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Parla il pm Sirignano: l’arma delle mafie per liberarsi di chi la sfida e la sconfigge è la delegittimazione

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Cesare Sirignano, sostituto procuratore nazionale antimafia. Da una vita combatte contro le mafie, in primis il clan dei casalesi ma non solo. A lui si devono intuizioni investigative importanti che han portato la magistratura a scovare, portare alla sbarra e a condanne pesanti esponenti di clan siciliani e campani che gestivano i principali mercati ortofrutticoli del centro sud. Oggi facciamo due chiacchere con lui, con Cesare Sirignano.

La lotta alla mafia oggi… A che punto siamo?

Siamo ancora in un tunnel particolarmente difficile da attraversare ma che lascia intravedere una luce. Certamente v’è maggiore consapevolezza nella  società civile del fenomeno mafioso e delle diverse forme in cui si manifesta in tutte le regioni di Italia. Tuttavia il percorso è ancora lungo e richiede un ulteriore sforzo dello Stato e delle persone  che si vogliono liberare delle mafie.  Sul piano legislativo l’Italia si è dotata di strumenti particolarmente incisivi che consentono di aggredire il patrimonio dei mafiosi e dei cosiddetti colletti bianchi e di proteggere testimoni e collaboratori di giustizia. Le risorse umane ed economiche destinate al contrasto delle mafie ed a rendere effettivo il controllo di legalità sono limitate e certamente inadeguate a soddisfare le istanze di giustizia e di sicurezza che provengono da più parti del territorio nazionale malgrado gli sforzi profusi dagli addetti ai lavori. La cultura della legalità si sta diffondendo nel Paese anche per l’impegno encomiabile del mondo delle associazioni troppo spesso lasciate da sole a combattere una guerra impari con organizzazioni criminali ramificate e pericolose. I risultati in termini di sequestri e condanne lasciano ben sperare per il futuro. Senza il contributo di tutte le parti integre della società e delle istituzioni le mafie non arretreranno e gran parte dell’economia legale ne risulterà irrimediabilmente inquinata attraverso l’immissione di  capitale mafioso nel circuito con conseguente alterazione delle regole della libera  concorrenza e sofferenza delle imprese e figure professionali che non si sono piegate allo strapotere economico delle organizzazioni criminali.  

Le mafie straniere: quanto pesano e che problematiche comportano?

Nel corso degli ultimi anni le mafie straniere si stanno rafforzando sensibilmente in molte aree del Paese specializzandosi in alcune attività criminali particolarmente redditizie con il beneplacito  o tolleranza delle organizzazioni criminali autoctone. Traffico di migranti, tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione, traffico di droga e caporalato, rappresentano stabili fonti di sostentamento delle diverse organizzazioni criminali, in alcuni casi anche mafiose. Negli ultimi anni alcune decine di collaboratori di giustizia di origine nord africani stanno fornendo un rilevante contributo dichiarativo sulla struttura e sulla operatività delle mafie straniere nei diversi settori consentendo di acquisire informazioni particolarmente importanti soprattutto per la individuazione delle organizzazioni e per una prima mappatura delle loro presenza in Italia. Il contrasto alle mafie straniere si presenta difficile. La Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, infatti, nell’analizzare il fenomeno nel suo complesso attingendo le informazioni necessarie a valutarne l’entità e la sua diffusione nel territorio nazionale, ha rilevato una serie di criticità nell’azione di contrasto che depotenziano gli straordinari strumenti adottati dal legislatore per i reati riconducibili al crimine organizzato di stampo mafioso ed applicabili anche al  reato di tratta di esseri umani ed a quelli di riduzione in schiavitù e collegati.

Un lavoro straordinario ma anche straordinarimaneto difficile quello che sta svolgendo la Direzione Nazionale Antimafia.

La Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo da diversi anni promuove attività di coordinamento con le Autorità straniere impegnate nel contrasto dei fenomeni criminali con caratteri di trans-nazionalità nella convinzione della necessità di una più profonda conoscenza degli aspetti critici della cooperazione e dei diversi sistemi giudiziari dei Paesi con i quali ci si deve necessariamente confrontare. Come descritto nelle relazioni annuali della DNA, l’Italia si pregia di aver affrontato il complesso tema della tratta di esseri umani in tutti i suoi aspetti essenziali  adottando una strategia complessiva fondata su quattro pilastri e precisamente sulla repressione, prevenzione, assistenza e protezione recependo, in tempi relativamente brevi, tutte le richieste proveniente dagli organismi internazionali. D’altra parte l’imponente flusso migratorio proveniente da zone povere ed in guerra ha costretto l’Italia a fare i conti con organizzazioni criminali straniere  strutturate e pericolose almeno come quelle autoctone ed a sviluppare una capacità di contrasto adeguata alla complessità e pericolosità  del fenomeno. Da una valutazione generale delle indagini svolte in Italia si colgono anche i motivi della più volte constatata sproporzione tra le dimensioni del fenomeno e le condanne per reati di tratta e connessi. Ci si riferisce in particolare:

