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Cronache

Paura a Massa Lubrense, bimbo di 3 anni sparisce: trovato dopo 4 ore di ricerche

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Ora che l’incubo è finito c’è modo anche di scherzarci su: “Forse Gennaro voleva andare a scuola e ha imboccato la strada che percorriamo solitamente in auto” dice il papà Carmine ancora frastornato dopo quattro ore di ricerche tra gli aranceti di Nerano, gioiello della natura a cavallo tra la Penisola Sorrentina e la Costiera Amalfitana. Gennaro, 3 anni, riccioli d’oro e occhi verdi, se la ride poco distante mentre impugna il microfono di un operatore tv incuriosito, forse pure divertito dal caos provocato, con le forze dell’ordine e i giornalisti a turbare la quiete di questo angolo di paradiso. Sì, perché il piccolo Gennaro stamattina doveva rimanere a casa a causa di una indisposizione accusata ieri sera.

Niente asilo avevano deciso i suoi genitori, Carmine, carpentiere di 45 anni e Giovanna, farmacista di 37. Ma lui, appena sveglio, indosso solo pigiamino blu e calzini, ha approfittato dell’assenza del papà sceso a lavorare, e di quella momentanea della mamma, in cucina a preparare il latte per il fratellino di appena cinque mesi, per lanciarsi alla scoperta del mondo varcando la soglia di casa (complice una porta socchiusa) e superando il cancello della villetta incastonata tra le montagne a ridosso del mare, facendo perdere le sue tracce per una passeggiata senza meta. E’ stata mamma Giovanna, erano le 9.45 all’incirca, ad accorgersi della sua assenza: dopo le prime vane ricerche, la telefonata ai carabinieri di Massa Lubrense. In poco tempo i viottoli intorno alla casa del piccolo Gennaro vengono passati al setaccio da Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia, Vigili del Fuoco e del Soccorso Alpino. Arrivano anche le unità cinofile mentre un elicottero sorvola la zona.

Ma a mobilitarsi è tutto il paese: almeno duecento persone, tra forze dell’ordine e volontari, si impegnano nelle ricerche del piccolo. Sono quattro ore pesantissime dal punto di vista emotivo: tante le ombre che si addensano sulla sua scomparsa. Si fanno largo i pensieri peggiori, e a qualcuno torna alla memoria quanto accaduto nel 1996 ad Angela Celentano, anche lei 3 anni, scomparsa mentre era in gita sul monte Faito, non troppo lontano da qui, e mai più ritrovata. Non sarà così, per fortuna, per Gennaro. La sua storia ha l’happy end intorno alle 14.30 quando uno chef di un ristorante limitrofo e un appuntato dei carabinieri lo ritrovano provato, ma non troppo, impigliato in una rete divisoria del ristorante “I quattro passi”, in linea d’aria a 4-500 metri da casa. Chissà come ci era arrivato. Non piangeva, ma era spaventato, diranno i suoi soccorritori.

Per lui solo qualche escoriazione ai piedi e una brutta avventura che forse neanche ricorderà. Non così i suoi genitori e il nonno Franco. Per lui, colto da un leggero malore dettato dalla tensione accumulata dopo il ritrovamento del bambino, si è reso necessario l’arrivo di un’ambulanza per prestargli le necessarie cure. A consolare nonno Franco – ironia della sorte – ha pensato lo stesso Gennaro che è salito sull’ambulanza a dargli conforto.

“Sono state ore terribili – spiega piu’ tardi Franco Porzio – quando mia figlia mi ha chiamato il primo pensiero è stato che Gennaro potesse essere caduto nel vallone che porta al fiume e mi sono precipitato. Ma ho pensato anche alla possibilità di un rapimento. E’ stato terribile, per fortuna e’ andata bene”. Tira un sospiro di sollievo anche mamma Giovanna: “Probabilmente voleva andare all’asilo nido – spiega la donna – ma oggi volevamo tenerlo a casa perché ieri era stato poco bene. Abbiamo avuto paura, ma tutto è bene quel che finisce bene. Ora é a casa a giocare. Non gli ho detto nulla, l’ho solo abbracciato”. Si dice rinato papà Carmine che fa fatica a metabolizzare quella che definisce “una grande paura”. “Non pensavo fosse vero – spiega – che stesse succedendo proprio a me, ma quando l’ho rivisto sono rinato. Grazie a tutti”.

