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Parlamento ucraino vieta la Chiesa ‘legata a Mosca’

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Kiev la loda come “una legge sull’indipendenza spirituale” dell’Ucraina dalla Russia. Mosca la condanna come un provvedimento per “distruggere alla radice la vera Ortodossia canonica”. Il Parlamento ucraino ha approvato una bozza di legge che punta a vietare quel ramo della Chiesa ortodossa fino a un paio d’anni fa ufficialmente legato al Patriarcato di Mosca, a sua volta considerato molto vicino al Cremlino. Una decisione adottata con 265 voti a favore e 29 contrari. E sulla quale pesa chiaramente la guerra tra Russia e Ucraina. Le autorità di Kiev dicono infatti di sospettare che alcuni membri di questa Chiesa possano collaborare con la Russia. Ma il gruppo nega fermamente. E nel maggio del 2022 ha annunciato di aver preso le distanze dalla Chiesa russa dopo che il Patriarca Kirill – un fedelissimo di Putin – ha appoggiato apertamente l’invasione ordinata dal Cremlino. La mossa di Kiev è stata duramente criticata dal governo russo.

“L’obiettivo qui è quello di sradicare il vero Cristianesimo ortodosso canonico e sostituirlo con una parodia, una falsa Chiesa”, ha dichiarato la portavoce della diplomazia, Maria Zakharova. Un’aspra condanna è stata pronunciata anche dal Patriarcato di Mosca, che per bocca dell’arciprete Nikolai Balashov ha parlato di “una persecuzione” e di “un’evidente violazione dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale”. Balashov è un consigliere del Patriarca Kirill, considerato tanto vicino a Putin che in passato è arrivato a definire il suo governo “un miracolo di Dio”. Il capo della Chiesa ortodossa russa in questi anni ha tentato più volte di giustificare l’aggressione contro l’Ucraina e ha persino imposto una preghiera in cui si chiede al Signore di condurre la Russia verso “la vittoria”. Tutt’altra la reazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che dovrà apporre la propria firma sul documento per farlo diventare legge: “È stata adottata una legge sulla nostra indipendenza spirituale”, ha detto, mentre la deputata Iryna Gerashchenko parlava di un voto “storico”.

Alla fine del 2022, i servizi di sicurezza ucraini hanno perquisito diverse parrocchie e l’antico Monastero delle Grotte di Kiev sostenendo di avervi trovato “letteratura che nega l’esistenza del popolo ucraino, la sua lingua, nonché il diritto stesso dell’Ucraina allo Stato”. Le autorità di Kiev hanno lanciato decine di procedimenti penali contro sacerdoti della Chiesa ortodossa prima dipendente dal Patriarcato di Mosca, in alcuni casi anche con accuse di “tradimento”, sottolinea la Reuters. Il metropolita Klymentiy, riporta sempre l’agenzia, ribatte però che la Chiesa di cui è portavoce non ha alcun legame con “centri stranieri” e ha criticato il disegno di legge definendolo uno strumento per prendere di mira le proprietà del gruppo religioso. In Ucraina c’è anche un’altra Chiesa ortodossa, alla quale il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo ha concesso nel 2019 l’autocefalia esaudendo i desideri dell’allora presidente ucraino Petro Poroshenko ma scatenando la rabbia del Cremlino. Quello stesso anno, Poroshenko si presentò alle presidenziali sotto lo slogan “Esercito, lingua, fede”, ma non riuscì comunque a superare Zelensky.

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Zelensky: parlerò con Putin solo con un piano Usa-Ue

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A quasi tre anni dall’inizio dell’invasione russa Volodymyr Zelensky è disposto a incontrare Vladimir Putin – e nessun altro russo – ma solo per presentargli il piano elaborato con Stati Uniti e Ue “insieme”, perché – ha ribadito il presidente ucraino – l’unità degli alleati è “un messaggio” per lo zar e la prima garanzia di sicurezza per Kiev. Al momento però, ha sottolineato Zelensky a Monaco prima di incontrare il vicepresidente americano JD Vance, “non vedo pronto un piano degli Stati Uniti”. “Vogliamo una pace duratura, che non porti un’altra guerra nell’Europa orientale in pochi anni”, gli ha assicurato il numero due della Casa Bianca nel faccia a faccia in Baviera.

La telefonata di Donald Trump a Putin ha di certo smosso le acque del conflitto in Ucraina e dato la stura a diverse ipotesi e previsioni di quello che potrebbe essere un accordo per il cessate il fuoco. Il tycoon ha riferito a Zelensky che anche “Putin vuole mettere fine alla guerra”, ma il leader ucraino non si fida: “Gli ho spiegato che è un bugiardo”, ha detto. Trump, al contrario, “è un uomo forte. E se sceglierà di stare dalla nostra parte, e non nel mezzo, potrà spingere Putin a fermare la guerra”, ha aggiunto Zelensky, riferendo che il presidente gli ha dato il suo numero di telefono personale. Il timore del leader ucraino è infatti quello di essere scavalcato e che un accordo con Mosca venga raggiunto senza tenere in considerazione le sue richieste.

