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Salute

Paziente sopravvissuta a 12 tumori diversi

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Sopravvissuta a 12 tumori diversi, di cui cinque maligni, tutti causati da un mix di mutazioni genetiche ereditarie che finora era ritenuto incompatibile con la vita: è l’eccezionale caso di una donna di 36 anni, quello descritto sulla rivista Science Advances dai ricercatori del Centro nazionale di ricerca oncologica (Cnio) in Spagna. Lo studio potrebbe aprire la strada a nuove tecniche di diagnosi precoce e a nuove terapie per risvegliare il sistema immunitario contro il cancro. “Ancora non riusciamo a capire come questa persona possa essersi sviluppata durante la fase embrionale, né come sia riuscita a superare tutte le sue malattie”, ammette il biologo Marcos Malumbres del Cnio. La paziente che ha lasciato a bocca aperta i ricercatori ha sviluppato il suo primo tumore già nell’infanzia: a questo ne sono poi seguiti diversi a distanza di qualche anno uno dall’altro. In meno di 40 anni di vita, gliene sono stati diagnosticati 12 differenti in varie parti del corpo: cinque quelli maligni. Una situazione complessa in un quadro altrettanto complicato: la donna presenta infatti altre alterazioni come macchie cutanee e microcefalia. Una volta giunta al Centro di ricerca Cnio, è stata sottoposta al sequenziamento dei geni che sono solitamente coinvolti nelle forme ereditarie di tumore, ma non è stata trovata alcuna mutazione. Si è dunque passati a sequenziare l’intero genoma ed è così che sono emerse anomalie in un gene cruciale per la divisione delle cellule: si tratta del gene MAD1L1, la cui mutazione comporta l’alterazione del numero di cromosomi ereditati dalle cellule figlie (una condizione tipica di molti tumori). La paziente aveva mutata sia la copia del gene ricevuta dalla madre sia quella trasmessa dal padre: una condizione mai riscontrata al mondo e che, riprodotta negli animali di laboratorio, ha determinato la morte già nella fase embrionale. “Da un punto di vista accademico non possiamo parlare di una nuova malattia perché siamo di fronte alla descrizione di un singolo caso, ma da un punto di vista biologico lo è”, afferma un altro autore dello studio, Miguel Urioste. Uno degli aspetti che hanno maggiormente sorpreso i ricercatori è che i cinque tumori maligni sono scomparsi in modo relativamente facile. L’ipotesi è che “la continua produzione di cellule alterate abbia generato nella paziente una risposta di difesa cronica contro queste cellule, che alla fine ha aiutato i tumori a sparire”, spiega Malumbres. La scoperta che il sistema immunitario è in grado di scatenare una difesa contro le cellule con un numero alterato di cromosomi “è uno degli aspetti più importanti di questo studio, che potrebbe aprire nuove opzioni terapeutiche per il futuro”, considerando che il 70% dei tumori presenta anomalie nel numero di cromosomi. Per studiare la donna e i suoi familiari (molti dei quali hanno mutazioni nel gene MAD1L1, ma solo in una delle due copie ereditate dai genitori), i ricercatori spagnoli hanno usato una tecnologia che permette di analizzare migliaia di cellule del sangue singolarmente, una per una, per valutare i geni accesi. Questa tecnica ha permesso di individuare la rapida proliferazione di cellule che potrebbe già segnalare lo sviluppo iniziale di un tumore, prima ancora della comparsa di sintomi o alterazioni negli esami clinici.

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Ansia o depressione, anche Peaty campione sotto stress

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Un’altra leggenda del nuoto, l’olimpionico Adam Peaty, alza bandiera bianca. Stress, burnout, depressione o problema mentale che sia, il campione britannico ha deciso di non poter andare avanti con la vita di sempre, tra allenamenti estenuanti e sempre nuove sfide da affrontare in gara, senza affrontarlo. Ha così annunciato a tutti che si fermerà per un po’, rinunciando ai campionati nazionali e quindi ai Mondiali, principale appuntamento del 2023, per provare a tornare in sesto in vista delle Olimpiadi Parigi. I fantasmi della mente, le ombre della depressione, il rigetto della quotidiana pressione interna ed esterna a superare se stessi sono purtroppo un tratto comune a tanti fuoriclasse dello sport, come conferma anche la psicologa Monica Vaillant, plurimedagliata con il Setterosa: “A noi sembrano, e loro si sentono, dei supereroi, ma a quei livelli, i più alti, la crisi, prima o poi, arriva, è quasi inevitabile”.

