Aveva solo 35 anni Anna Siena, la ragazza napoletana deceduta lo scorso 18 gennaio all’ospedale Vecchio Pellegrini. L’autopsia ha confermato il terribile sospetto: Anna avrebbe potuto essere salvata, se i medici l’avessero visitata adeguatamente sottoponendola ad un’ecografia. La ragazza era incinta ma non ne era a conoscenza: una gravidanza criptica. Secondo il referto, Anna è morta per una necrosi sviluppatasi dopo la morte di quel feto che non aveva idea di portare in grembo.
Martedì 15 gennaio 2019: Anna Siena si reca al pronto soccorso accusando forti dolori alla schiena e all’addome. I medici la visitano con negligenza e superficialità, diagnosticandole una lombosciatalgia. Dopo tre giorni, il 18 gennaio, una nuova corsa all’ospedale: i dolori si sono fatti insopportabili. Anna entra in rianimazione intorno alle 5 del mattino, ne uscirà dopo due ore, senza vita. La sorella di Anna, Olga, trova la forza per raccontarci la sua verità su questa vicenda e per chiedere giustizia, affinché episodi di malasanità come questo non si verifichino ancora.
Anna Siena. È morta a 35 anni tra dolori lancinanti dopo essere stata ricoverata e dimessa dal Vecchio Pellegrini. Era incinta ma non se n’erano accorti
Olga che cosa ha rilevato l’autopsia?
Intanto lasciatemi dire che l’autopsia è stata effettuata soltanto dopo 15 giorni perché molti dottori si sono dichiarati conoscenti dei medici del Pellegrini e non hanno voluto effettuarla. Poi un medico di coscienza gliel’ha fatta. Il risultato del medico legale è stato che mia sorella era incinta, una gravidanza criptica di otto mesi; infatti non le era cresciuta la pancia, non aveva messo su chili, aveva regolarmente il ciclo. L’autopsia ha chiarito che Anna in quei giorni era in travaglio; la bimba è morta con i giri di cordone ombelicale intorno al collo, è morta soffocata.
Anna poteva essere salvata?
Secondo l’autopsia, con gli esami del sangue la gravidanza non sarebbe stata scoperta, ma con un’ecografia o anche solo con una palpazione addominale i dottori se ne sarebbero accorti senza dubbio. Il medico legale ci ha spiegato che, semplicemente toccando l’addome di Anna, prima di procedere con l’autopsia, aveva intuito che c’era qualcosa che non andava. Allo stesso modo se ne sarebbero accorti i medici, se il primo giorno l’avessero visitata in modo adeguato.
Come si spiega l’atteggiamento dei medici?
Non so spiegarmi questo atteggiamento. Credo ci fosse una dottoressa in turno quel giorno. Ma c’era solo mia madre. Se ci fossi stata io non so cosa avrei potuto combinare. È una situazione intollerabile, io vengo in ospedale, quasi ti supplico per un’ecografia e tu mi rispondi in modo arrogante; mia madre si è anche vergognata, pensava di essere in errore ad insistere. L’ultima volta che ho visto mia sorella è stata la sera prima, in videochiamata. Un appuntamento fisso con i bimbi.
Anna Siena. L’autopsia è stata eseguita 15 giorni dopo il decesso
C’è qualcosa che vuole dire?
Io spero soltanto che la giustizia faccia il suo corso, ma ho poche speranze, purtroppo in Italia funziona così. Spero di poter avere giustizia, anche per salvare altre persone che potrebbero trovarsi nella stessa situazione. In quell’ospedale sta succedendo di tutto in questo periodo. Le racconto un’altra cosa: mio zio è andato in ospedale perché aveva problemi ad urinare, gli hanno fatto un’ecografia e non gli hanno trovato niente. Quando è tornato a casa, sua sorella ha chiamato l’infermiere per fargli mettere il catetere. L’infermiere gli ha tolto un calcolo, ma dall’ecografia il medico non se n’era accorto. Sempre al Pellegrini. Purtroppo è l’ospedale più vicino a casa, per le emergenze siamo costretti ad affidarci a loro.
Come procedono le indagini?
Il nostro legale, Angelo Pisani, ci ha detto che ci vorrà tempo, intanto abbiamo avuto conferma delle responsabilità dei medici: con un cesareo d’urgenza, una pulitura di utero, anche se la bimba era morta, mia sorella poteva essere salvata.
