Ricerche no stop a Firenze per trovare la piccola Kataleya, 5 anni, scomparsa sabato pomeriggio da un ex hotel occupato da un centinaio di abusivi, fra cui decine di minori, in via Maragliano. Vi abita con la madre e un fratellino, il padre è in carcere, ci sono altri parenti fra cui uno zio che è il fratello della mamma, sono peruviani. La bambina è scomparsa e la stessa madre l’ha cercata per ore, anche di notte nelle vie del quartiere urlando il suo nome per vedere se rispondeva. Dopo oltre un giorno poche sono le certezze e molti i timori di un’evoluzione infausta della vicenda. Gli adulti dell’ex Astor l’hanno vista l’ultima volta mentre giocava nel cortile dell’edificio occupato. Le ripetute perquisizioni allo stabile di carabinieri e vigili del fuoco escludono che Kata sia dentro. È sparita verso le tre del pomeriggio del 10 giugno.
Quando la madre torna, poco dopo, dal lavoro, si parla di un quarto d’ora, non la trova, chiede di lei, anche al fratello, ma nessuno ne sa niente. Una donna di un alloggio vicino le parla di un bisticcio tra bambine, con la sua figlia che piangendo è tornata in casa. Ma di Kataleya non ha altre notizie, pensava fosse con lo zio. Kata invece sarebbe rimasta da sola in cortile ed è scomparsa nel giro di pochi minuti. Una telecamera pubblica puntata su via Boccherini, lato nord dell’ex hotel, la fa vedere mentre esce da sola dal cancello della corte e poi vi rientra. Qualcuno la ha attirata fuori? Il cancello non è serrato e si apre facilmente. Altre immagini, riferiscono i carabinieri, mostrano andirivieni di adulti, tutti occupanti: i video sono setacciati per capire se qualcuno se la fosse portata via sottraendola all’obbiettivo della telecamera.
Ogni ipotesi è valida, spiegano dall’Arma dei carabinieri: dall’allontanamento volontario – magari seguendo fuori un altro bambino per giocare -, all’intervento di un adulto, ovvero il rapimento. La mattina la madre Kathrina, 26 anni, fa un appello disperato: “Chiedo che mi aiutiate a cercarla. Sono passate troppe ore e non so niente”. Riferisce di uno screzio con una famiglia “al terzo piano perché facevano troppo rumore” e poi ricorda un’aggressione il 29 maggio pare per la disputa di un alloggio, in cui un sudamericano è precipitato in strada; per questo fatto avrebbero incolpato suo fratello “ma lui – ha detto – non c’entra niente”. La donna accusa un malore e viene portata in ospedale dopo che le dicono che nuove ispezioni nel palazzo – tre piani sopra un’area di oltre 3.000 metri quadri – hanno dato ancora esito negativo.
Le perquisizioni sono al dettaglio, dal tetto alle cantine fino alle stanze che alcuni occupanti non hanno voluto aprire ai familiari della bimba. L’Arma ha schierato le sue unità specialistiche dal reparto scientifico ai cani molecolari capaci di fiutare le tracce a chilometri di distanza a unità cinofile specializzate nel seguire tracce di sangue. La ricerca si estende anche al torrente Mugnone che scorre nel quartiere di San Jacopino. Arrivano segnalazioni alle autorità. Qualcuno crede di averla vista in località della provincia. Una conoscente parla di immagini serali vicino a un fast food di Firenze, un video mostrerebbe una bambina con tre adulti, una segnalazione che non è considerata attendibile Un’altra donna riferisce alle autorità di aver ricevuto una telefonata in spagnolo da un tale che dice di avere la bambina. Viene verificato tutto.
I pompieri smontano un grande condizionatore d’aria sul tetto. Addetti controllano perfino i cassonetti della differenziata. Verso le 13 il sindaco Dario Nardella e l’assessore al Sociale Sara Funaro fanno un sopralluogo, parlano con il comandante provinciale dei carabinieri Gabriele Vitagliano e con la polizia municipale. Una descrizione viene diramata tutto il giorno e la prefettura la puntualizza in un comunicato. Kata è alta 1 metro e 15, ha occhi e capelli castani. Quando è sparita indossava una maglietta bianca a maniche corte, pantaloni di colore viola e scarpe nere. Ha 5 anni, bimbi piccoli così si fidano di tutti.