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Strage di Erba, per la difesa di Olindo e Rosa la dinamica scagiona la coppia

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E’ la stessa dinamica della strage di Erba secondo i consulenti della difesa, a “escludere la presenza” di Olindo Romano e Rosa Bazzi sulla scena dell’eccidio in cui, a sprangate e a coltellate, furono uccise quattro persone, tra cui un bambino di due anni, mentre una quinta sopravvisse quasi miracolosamente, l’11 dicembre del 2010. E sulle prove che la difesa dei coniugi chiede per riaprire la partita si avrà certezza il 10 luglio quando i giudici di Brescia si riuniranno in Camera di consiglio anche per stabilire se è ammissibile l’istanza di revisione.

I difensori della coppia si sono impegnati in un’udienza fiume per cercare di smontare gli elementi che portarono l’ex netturbino e l’ex donna delle pulizie alla condanna definitiva all’ergastolo. In un clima di discreta tensione tra i difensori e il pg di Brescia e l’avvocato dello Stato, gli avvocati Nico D’Ascola, Fabio Schembri, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux hanno ribadito le loro convinzioni: quella traccia del sangue di una delle vittime, Valeria Cherubini, trovata sul battitacco della Seat Arosa di Olindo “non esiste”, nel senso che non c’è il conforto del Luminol e non c’è prova che sia genuina o deteriorata. Valeria Cherubini, vicina di casa di Raffaella Castagna, fu colpita e uccisa nella sua casa al piano di sopra, non sul pianerottolo di Raffaella per poi trascinarsi agonizzante nel suo appartamento, come stabiliscono le sentenze.

Lo testimonierebbero le tracce di sangue analizzate dalla criminologa Roberta Bruzzone secondo la quale anche quelle tracce presenti sul piccolo Youssef dimostrano che non fu ucciso come raccontato da Rosa Bazzi nella sua confessione poi ritrattata (lo stesso fece suo marito). A entrambi ai fini della confessione furono fatte “pressioni e promesse” che, esaminate alla luce dei loro disturbi mentali emersi dalle recenti consulenze, furono tali da “coartare la loro volontà”. A Olindo sarebbe stato prospettato che non avrebbe più visto la moglie. “Olindo non conosce l’ordinamento penitenziario, non sa che un ergastolo non viene inflitto in cinque minuti”, ha detto l’avvocato Schembri. “All’epoca – ha detto il legale – non si capì con certezza quella forzatura psicologica, ma all’epoca nulla sapeva il giudice delle condizioni psiocopatologiche di Olindo e Rosa”.

Per gli inquirenti “Rosa è furba” mentre “non sa leggere né scrivere e Olindo lo sa e confessa; e così Rosa si adegua”. “Olindo cerca di salvare Rosa e Rosa cerca di salvare Olindo – ha detto il difensore -. Quando ritrattano vengono puniti: mentre prima si vedevano. Solo un giudice di Sorveglianza di Reggio Emilia ristabilirà i colloqui”. Il supertestimone Mario Frigerio, che si salvò nonostante una gravissima ferita alla gola e che riconobbe Olindo come aggressore prima parlò di una persona “con la pelle olivastra” che non conosceva e solo il 26 dicembre del 2010 affermò che era Olindo per ribadirlo in aula. Morì alcuni anni dopo le condanne. Quando fu sentito nel dicembre di quasi 18 anni fa era obnubilato dal monossido scatenato dall’incendio in casa Castagna ed era “cerebroleso” per via dell’aggressione e del fumo. Il suo fu “un falso ricordo”.

La difesa dichiaratamente ipotizza la pista alternativa del massacro avvenuto nell’ambito di un regolamento di conti nello spaccio di droga per il quale finì in carcere Azouz Marzouk, marito di Raffaella e padre di Youssef. “La Guardia di Finanza documentò oltre 400 cessioni” e c’è un testimone, un tunisino. che chiede sia sentito e che racconta dei pestaggi, degli accoltellamenti” nell’ambito di una faida tra tunisini e marocchini: “Ci dà un movente alternativo”, afferma convinta la difesa.

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Superbonus, partiti i primi recuperi sulle compensazioni della truffa miliardaria dei bonus

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Le truffe collegate al Superbonus non sono ancora emerse tutte ma l’attività di contenimento dei danni all’erario è partita. L’Agenzia delle Entrate ha iniziato ad inviare le prime contestazioni per recuperare le somme da chi ha cercato di pagare le imposte con crediti fasulli portati in compensazione. Intanto il Mef cala la scure sui bonus edilizi del passato: agevolazioni senza controlli preventivi non sono più compatibili con il nuovo quadro di norme europee sui conti pubblici. “Sono in corso verifiche fiscali sui crediti oggetto di compensazione, che stanno portando all’emissione di atti di recupero nei confronti dei responsabili”, ha detto il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, al termine dell’audizione sull’ultimo decreto Superbonus in commissione Finanze al Senato.