Non si ferma la polemica nel piccolo paese di Terricciola (Pisa) per la coesistenza in giunta comunale di sindaco e assessora conviventi, nonché genitori di una bambina di 18 mesi. Ora, come riportano La Nazione e il Tirreno, il sindaco Mirko Bini ha comunicato al consiglio comunale di avere respinto le dimissioni e ridato le deleghe all’urbanistica e ai lavori pubblici a Giulia Bandecchi, inoltre a fine seduta le ha pure lanciato una promessa di matrimonio.
“Giulia ha svolto bene il suo lavoro e per questo non c’è nessun motivo per cui non debba riprendersi le deleghe”, ha detto il sindaco Bini, aggiungendo “Il matrimonio tra noi? Magari dopo il 9 giugno”, data delle amministrative. I due non sono sposati e vivono insieme con la bambina. Un’interrogazione parlamentare del deputato di FdI Francesco Michelotti, stimolato dall’opposizione locale, ha chiesto se la situazione di sindaco e assessora che stanno insieme e hanno una bimba, sia corretta dato il legame fra i due, tirando in ballo anche lo statuto comunale e il Testo unico degli Enti Locali. Giulia Bandecchi ha dato dimissioni “il 7 marzo – come ricorda lei stessa – perché non volevo creare problemi all’ente”.
Mirko Bini, ricordando che “tra noi non c’è coniugio e non siamo affini”, ha anche detto che Giulia Bandecchi “ha lavorato con impegno e competenza al Piano operativo comunale, ho ritenuto giusto che potesse concludere questo lavoro”. Non è d’accordo ‘Terricciola sicura’: “Per farla semplice – dice la consigliera d’opposizione Elena Baldini – una coppia che vive sotto lo stesso tetto non può ricoprire il ruolo di sindaco e assessora nel solito Comune. Non accade in alcun Comune italiano. La legge dice che non si può fare”. Bini e Bandecchi si erano posti il problema già da tempo, in precedenza avevano chiesto anche un parere al segretario comunale ma, afferma Giulia Bandecchi al Tirreno, “c’è stato sempre detto che non ci sono problemi rispetto alla legge” e “la bambina non l’ho mai nascosta a nessuno, l’ho anche portata in questa sala del consiglio comunale”.
Il pm della Procura dei Minori ha chiesto 20 anni di carcere per il 17enne imputato dell’omicidio di Giovanbattista Cutolo, il giovane musicista ucciso la sera del 31 agosto scorso a Napoli. Si attende ora la decisione del giudice.
Il pubblico ministero presso il Tribunale dei Minorenni di Napoli Francesco Regine ha chiesto venti anni di reclusione, il massimo della pena considerato il rito abbreviato, al termine della sua requisitoria al processo per l’omicidio di Giovanbattista Cutolo, il giovane musicista 24enne ucciso all’alba dello scorso 31 agosto, in piazza Municipio, a Napoli, durante una lite scoppiata per uno scooter parcheggiato male.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, comparirà il 2 luglio in Tribunale a Sassari come parte offesa nel processo in corso contro due sassaresi, padre e figlio di 73 e 40 anni, accusati di aver pubblicato su un sito internet pornografico statunitense dei video contraffatti apponendo il volto della premier sui corpi dei protagonisti di scene hard. Nel procedimento la presidente si è costituita parte civile e nell’udienza filtro che si è tenuta questa mattina è stata convocata a deporre in aula per il 2 luglio. La premier, rappresentata dall’avvocata Maria Giulia Marongiu, ha chiesto un risarcimento danni di 100 mila euro.
Una richiesta che, è stato spiegato dall’avvocata in una precedente udienza, “vuole essere un messaggio rivolto a tutte le donne vittime di questo genere di soprusi a non avere paura di denunciare”. Il risarcimento, è stato annuciato, sarà devoluto al fondo del ministero dell’Interno per le donne vittime di violenza. Il tribunale di Sassari procede con rito ordinario solo nei confronti del 40enne imputato per i video contraffatti; per il padre 73enne, l’avvocato difensore Maurizio Serra, ha chiesto la messa alla prova e il giudice deciderà la prossima settimana se accogliere la richiesta.
Le indagini sui video fasulli e diffamatori, condotte dalla Polizia postale di Sassari, sono iniziate nel 2020. Gli investigatori, tramite il nickname utilizzato da chi aveva pubblicato i video sul sito internet, sono risaliti all’utenza telefonica da cui erano partiti i dati e sono riusciti a identificare i presunti autori della contraffazione. Secondo le accuse della Procura, il 40enne aveva modificato dei filmati pornografici e, utilizzando dei software specifici per la manipolazione grafica dei video, aveva apposto il volto di Giorgia Meloni sui corpi delle attrici hard. I video restarono in rete parecchi mesi, raccogliendo milioni di visualizzazioni in tutto il mondo.