“Bisogna considerare che un campione vive continuamente momenti di grande tensione, per l’impegno che deve mettere per arrivare e rimanere al top, portandolo a investire tutto su quel fronte – spiega Vaillant -, con l’ulteriore aggravio di vivere tale situazione da un’età molto giovane, in un momento di crescita, di sviluppo del senso del sè. Le basi su cui si costruisce, quindi, sono spesso precarie. Ma la crisi può arrivare anche dopo aver lasciato la ribalta. Tutto quello che si è per forza tralasciato o vissuto senza la dovuta attenzione, dal prepararsi per una attività lavorativa alla vita affettiva, possono avere un impatto pesante”. Quando capita che qualche ‘supereroe’ dello sport ammette i suoi problemi, il caso fa subito scalpore, proprio per l’immagine che si ha di lei o di lui, ma secondo la psicologa sono numerosissime anche le situazioni taciute o nascoste. Tra i nuotatori, prima di Peaty hanno ammesso, e affrontato, i loro problemi anche il re delle piscine Michael Phelps, recordman di ori olimpici, il suo omologo australiano, Ian Thorpe, e altro grande del nuoto come Ryan Lochte.

Battaglie con la propria mente come quelle affrontate anche da chi è abituato a solitudine e fatica in sella a una bici, come Mark Cavendish, Marcel Kittel, Tom Dumoulin e Gianni Bugno, oppure a estenuanti duelli su un campo da tennis, come la giapponese Naomi Osaka e l’australiana Ashleigh Barty, ma anche a campioni con una squadra alle spalle, come Andres Iniesta o Josip Ilicic, e ancor prima Paul Gascoigne, lo sportivo alcolizzato forse più famoso di sempre. In alcuni casi è tragico l’epilogo di queste storie, come per Kelly Catlin, campionessa di ciclismo, finita dopo due cadute in una spirale che l’ha portata al suicidio, stessa fine del portiere della nazionale tedesca Robert Enke. L’assistenza psicologica, secondo Vaillant, dovrebbe essere una preoccupazione primaria per ogni atleta di alto livello, di solito seguito invece ‘solo’ da allenatori, preparatori atletici e medici. Un sostegno preventivo che potrebbe evitare, o alleviare, tanti crisi. “Se negli sport di squadra la figura dello psicologo è ormai quasi la normalità, per gestire le dinamiche interne ma anche per un eventuale aiuto ai singoli – sottolinea -, per quelli individuali tale sostegno è adottato con molta meno frequenza, o magari solo quando si manifestano dei problemi”.

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Salute

Oms, no ai vaccini a bimbi in questa fase pandemia

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In questa fase della pandemia, salvo valutazioni relative al contesto locale, la vaccinazione contro Covid-19 per i bambini e gli adolescenti sani non è una priorità: meglio privilegiare le vaccinazioni di routine. Per i fragili, invece, continua a essere importante mantenere alta la protezione con un richiamo ogni 6-12 mesi. Sono due delle indicazioni uscite dall’ultimo meeting dello Strategic Advisory Group of Experts on Immunization (SAGE) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’aggiornamento si è reso necessario con l’ingresso in una nuova fase della pandemia caratterizzata da un calo dei contagi, dall’avvento di varianti meno temibili del SarsCoV2 originario e dalla diffusione, nella popolazione mondiale, di una qualche immunità al virus sviluppata contraendo la malattia o sottoponendosi alla vaccinazione.

Le nuove indicazioni, che – precisa l’Oms – valgono per questa specifica fase della pandemia, dividono la popolazione in tre classi. Il gruppo ad alta priorità (anziani, persone immunodepresse o con patologie, operatori sanitari) dovrebbe fare un richiamo a 6-12 mesi dall’ultima dose. Il gruppo a priorità media (adulti sani e bambini e adolescenti con comorbidità) dovrebbe fare le prime tre dosi, ma non i booster aggiuntivi di routine. Per il gruppo a bassa priorità invece, l’Oms non fornisce una raccomandazione generalizzata alla vaccinazione.