Sui bonus edilizi, ha spiegato, “abbiamo intercettato insieme alla Guardia di finanza truffe per circa 15 miliardi di euro: di questi, grazie ai nostri controlli preventivi, 6,3 miliardi di euro sono stati individuati e scartati prima che si realizzassero le frodi; 8,6 miliardi sono invece stati oggetto di decreti di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria”. La lotta alle truffe proseguirà, ma la dimensione del fenomeno Superbonus ha spinto il Tesoro a metterci un punto. “Misure agevolative automatiche, senza una preventiva autorizzazione, non sono più compatibili col nuovo quadro di finanza pubblica a seguito delle nuove regole di governance europea”, ha detto il direttore del dipartimento Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, nella stessa aula del Senato da dove Ruffini ha fornito i dati aggiornati sulle frodi, non tutte con ricadute per i contribuenti perché alcune sono state intercettate prima della compensazione. Spalletta ha spiegato che, da ora in poi, gli obiettivi di efficientamento energetico e di miglioramento del rischio sismico “devono tenere conto degli obiettivi di sostenibilità finanziaria nel medio-lungo periodo e della riduzione del debito pubblico sia nelle fasi congiunturali sia in ottica strutturale”.

Il Mef riflette su “una complessiva razionalizzazione delle norme in materia di agevolazioni edilizie”, in vista delle scadenze di fine anno. Non si potrà prescindere – ha spiegato Spalletta – da due lezioni frutto della recente esperienza. La prima, è che gli incentivi fiscali “devono essere congegnati evitando aliquote eccessivamente generose e prevedendo limitazioni più stringenti sui massimali di spesa, per ridurre comportamenti opportunistici ed effetti dirompenti”. La seconda lezione è che i crediti d’imposta dovranno essere “soggetti a procedure preventive di autorizzazione”, per consentire il monitoraggio della spesa e quindi l’impatto sulla finanza pubblica.

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Omicidio Ciatti, definitiva condanna a 23 anni di carcere per Rassoul Bissoultanov

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E’ definitiva la condanna a 23 anni di reclusione per Rassoul Bissoultanov, il cittadino ceceno accusato dell’omicidio di Niccolò Ciatti, il 22enne toscano morto nel corso di un pestaggio a Lloret de Mar in Spagna, nell’agosto 2017 in una discoteca. Lo hanno deciso i giudici della prima sezione di Cassazione accogliendo le richieste avanza dalla Procura generale.

La giustizia italiana arriva, dunque, ad un giudizio definitivo per l’uomo, attualmente latitante, che era stato condannato anche in Spagna a 15 anni nei primi due gradi di giudizio. Alla lettura della sentenza, arrivata dopo circa quattro ore di camera di consiglio, era presente anche Luigi Ciatti, padre della vittima, che non ha nascosto l’amarezza per il fatto che l’imputato è in stato di libertà. “Credo sia sia stata riconosciuta la colpevolezza di Bissoultanov.

Questo è il primo passo ma adesso va ricercato affinché vada in carcere perché purtroppo Niccolò non può fare quello che fa lui e non è giusto”, ha affermato lasciando gli uffici della Cassazione. Bissoultanov venne estradato in Italia nel dicembre 2021 dalla Germania. E’ tornato libero alcune settimane dopo alla luce di una istanza, accolta dai giudici, su un difetto di procedura. Da quel giorno di lui si sono perse le tracce. Nel corso della requisitoria il procuratore generale ha ricostruito la drammatica vicenda affermando che l’imputato è un uomo esperto di arti marziali “consapevole della sua forza, che ha messo in atto la sua azione nei confronti di una persona inerme e indifesa”.

Non sussistono, a detta del pg, i crismi dell’omicidio preterintenzionale in quanto Ciatti venne colpito da un secondo colpo mentre era intento a rialzarsi dopo il primo pugno ricevuto. Come ricostruito dagli inquirenti il 22enne toscano venne colpito con un calcio “quando era del tutto indifeso e inoffensivo – scrissero i giudici di primo grado nella sentenza poi confermata in appello – ancora stordito per il pugno ricevuto, in violazione di ogni più elementare regola di combattimento che fin da epoca antica proibisce di colpire l’avversario a terra”. Proprio la conoscenza approfondita “della lotta da combattimento consentiva all’imputato di avere piena consapevolezza della potenzialità letale del calcio”

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