Del resto, Washington avrebbe già messo sul piatto della trattativa l’esclusione di Kiev dalla Nato (“Gli Usa non ci hanno mai voluti”, ha constatato Zelensky) e la rinuncia ai confini precedenti il 2014, l’anno dell’annessione russa della Crimea. Ma, ha avvertito il leader di Kiev nel tentativo di convincere gli alleati, Putin va fermato perché non si accontenterà dell’Ucraina: secondo le sue fonti di intelligence, lo zar “sta preparando la guerra contro i Paesi della Nato l’anno prossimo”.

“Questo è quello che penso, non lo so, non ho il 100%” delle informazioni”, ha poi smussato. “Ma Dio ci benedica, fermeremo questo pazzo”. Prima di incontrare Zelensky, Vance ha a sua volta lanciato un monito a Putin: se Mosca non negozierà in buona fede, gli Usa useranno tutti i “mezzi di pressione” che hanno a disposizione, quelli economici, come le sanzioni, e quelli militari. L’Ucraina deve avere “l’indipendenza sovrana”, ha chiarito il vicepresidente al Wall Street Journal, senza escludere l’invio di truppe americane sul terreno. Dichiarazioni che hanno subito fatto drizzare le antenne al Cremlino che, ha fatto sapere, attende “spiegazioni ulteriori” sulle minacce di Vance. Anche l’Unione europea, spiazzata dall’accelerazione imposta dalla telefonata di Trump ma in qualche modo rabbonita da Vance (l’Ue sarà “ovviamente” coinvolta nei negoziati di pace), ribadisce “il sostegno costante e stabile” all’Ucraina.

“Accelereremo i lavori per la vostra adesione all’Ue”, hanno assicurato Ursula von der Leyen e Antonio Costa nell’incontro con il presidente ucraino. Mentre l’alto rappresentante Kaja Kallas ha fatto un passo avanti: “I 27 Paesi Ue, o altri Paesi, che si dicono a favore delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina ora devono anche dire se sono pronti a inviare truppe e quante”. In serata Zelensky rende noto un colloquio telefonico con Giorgia Meloni: “ho ringraziato l’Italia per il suo completo supporto all’Ucraina. L’ho informata dei miei recenti contatti con l’amministrazione statunitense”. Scrive su X e sottolinea.

La presidente del Consiglio, spiega una nota di Palazzo Chigi, “ha riaffermato il sostegno dell’Italia all’Ucraina e al popolo ucraino anche in vista dei futuri colloqui ed entrambi hanno concordato sull’importanza di mantenere uno stretto coordinamento con i partner europei e gli Stati Uniti”. Per Zelensky, “non importa da quale Paese vengano le forze”: il punto è che, senza l’adesione alla Nato, la vera garanzia di sicurezza per evitare il rischio di una nuova aggressione russa è rafforzare l’esercito ucraino, che dovrà raddoppiare le brigate e arrivare a contare “1,5 milioni di militari”, con il contributo economico degli alleati. “Poi, se volete venire e morire… prego”, ha risposto il presidente ucraino a una domanda in merito, gelando la platea dell’Hotel Bayerischer Hof. Sul piatto dei colloqui con gli Usa, ci sono poi quelle terre rare di cui l’Ucraina è ricca e che Trump vuole in cambio dei miliardi spesi per finanziare la guerra contro la Russia. Secondo i media ucraini, Kiev ha finalizzato una bozza di accordo per garantire agli Stati Uniti l’accesso alle riserve per un valore di 500 miliardi di dollari. “I Paesi che ci sostengono avranno priorità sugli investimenti”, ha assicurato Zelensky, avvertendo tuttavia che “non firmerà” qualsiasi cosa.

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Telefonata di Zelensky alla Meloni: Europa sia nei negoziati

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“Ho avuto una colloquio telefonico con la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni e ho ringraziato l’Italia per il suo completo supporto all’Ucraina. L’ho informata dei miei recenti contatti con l’amministrazione statunitense, incluso il mio incontro con il Vicepresidente JD Vance e la mia chiamata con il Presidente Trump”. Lo riferisce Volodymyr Zelensky su X. Nel suo post Zelensky ha anche sottolineato: “L’Europa deve partecipare a pieno titolo ai negoziati di pace e agli sforzi per prevenire guerre future”.

