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Cronache

Patto tra Stato e detenuti che hanno messo a ferro e fuoco le carceri facendo morire 14 persone: a giorni migliaia di scarcerati

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Proviamo a riassumere con i numeri, senza chiacchiere, quanto accaduto in 48 ore di rivolta in 27 istituti penitenziari d’Italia. I detenuti morti sono 14: 10 nel carcere di Modena; 4 nel penitenziario di Rieti. Ci sono molti evasi ancora da riarrestare.  Molti di voi si saranno chiesti “ma perchè con 14 morti nessun si dimette?”, “ma perché questa storia è stata presa così sotto gamba dai media o comunque non riceve l’attenzione che merita?”. Può non piacere la nostra risposta, ma è questa.

I morti sono marocchini e tunisini. Erani tutti tossicodipendenti. Sono stati usati come carne da macello dai boss che volevano essere “ascoltati” dallo Stato. Appena questi derelitti sono arrivati nelle infermerie hanno fatto incetta di psicofarmaci che hanno ingurgitato. Si sono praticamente suicidati. Chi volete che parli di drogati tunisini e marocchini che si sono suicidati? Noi di Juorno.it ne parliamo. Sono esseri umani. E parliamo anche della credibilità dello Stato.

I danni nelle carceri, secondo quanto riferisce il Sindacato di Polizia Penitenziaria, ammontano a 35 milioni di euro. Il carcere di Modena è stato distrutto. Va ricostruito. Quello di Foggia devastato. Danni per centinaia di migliaia di euro in tutti gli istituti di pena. Non sappiamo se la cifra che fornisce il SSP è giusta, ma di certo siamo in presenza di danni per milioni di euro. Molte delle sezioni delle carceri sono andate completamente distrutte e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, secondo quanto riferisce Garante nazionale dei diritti dei detenuti “valuta una riduzione di circa 2 mila posti per lavori da eseguire con urgenza”. Cioè, se non capiamo male la lingua italiana, duemila persone, a prescindere dalle decisioni del Parlamento, devono lasciare il carcere per consentire di fare lavori indifferibili ed urgenti. Questo è quanto riferisce il Garante nazionale dei diritti dei detenuti. “Le rivolte degli ultimi giorni hanno anche determinato – ci spiega il garante –  una movimentazione consistente delle persone ristrette lungo la Penisola, a cui hanno corrisposto decisioni di tipo diverso delle Autorità regionali degli istituti di arrivo circa l’accettazione delle persone trasferite (in alcuni casi rifiutate) o l’obbligatoria loro collocazione in situazione di isolamento sanitario preventivo, soprattutto se provenienti da talune aree colpite dalla maggiore diffusione del virus”.

Il ragionamento del Garante ci fa capire che al Dap c’è chi fa un po’ di conti e pensa di sfollare le carceri. Tanto per andare incontro alle “richieste” (si fa per dire) sindacali dei boss detenuti. E allora in Parlamento, dove sono alle prese con l’emergenza coronavirus, si fa strada l’ipotesi di “svuotare” il più possibile le carceri per renderle meglio controllabili dalla polizia penitenziaria. E per andare incontro, anche, alle richieste dei detenuti che, in una certa misura, legittimamente, hanno timore del contagio da coronavirus.

E allora quali sono le ipotesi su cui discute la politica? E sulla base di quali ragionamenti la politica, i parlamentari, ne discutono? le argomentazioni sono essenzialmente due. Una prima argomentazione è quella sotto gli occhi di tutti. Il Parlamento è sotto ricatto dei detenuti. Se non si fa qualcosa i detenuti continueranno a protestare. E se continuano a protestare, o si manda l’Esercito e si dichiara lo Stato di emergenza, o questi detenuti prenderanno facilmente possesso di tutte le strutture penitenziarie. Hanno già dimostrato di poterlo fare in ogni momento. Le carceri le deve controllare lo Stato e le rivolte, devono capire i carcerati, appena cominciano vengono represse. E la repressione avviene con le buone maniere o con la violenza dello Stato. Perchè è lo Stato che ha il monopolio della violenza, non le organizzazioni criminali che imperano anche dietro le sbarre. Insomma lo Stato deve dire a questi signori che fanno i registi della rivolta “nessun incontro, nessun patto”. Lo Stato comanda. E lo Stato con umanità vi dice quello che dovete fare.

Ministro della Giustizia. Alfonso Bonafede.

La seconda argomentazione dei detenuti appare essere quella più nobile, anche se quella ignobile è prevalente.  Ad oggi, nelle carceri italiane ci sono 4 detenuti positivi al COVID-19. In più un detenuto è ricoverato in ospedale da mesi, pare sempre affetto da covid-19. Gli agenti positivi al coronavirus sono 9. Di cui due in terapia intensiva, due ricoverati in ospedali per malattie infettive e cinque sono a casa in isolamento preventivo, quarantena. Ci sono, inoltre, due medici penitenziari ed un infermiere contagiati, anche loro a casa perchè pazienti asintomatici. Questi dati sul contagio non li fornisce il Dap (Dipartimento amminstrazione penitenziaria) ma sono numeri che ci vengono dati dal Sindacato di polizia penitenziaria.

Ora dalle indiscrezioni che raccogliamo nel mondo della politica e dalle dichiarazioni pubbliche che abbiamo registrato, ci sembra di capire che questo Parlamento, a brevissimo, è intenzionato a licenziare qualche provvedimento normativo che andrà a incidere sul numero dei detenuti ristretti. Sarà l’indulto? Sarà l’amnistia? Non lo sappiamo quello che sarà. Abbiamo capito che sarà l’ennesimo provvedimento “svuotacarceri”. Ed è il provvedimento che vogliono i detenuti che hanno pensato, organizzato e realizzato la rivolta in tutte le carceri. Sono quelli che hanno poi parlato con i rappresentanti dello Stato (magistrati, questori, prefetti) che a loro volta hanno informato il ministro della Giustizia circa alcune rivendicazioni. Dunque, posto che la popolazione carceraria deve scendere di numero, nei prossimi giorni toccherà capire che cosa deciderà il Parlamento. Le idee sono due. La prima è quella più semplice: fuori dal carcere quelli che sono a 3/4 anni dal fine pena. Eccetto, si spera, quelli che si sono macchiati di reati di sangue o di natura associativa. La seconda ipotesi è quella, definiamola pure umanitaria. Fuori dal carcere, ai domiciliari, tutti quelli che sono immonudepressi, hanno più di 70 o 75 anni, non sono mafiosi, non hanno commesso reati di sangue e non sono pericolosi socialmente. Un provvedimento in questo caso che prenderebbe in considerazione di metterli ai domiciliari per ragioni sanitarie ed umanitarie. Finita l’emergenza magari tornerebbero in cella. Quale che sia la scelta che farà il Parlamento, sarà un colpo, l’ennesimo, a quella barzelletta che i giuristi chiamavano una volta, “certezza della pena”. In Italia, purtroppo, l’unica cosa certa è che delinquere significa spesso farla franca. Abbiamo chiesto al segretario del Sindacato di Polizia penitenziaria, Aldi Di Giacomo, di commentare il dibattito post rivolta nelle carceri. E lui ci ha inviato questa dichiarazione, che fedelmente vi offriamo.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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