremo contabilizzare tra pochi giorni quando si caricherà la finestra per tutte le fatture e i lavori eseguiti entro il 31 dicembre 2023”. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti al termine del Consiglio dei Ministri. “Il governo ha approvato un decreto in materia di bonus edilizi che elimina ogni tipo di sconto in fattura e cessione del credito per tutte le tipologie che ancora lo prevedevano; abbiamo eliminato la disposizione della remissione in bonis che avrebbe consentito fino al 15 ottobre le correzioni con il pagamento di minime sanzioni di tutte le comunicazioni già intervenute e previsto per tutte le nuove fattispecie una nuova comunicazione preventiva, quando si inizia il lavoro, in modo da avere un monitoraggio del fenomeno e non solo quando le fattura vengono caricate”. Lo ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Abbiamo esteso a questa fattispecie – ha proseguito il ministro – la compensazione rispetto ai debiti di coloro che vogliono usufruire dei debiti d’imposta rispetto ai debiti effettivamente accertati nei confronti dello Stato”. In pratica – ha spiegato il ministro “se c’è un ruolo già accertato definitivamente, prima si compensa su quello”. Il ministro ha poi sottolineato che sono stati individuati nuovi meccanismi di frode sui quali è stato introdotto un paletto. “C’è la limitazione della cessione del credito Ace, perché abbiamo iniziato a notare un utilizzo fraudolento su questa agevolazione che peraltro è eliminata dalla riforma fiscale”. Altre norme prevedono una comunicazione preventiva anche sulle misure di “Transizione 4.0, fermo restando la compensazione che abbiamo già introdotto su transizione 5.0”.
Dalle parole ai fatti: dopo una settimana di fuoco in cui sono state le dichiarazioni dei politici ad animare il ‘caso Bari’, oggi è il giorno in cui la commissione del Viminale ha iniziato ufficialmente a sfogliare le decine di migliaia di pagine dell’indagine sul voto di scambio tra politica e mafia alle elezioni comunali del 2019: i tre commissari dovranno verificare la presunta esistenza di infiltrazioni della criminalità organizzata ed eventualmente sciogliere il consiglio comunale.
Lavoro che durerà diverso tempo e le cui procedure sono state illustrate dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi al Consiglio dei ministri: nell’informativa ai colleghi di governo, il titolare del Viminale ha illustrato il tema degli accessi ai Comuni e dello scioglimento degli enti locali, con una ricognizione sui provvedimenti adottati negli ultimi anni. E ha ricostruito il ‘caso Bari’. Il ministro ha infatti ricordato che al ministero è stata ricevuta sia una delegazione di parlamentari di centrodestra sia il sindaco Decaro al quale nei giorni successivi è stato anche anticipato, “per correttezza”, la decisione di avviare l’accesso ispettivo.
Quanto ai 3 membri della Commissione, Piantedosi ha sottolineato che si tratta di persone con “esperienza specifiche in tema di prevenzione e contrasto alle infiltrazioni mafiose”. E con i commissari nella sede del Comune, Decaro ha pubblicato un video su Facebook nel quale controlla lo stato dell’asfalto e, con le mani in una pozzanghera, afferma: “Si vede che sto per tornare al mio lavoro fra qualche giorno, che è quello di occuparmi di strade”.
Decaro è infatti è un ingegnere dell’Anas e ha cominciato la sua carriera come assessore alla Mobilità, ma non tornerà in azienda visto che, l’ha annunciato la leader Dem Schlein, sarà candidato alle Europee. Proprio al periodo all’Anas, circa 18 anni fa, risalirebbe il suo presunto incontro con la sorella di un boss, che ha scatenato nuove e accese polemiche. Sono invece state licenziate le due vigilesse coinvolte nell’indagine e che avrebbero chiesto aiuto a un fedelissimo del clan mafioso Parisi, Fabio Fiore (ex autista del boss di Japigia ‘Savinuccio’), per punire una persona che, dopo aver ignorato un semaforo rosso, le avrebbe insultate. Il lavoro dei commissari ministeriali non sarà facile. In un ufficio della prefettura stanno leggendo il voluminoso fascicolo della Dda.
Al suo interno ci sono le accuse che hanno portato il 26 febbraio all’arresto di 130 persone, tra cui la consigliera comunale Carmen Lorusso e suo marito Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale. Anche l’amministrazione comunale ha prodotto un dossier di migliaia di pagine con tutte le attività antimafia del Comune guidato dal sindaco che per questo vive sotto scorta da nove anni. La commissione potrà chiedere altra documentazione e fare audizioni.
I tre commissari hanno tre mesi di tempo, prorogabili a sei, per fare una relazione da consegnare al prefetto che, solo a quel punto, dovrà tirare le conclusioni e formulare una proposta al ministro dell’Interno. Un eventuale scioglimento dovrà essere disposto con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione. Un eventuale scioglimento, quindi, andrebbe a colpire il nuovo consiglio comunale per il quale si vota l’8 e il 9 giugno prossimi.