-alla difficoltà di identificazione delle vittime dei delitti tradizionalmente riconducibili alle organizzazioni straniere quali lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di esseri umani, il caporalato, e alla loro scarsa collaborazione una volta individuate;

-alle esiguità delle risorse sia in termini di mezzi che di uomini da destinare alle indagini sulla mafia straniera, in larga parte già utilizzate per rendere quanto più efficace possibile il contrasto  alle organizzazioni criminali autoctone di stampo mafioso presenti in tutto il territorio nazionale; 

-alla carenza di interpreti che nei procedimenti in cui vengono attivate intercettazioni telefoniche od ambientali siano in grado di decodificare i dialetti utilizzati dagli indagati e/o di assolvere alla loro imprescindibile e importante funzione di traduttori in modo affidabile e rassicurante per le vittime; 

-alla difficoltà di utilizzare gli efficaci strumenti di contrasto al patrimonio criminale previsti dall’ordinamento italiano. Le organizzazioni criminali dedite alla tratta investono i proventi derivanti dalla attività delittuosa in altri Paesi con le modalità tipiche delle organizzazioni mafiose ed attraverso forme di trasferimento del denaro particolarmente sofisticate e di difficile accertamento.

-alla  difficoltà di ottenere risposte tempestive dalle autorità dei paesi di origine degli associati soprattutto se dei paesi nord africani.

Cesare Sirignano. Nella foto assieme al giudice Riello e al pm Maresca

Un settore particolare: quello dei rifiuti.
Quanto incide oggi l’attività della DNA nel contrasto alle infiltrazioni mafiose e quanto ancora si può fare?

La DNA svolge un importante ruolo di coordinamento e di impulso delle indagini in materia di rifiuti, uno dei settori da sempre al centro degli interessi delle diverse organizzazioni mafiose. Le mafie hanno abbandonato da tempo le strategie di contrasto e di contrapposizione ed hanno siglato accordi per la gestione di alcuni servizi e settori nevralgici. Il trasporto su gomma, ad esempio, rappresenta senza alcun dubbio una delle attività in cui gli affari vengono gestiti da più organizzazioni criminali in piena sintonia tra loro. Nel corso degli ultimi anni sono stati realizzati importanti passi in avanti nel settore dei rifiuti sia attraverso una gestione più oculata e trasparente degli appalti sia mediante una rete di controlli anche preventivi per verificare le eventuali infiltrazioni delle mafie nel milionario affare della raccolta e smaltimento. Non v’è dubbio che la particolare redditività dell’attività attragga inevitabilmente gli interessi delle organizzazioni criminali più strutturate nei territori e che alcune ditte o associazioni temporanee di impresa siano costituite con capitale mafioso o siano riconducibili direttamente a soggetti legati alle mafie per intercettare le richieste delle imprese che devono smaltire i rifiuti. Ma il fenomeno si presenta molto complesso. Da diverse indagini, infatti,  sono stati acquisiti elementi per ricondurre la gestione dell’affare a broker disponibili all’intermediazione tra le società che richiedono il servizio e quelle, di estrazione mafiosa, che lo assicurano a prezzi vantaggiosi su tutto il territorio nazionale. La gestione condivisa tra più organizzazioni criminali e l’attività di intermediazione di soggetti e società non necessariamente organici alle stesse  richiedono  un efficace coordinamento delle indagini a livello nazionale che solo  le DDA e la DNA sono   in grado di garantire con una azione sinergica ed  una effettiva e continuativa circolazione delle informazioni.      

Chi combatte contro la mafia si trova un nemico: il mascariamento e la delegittimazione. Che ne pensa?