“I Paesi dovrebbero considerare il loro contesto specifico nel decidere se continuare a vaccinare gruppi a basso rischio, come bambini e adolescenti sani, senza compromettere i vaccini di routine che sono cruciali per la salute e il benessere di questa fascia di età”, ha detto Hanna Nohynek, a capo del SAGE. Alle donne in gravidanza è invece consigliato un richiamo se sono passati più di sei mesi dall’ultima dose. Intanto, in Italia, l’ultima rilevazione della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (Fiaso) ha riscontrato una lieve risalita dei ricoveri Covid: +7,6% nell’ultima settimana. I pazienti hanno una età media di 76 anni, soffrono di altre patologie e l’88% è vaccinato da oltre sei mesi.

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Ambiente

E la scienza approva il cibo sintetico, tanti vantaggi

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Sostenibilità ambientale, sicurezza alimentare, benessere animale e disponibilità di cibo a prezzi accessibili: per il mondo scientifico sono tanti i vantaggi del cibo coltivato in laboratorio, che per il momento è però solo una possibilità per il futuro. All’indomani dell’approvazione del Ddl sul cibo sintetico arrivano critiche anche da parte del mondo politico, come Alleanza Verdi e Sinistra, gruppo delle Autonomie e +Europa, che ha promosso una raccolta di firme contro il disegno di legge. E’ invece soddisfatto il mondo agricolo, dalla Coldiretti alla Confeuro e alla Cia-Agricoltori Italiani, che cita un rapporto di Nomisma dal quale emerge che il mercato mondiale di carne sintetica ha già registrato investimenti pari a 1,3 miliardi, con aziende e startup che dal 2016 al 2022 sono aumentare da 13 a 117 e una stima di produzione per il 2030 pari a 2,1 milioni di tonnellate. Dati che, per il mondo scientifico, fotografano una realtà ancora sperimentale. Per questo, affermano i ricercatori, il Ddl sul cibo sintetico è prematuro: “ci si sta preoccupando troppo presto” e “si è arrivati a definire delle regole quando mancano ancora elementi per decidere”, dice il genetista Michele Morgante, dell’Università di Udine e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei.

“Si ha l’impressione – aggiunge – che la decisione non sia stata presa sulla base di elementi scientifici, ma sulla base di una valutazione di interesse economici”. Una posizione comprensibile, ma “chiamiamo le cose con il loro nome: si può proteggere l’attività degli allevatori italiani senza allarmare l’opinione pubblica”, dice Morgante. “Non ci sono, a priori, motivi per cui prodotti da colture cellulari potrebbero presentare rischi diversi rispetto a quelli da allevamento tradizionale. Al contrario – prosegue l’esperto – ci sono molte ragioni per dire che le carni coltivate sono più sicure in quanto non contengono ormoni né antibiotici, non c’è il rischio di contaminazione da parte di organismi patogeni. La coltivazione avviene infatti in un ambiente sterile e controllato”. Senza contare, aggiunge, che “in Europa abbiamo un sistema preposto a valutare i rischi: l’Efsa tratterebbe anche questi prodotti come novel foods, come è accaduto per le farine di insetti, li sottoporrebbe a valutazioni”. I ricercatori tengono inoltre a precisare che è tecnicamente un errore chiamare ‘cibo sintetico’ la carne coltivata in laboratorio: il nome corretto è, appunto, ‘carne coltivata’, oppure ‘agricoltura cellulare’, rileva Roberto Defez, dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli e membro del comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi, che già nel 2019 aveva pubblicato un documento a favore di queste tecniche, intitolato “Dagli allevamenti intensivi all’agricoltura cellulare”. Defez precisa che “è sintetico quello che è il risultato di processi in cui si utilizzano composti e reazioni chimiche”, aggiunge, ma nel caso della carne coltivata si utilizzano “cellule staminali che in laboratorio vengono fatte differenziare per produrre muscolo”. Dal mondo scientifico si rileva poi che nel ddl, si cita solo la produzione di carni di vertebrati, cosa che lascerebbe via libera alla produzione polpa di granchio, aragosta e gamberi, e che alcuni cibi coltivati sono già in vendita: è il caso di probiotici, come i batteri aggiunti negli yogurt e l’alga spirulina.

Quanto alla produttività, i ricercatori osservano che bastano poche cellule per produrre tonnellate di carne: “non è necessario prelevare cellule e tessuti da tanti animali, ma è sufficiente utilizzarne un numero limitato”, dice Defez. La carne coltivata “non ha alcuna ragione di derivare dall’uccisione di animali”. Per quanto riguarda i costi, “sebbene siano ancora poco competitivi, si sono ridotti notevolmente. Basti pensare che negli ultimi 4-5 anni il prezzo al chilo è sceso da 300.000 dollari a 20-30 dollari”.

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