“Abbiamo discusso del coordinamento con i partner su efficaci garanzie di sicurezza per l’Ucraina e possibili quadri per garantire la sicurezza a lungo termine. Ho sottolineato che la garanzia più forte e conveniente è l’adesione alla Nato. Finché l’Ucraina non riceverà un invito, è fondamentale che i nostri partner sostengano lo sviluppo del nostro esercito forte e moderno, dei sistemi di difesa aerea, delle capacità a lungo raggio e di una flotta capace. Ho anche sottolineato che prima di qualsiasi negoziazione, Europa, Stati Uniti e Ucraina devono coordinare una strategia di difesa e sicurezza unificata con un chiaro piano d’azione. L’Europa deve partecipare a pieno titolo ai negoziati di pace e agli sforzi per prevenire guerre future”, ha sottolineato.

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Von der Leyen, ‘le spese per la difesa fuori dal Patto’

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Gli Usa alzano la voce, l’Unione Europea capitola davanti alla realtà: i 27 dovranno spendere di più nel settore militare. Molto di più. La presidente dell’esecutivo blustellato, Ursula von der Leyen, si è presentata dunque alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco con un annuncio in tasca: “Abbiamo bisogno di un approccio coraggioso, proporrò dunque di attivare la clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa”. Gli Stati membri, insomma, potranno mettere mano al portafoglio senza incorrere nelle ire di Palazzo Berlaymont. La mossa di von der Leyen ha incassato subito la “soddisfazione” di chi chiede da tempo lo scorporo delle spese per la difesa dai vincoli di bilancio, a cominciare da Giorgia Meloni. “Si tratta di un primo, fondamentale passo nella giusta direzione, che dovrà essere seguito anche dall’istituzione di strumenti finanziari comuni”, ha comunicato Palazzo Chigi.

La possibilità che ogni singolo Paese spenda di più per conto proprio non basta, è il ragionamento di quelle capitali che hanno un alto debito e dunque minimo spazio di bilancio. La Commissione lo sa. “Abbiamo bisogno di un approccio europeo nel definire le nostre priorità di investimento, che consenta d’investire in progetti di difesa molto necessari e di comune interesse europeo”, ha aggiunto von der Leyen. L’obbligo di andare “oltre il 3% del Pil” – finalmente metabolizzato dopo la ministeriale Nato, in cui il capo del Pentagono Pete Hegseth ha terrorizzato gli alleati – genererà “centinaia di miliardi” di risorse da mettere a terra e sarà dunque imperativo che l’Ue trovi un modo per far fruttare gli investimenti, senza sprechi e duplicazioni.

Il Libro Bianco per la difesa – che verrà presentato fra circa un mese – sarà chiamato a proporre alcune soluzioni. Non ci saranno però assegni in bianco. “Naturalmente – ha detto von der Leyen – l’aumento delle spese avverrà in modo controllato e condizionato e proporremo anche un pacchetto più ampio di strumenti ad hoc per affrontare la situazione specifica di ciascun Paese, dall’attuale livello di spesa per la difesa alla situazione fiscale”. Al netto della svolta, si devono comprendere meglio i dettagli. Ci sono infatti due tipi di clausole di salvaguardia previste dal Patto di stabilità e crescita utilizzabili in questo caso. Da una parte quella “generale” – con una deroga per tutti all’applicazione delle regole – e dall’altra quella “nazionale”, dove in pratica ogni Paese fa per sé. Con le nuove regole, arrivate dopo il Covid, la clausola generale può essere attivata per una “grave recessione” e “quindi legalmente l’uso non sarebbe proprio appropriato”, affermano fonti a Bruxelles con un’approfondita conoscenza della materia. Più realistica appare invece l’attivazione della clausola nazionale. L’apertura di von der Leyen – seppure già ipotizzata dopo il ritiro informale dei leader sulla difesa – è destinata a generare più di un mal di pancia.

“Ci vorrà un po’ ai frugali per digerirla”, è stata la battuta di un diplomatico europeo. Si tratta pur sempre di una eccezione alle regole, è il ragionamento che si raccoglie del resto proprio tra i frugali, secondo i quali, considerate le attuali circostanze, consentirebbe però di far affrontare la spesa direttamente agli Stati, e sarebbe quindi preferibile rispetto all’idea di creare un fondo Ue. Una simile deroga al Patto necessiterà dell’approvazione in seno al Consiglio Ue. Ma anche all’interno dei singoli Paesi è destinata a fare rumore. In Italia, Fi e Fdi l’hanno applaudita con nettezza. I Verdi italiani hanno invece anticipato un argomento sul quale potrebbero convergere, con variabile convinzione, anche il M5S e il Pd. “E’ grave che l’Ue parli di investimenti pubblici solo per il riarmo e non per settori chiave come le crescenti emergenze sociali e ambientali e la transizione ecologica, dai quali dipende il presente e il futuro di cittadine e cittadini”, hanno sottolineato gli eurodeputati ecologisti.

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