La delegittimazione rappresenta una delle armi a cui le mafie ricorrono con sempre maggiore frequenza per liberarsi degli uomini e delle donne che con abnegazione e coraggio le sfidano tutti i giorni lanciando messaggi di legalità e di speranza. L’obiettivo perseguito dalle mafie è quello di colpire al cuore l’antimafia rendendo meno credibile lo sforzo spesso davvero gravoso di quella parte di cittadinanza che con la mafia non vuol fare affari e che la combatte semplicemente svolgendo tutti i giorni il proprio lavoro. Il mascariamento e la delegittimazione si nascondono dietro ogni angolo e compaiono, senza perdere occasioni,  nei momenti di maggiore difficoltà per colpire gli esempi positivi della società nel tentativo di vanificare i risultati conseguiti con grandi sacrifici. Una azione, spesso feroce, vile e che tuttavia trova sponda nella straripante volontà di autoaffermazione che assale anche le parti integre della società e delle professioni.    


Che rapporto ha con la paura?

La paura non è altro che l’altra faccia della medaglia del coraggio. Ho sempre inseguito finalità di giustizia e la paura non ha ostacolato il mio percorso professionale. Nell’ultimo periodo ho avuto paura di  perdere la fiducia ma è stato solo un momento. Non ho mai avuto paura di svolgere il mio lavoro e sono sicuro che proseguirò il percorso avviato 25 anni fa senza alcuna esitazione e sempre e solo per contrastare con il mio contributo quotidiano le più svariate forme di criminalità diffuse nel territorio nazionale. 

Che futuro vede per il nostro Paese?

Difficile. I conflitti sociali e le differenti sensibilità  nell’affrontare problemi ormai atavici della società moderna rallentano la crescita culturale del Paese e lo rendono vulnerabile malgrado gli sforzi profusi nel tempo dai cittadini. Tuttavia bisogna avere speranza e mettere a sistema tutte le forze positive del paese per rivendicare con determinazione il diritto a vivere in un paese libero dalle mafie ed in uno Stato di diritto. 

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Cronache

Trasfusione contro la volontà della paziente: assolti i medici del Cardarelli

Il tribunale di Napoli ha assolto due medici del Cardarelli che nel 2018 praticarono una trasfusione a una paziente Testimone di Geova contro la sua volontà. Per il giudice “il fatto non sussiste”.

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Due medici dell’ospedale Cardarelli di Napoli sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di violenza privata per aver praticato nel 2018 una trasfusione di sangue a una paziente Testimone di Geova che, in base al proprio credo religioso, aveva rifiutato quel trattamento attraverso le Dat, le direttive anticipate di trattamento previste dalla legge sul biotestamento del 2017.

La decisione è arrivata dal gup Armonia De Rosa del tribunale di Napoli, che ha accolto la richiesta di assoluzione avanzata sia dal pm Ciro Capasso sia dalla difesa dei medici.


La paziente guarì ma denunciò i sanitari

La donna, una cittadina di origine filippina residente in Italia, era arrivata al pronto soccorso del Cardarelli in condizioni critiche per una grave patologia ginecologica. Al momento del ricovero aveva consegnato un documento scritto in cui rifiutava qualsiasi trasfusione di sangue, in conformità al proprio credo religioso.

Col peggiorare delle sue condizioni, i medici valutarono però che la trasfusione fosse l’unica possibilità per salvarle la vita. Informata dell’aggravamento del quadro clinico, la paziente ribadì verbalmente il suo no. Tuttavia, quando le fu chiesto di firmare un nuovo documento per confermare il rifiuto, la donna si rifiutò, dichiarando di non comprendere pienamente il testo per difficoltà linguistiche.

Di fronte a questa situazione, i medici decisero di procedere ugualmente con la trasfusione, ritenendola un intervento salvavita necessario e urgente. La paziente si riprese e fu dimessa, ma poco dopo sporse querela contro i due sanitari, accusandoli di averla sottoposta a un trattamento contro la sua volontà.


La sentenza dopo otto anni di processo

Il processo, durato oltre otto anni e dodici udienze, si è concluso con la piena assoluzione dei due medici. Secondo il giudice, l’intervento fu giustificato dalle condizioni cliniche della paziente e non costituì violenza privata, in quanto motivato dall’intento di salvare una vita in pericolo imminente.

Gli avvocati della difesa hanno espresso soddisfazione per la sentenza, che riconosce la correttezza professionale dei sanitari. I legali della donna attendono ora il deposito delle motivazioni, previsto entro 90 giorni, per valutare la possibilità di ricorrere in appello.

Il caso riaccende il dibattito sul confine tra libertà di autodeterminazione del paziente e dovere di intervento del medico, uno dei temi più delicati nel campo della bioetica e del diritto sanitario.

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Tragedia a Palombaio, anziana investita e uccisa: si costituisce l’automobilista

Tragedia a Palombaio, frazione di Bitonto: un’anziana è morta investita da un’auto. L’automobilista, un 37enne di Mariotto, si è costituito ed è sotto choc. Indaga la polizia locale.