Sono due i presepi vaticani 2023, uno in piazza San Pietro e l’altro in Aula Paolo VI. Le due natività, volute fortemente dallaDiocesi di Rieti e affidate per la realizzazione a Fondaco Italia, sono state pensate per celebrare gli ottocento anni dal primo presepe della storia, voluto nel 1223 da San Francesco d’Assisi a Greccio, nel reatino.
Nel 1223, preso dallo sconforto per le violenze e per lo spargimento di sangue che investiva Betlemme, travolta dalle crociate, il patrono d’Italia chiese al suo amico Giovanni Velita e sua moglie Alticama di portare una greppia (mangiatoia) un bue, un asino e di invitare tutta la popolazione di Greccio a radunarsi la sera del 24 dicembre. Da quel momento Greccio, come qualsiasi altro luogo dove viene realizzato il presepe, è diventato Betlemme.
“Il nostro obiettivo – ha spiegato Enrico Bressan, presidente di Fondaco Italia – è soprattutto la tutela del patrimonio artistico italiano. L’idea delle natività vaticane nasce dal restauro del santuario di Greccio, l’eremo francescano in provincia di Rieti dove, nel 1223, ottocento anni fa, San Francesco inventò il presepe.
Oltre ad ispirarci al santo di Assisi, al quale è dedicato questo progetto, ci siamo rifatti a quella straordinaria comunità di intenti e abbiamo coinvolto una serie di realtà imprenditoriali ed eccellenze artistiche per realizzare i due presepi vaticani”.
“Siamo lieti di tornare a Roma – ha dichiarato Riccardo Bisazza, presidente di Orsoni Venezia 1888 – dove abbiamo già collaborato a un importante restauro della Basilica di San Pietro, e di ritrovare il Santo Padre che, nel 2018, inaugurò a Bucarest la nuova Cattedrale della Salvezza del Popolo per la quale siamo impegnati a realizzare le tessere di mosaico che un team di 70 mosaicisti sta utilizzando per la decorazione dell’interno della cattedrale ortodossa più grande al mondo.
Il presepe di San Francesco in Sala Nervi accompagnerà le prossime festività e sarà visto in tutto il mondo durante le dirette dal Vaticano; siamo orgogliosi di aver contribuito al progetto di Fondaco Italia con i mosaici veneziani che testimoniano un’eccellenza Made in Italy unica al mondo.”
Il presepe di piazza San Pietro, pensando alla prima natività vivente, è stato progettato come un’istallazione artistica che prende la forma di una scenografia teatrale. La realizzazione è stata possibile grazie al contributo di partner privati ed affidata agli esperti artigiani di Cinecittà che hanno interpretato il disegno dell’artista presepista Francesco Artese, i personaggi sono stati realizzati dal maestro artigiano presepiale Antonio Cantone di Napoli, coordinati dai curatori Enrico Bressan e Giovanna Zabotti di Fondaco Italia.
La struttura, collocata sopra una base a forma ottagonale, come richiamo all’ottocentenario, prende spunto dalla roccia del Santuario di Greccio ed è concepita come una quinta che, in un perpetuo dialogo armonico, viene abbracciata idealmente dal colonnato di Piazza San Pietro.
Davanti ad essa, collocata a terra, una vasca in cui scorre, simbolicamente, il fiume Velino, ovvero le acque che, oggi come allora, dalla Valle Santa reatina giungono a Roma.
La scena vede al centro l’affresco della grotta di Greccio (opera del 1409 attribuita al Maestro di Narni di scuola giottesca) davanti al quale un frate officia la messa in presenza di San Francesco con in braccio il Bambinello, la Madonna e San Giuseppe in adorazione a lato della greppia, dietro a cui giacciono il bue e l’asinello.
Ad assistere alla rappresentazione tre frati, Giovanni Velita e la moglie Alticama, ovvero gli amici che hanno aiutato San Francesco a dare vita alla sua “opera prima”. I personaggi, in terracotta dipinta e di grandezza naturale, sono stati realizzati realizzati da Cantone e Costabile di Napoli, mentre l’illuminazione è stata affidata alla lighiting designer Margherita Suss.
La natività musiva dell’Aula Paolo VI, invece, è stata resa possibile grazie al contributo di Orsoni Venezia 1888, l’unica fornace a fuoco vivo a Venezia, che utilizza le stesse tecniche oltre un secolo per produrre mosaici in foglia d’oro 24 carati, ori colorati e smalti in più di 3.500 colori, dai rossi imperiali ai blu Madonna fino ad una gamma che conta più di 120 toni differenti per i colori degli incarnati.