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Tragedia questa sera a Palombaio, frazione di Bitonto (Bari), dove un’anziana è morta dopo essere stata investita da un’auto mentre attraversava corso Vittorio Emanuele. L’impatto è stato violentissimo e per la donna, nonostante i soccorsi immediati del 118, non c’è stato nulla da fare: è deceduta sul colpo.


L’automobilista si è costituito

Poche ore dopo l’incidente, si è costituito alla polizia locale l’automobilista coinvolto: si tratta di un uomo di 37 anni, residente nella vicina frazione di Mariotto.
Agli agenti avrebbe raccontato di stare tornando a casa dopo il lavoro e di non essersi accorto della presenza della donna al centro della carreggiata.

L’uomo, apparso visibilmente sotto choc, è ora a disposizione degli investigatori, che stanno valutando la sua posizione e ricostruendo con precisione la dinamica dell’impatto.


Indagini in corso

Sul luogo dell’incidente sono intervenuti gli agenti della polizia locale di Bitonto, che hanno effettuato i rilievi per chiarire le cause della tragedia e verificare eventuali responsabilità.
Non si esclude che la scarsa visibilità o una distrazione possano aver contribuito all’investimento mortale.

L’intera comunità di Palombaio è sotto choc per l’accaduto, in attesa di conoscere l’identità della vittima e gli sviluppi delle indagini.

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Sparatoria contro l’auto dell’allenatore Calabro, indagati il calciatore Leonardo Perez e il cognato consigliere regionale Mauro Vizzino

Indagati per minacce il calciatore Leonardo Perez e il cognato, il consigliere regionale pugliese Mauro Vizzino, per i colpi esplosi contro l’auto dell’allenatore Antonio Calabro nel 2023.

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Un’inchiesta della Procura di Lecce ha portato alla chiusura delle indagini su un episodio avvenuto nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 2023 a Melendugno, quando furono esplosi colpi di arma da fuoco contro l’auto di Antonio Calabro, allora allenatore della Virtus Francavilla, oggi tecnico della Carrarese in Serie B.

Secondo gli inquirenti, il mandante morale dell’intimidazione sarebbe stato Leonardo Perez, 36 anni, attaccante del Casarano con un passato in Serie B, che avrebbe agito per vendicarsi del poco impiego in campionato. A istigarlo, secondo la ricostruzione della Procura, sarebbe stato il cognato Mauro Vizzino, consigliere regionale pugliese e presidente della Commissione Sanità, rieletto nella coalizione di centrosinistra a sostegno di Michele Emiliano.


Vizzino: “Sono totalmente estraneo ai fatti”

Entrambi, originari di Mesagne (Brindisi), sono accusati di minacce. Gli esecutori materiali del gesto restano ignoti.
Vizzino, impegnato nella campagna elettorale per le regionali in Puglia con la lista Per la Puglia, ha negato ogni coinvolgimento:

“Scopro dagli organi di stampa la notizia della mia iscrizione nel registro degli indagati. Non ho ricevuto alcuna comunicazione giudiziaria, ma posso affermare senza possibilità di smentita di essere totalmente estraneo alla vicenda.”

Il consigliere ha parlato di un’inchiesta “che ha dell’incredibile” e ha ribadito che continuerà il suo impegno politico “con ancora più convinzione e forza”.


Le indagini e la riapertura del caso

In un primo momento la Procura aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo, che vedeva indagato solo Perez. Ma il gipha disposto un supplemento di indagini, che ha portato a nuovi accertamenti e all’iscrizione di Vizzino nel registro degli indagati.

L’atto di chiusura dell’inchiesta, notificato in queste ore, precede di norma la richiesta di rinvio a giudizio.
Il movente, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe una ripicca sportiva: Perez avrebbe reagito al mancato utilizzo da parte dell’allenatore con un atto intimidatorio, avvalendosi del sostegno del cognato.


Le reazioni politiche

Sulla vicenda è intervenuto anche Antonio Decaro, candidato del fronte progressista alle elezioni regionali pugliesi:

“Mauro Vizzino è considerato da tutti una brava persona. Spero che possa chiarire la sua posizione quando ci sarà la documentazione a disposizione.”

Il caso, esploso a pochi giorni dal voto, scuote la campagna elettorale pugliese e riporta l’attenzione su un episodio violento che, a oltre due anni di distanza, continua a sollevare interrogativi e tensioni tra sport e politica.

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