Orsoni ha realizzato le tessere per il presepe in Sala Nervi: oltre 30.000 tessere per 4,5 mq di smalti di cui il 5% di tessere in foglia d’oro 24 carati, trasformate in opera sacra dal Maestro mosaicista Alessandro Serena. La scena raffigura una natività classica con San Francesco inginocchiato, in segno di totale devozione, in povertà e semplicità, mentre Chiara è orante accanto a lui.
Segregata in casa, chiusa a chiave e impossibilitata ad uscire. Quando il marito era fuori, la giovane di Palma di Montechiaro, nell’Agrigentino, incinta, sarebbe stata sorvegliata dalle cognate. “Non sai fare la donna di casa. Tu sei donna e devi solo stare a casa a pulire e cucinare” diceva il marito venticinquenne alla moglie di 19 anni. I giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, lo hanno condannato a tre anni e sei mesi di reclusione. L’uomo è stato riconosciuto colpevole di maltrattamenti e sequestro di persona. Difeso dall’avvocato Santo Lucia, l’imputato dovrà risarcire con 15mila euro la ragazza che si è costituita parte civile nel processo, con l’assistenza dell’avvocato Gianluca Sprio.
I fatti sono avvenuti tra febbraio e settembre del 2021, periodo in cui la giovane era in gravidanza. La ragazza sarebbe stata picchiata e offesa ripetutamente: “I tuoi genitori sono zingari, tu sei diventata ‘signora’ solo grazie a me”. Accuse e mortificazioni che il marito giustificava per la scarsa efficienza della moglie nei lavori domestici. Stando a quanto è emerso durante il processo, nel febbraio 2021, dopo avere fatto il test di gravidanza e scoperto di aspettare un bambino, la ragazza sarebbe stata picchiata per costringerla a non raccontare a nessuno che era incinta. E poi, ancor terrorizzata dall’uomo, anche attraverso messaggi whatsapp, che la minacciava di sottrarle la bambina qualora non avesse obbedito ai suoi ordini. La 19enne, a un certo punto, ha trovato il coraggio di denunciare vessazioni, offese, minacce, maltrattamenti e ha raccontato di essere stata segregata in casa
. Sempre a Palma di Montechiaro (per lo scrittore e giornalista Giuseppe Fava il destino di nascere da quelle parti si poteva spezzare “soltanto cercando altrove il modo la maniera di sopravvivere”), martedì scorso un quarantottenne ha aggredito e lanciato acido contro la moglie, rimasta ustionata alla guancia destra e alla spalla. La donna lo aveva denunciato e, da metà novembre, era ospite, assieme alla figlia nata da una precedente relazione, in una casa protetta. Martedì la cinquantenne ha commesso la leggerezza, senza dire niente né alla polizia né agli operatori della struttura, di recarsi nella casa coniugale per prendere dei vestiti, avvisando il marito in anticipo, con il quale ha avuto un nuovo, ennesimo litigio con conseguenze drammatiche.
Un marito che prende per il collo la moglie, dopo averla spinta verso il muro, deve rispondere di tentato omicidio e non soltanto di maltrattamenti o lesioni, anche se non ci sono ferite. Lo afferma la Corte di Cassazione che ha confermato la condanna a dieci anni per un uomo che, pur avendo ammesso di avere usato violenza sulla donna, aveva impugnato la sentenza di secondo grado tentando di dimostrare di non avere mai provato a ucciderla. Per i giudici però a contare sono i “potenziali effetti dell’azione”. E’ quanto scrive questa mattina il Messaggero.
La Corte ha respinto la difesa dell’uomo: “La scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa – scrivono i giudici – non sono circostanze idonee a escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all’intervento di un terzo”. Fu infatti il figlio minore della coppia a intervenire interrompendo l’aggressione.
L’aggressione si era consumata in provincia di Brescia. La donna aveva chiesto l’intervento dei carabinieri, accusando il marito di avere tentato di strangolarla. Durante le indagini, le dichiarazioni della vittima erano state confermate dal figlio. L’uomo l’aveva spinta contro il muro e, esercitando una pressione crescente, l’aveva sollevata da terra, provocandone l’offuscamento della vista e una momentanea perdita di conoscenza.