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Cronache

Papa migliora, già lunedì era pronto piano per Pasqua

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Migliora progressivamente il quadro clinico complessivo di papa Francesco, che prosegue le terapie al Policlinico Gemelli dopo il ricovero di ieri pomeriggio in seguito a un malore dovuto a “un’infezione respiratoria”, che si è rivelata “una bronchite su base infettiva”. La situazione odierna dapprima è stata descritta poco dopo mezzogiorno dal direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, spiegando che “Sua Santità Papa Francesco ha riposato bene durante la notte. Il quadro clinico è in progressivo miglioramento e prosegue le cure programmate”.

“Questa mattina dopo aver fatto colazione, ha letto alcuni quotidiani ed ha ripreso il lavoro – ha aggiunto il portavoce della Santa Sede – Prima del pranzo si è recato nella Cappellina dell’appartamento privato, dove si è raccolto in preghiera ed ha ricevuto l’eucarestia”. Poi nella serata sempre Bruni ha comunicato che “Papa Francesco ha trascorso il pomeriggio dedicandosi al riposo, alla preghiera e ad alcune incombenze di lavoro”. Mentre lo staff medico che segue il Pontefice ha fatto sapere che “nell’ambito di controlli clinici programmati al Santo Padre è stata riscontrata una bronchite su base infettiva che ha richiesto la somministrazione di una terapia antibiotica su base infusionale che ha prodotto gli effetti attesi con un netto miglioramento dello stato di salute.

Sulla base del prevedibile decorso il Santo Padre potrebbe essere dimesso nei prossimi giorni”. Già di buon mattino si era appreso, da fonti vicine al decimo piano del Policlinico universitario, dove il Pontefice trascorre la sua degenza nello speciale appartamento dei Papi, che Francesco aveva trascorso una notte tranquilla, “liscia come l’olio”, e che c’era ottimismo tra lo staff di medici e infermieri anche su un suo rapido ritorno in Vaticano, “salvo imprevisti”. Gli accertamenti sono ovviamente continuati e hanno escluso sia problemi cardiaci che una polmonite. In sostanza, l’infezione respiratoria di cui soffre il Pontefice risulta “lieve”; una “bronchite” che non ha prodotto versamenti, come si è potuto verificare con una Tac a cuore e polmoni. Che, a quanto spiegano fonti ospedaliere, sarebbe stata causata da un virus.

Tuttavia, non si sa ancora con certezza quanti giorni di degenza il Papa dovrà fare al Gemelli, anche perché l’86/enne ha preso peso e questo non aiuta nell’affrontare l’infezione. Non si trascura neanche il fatto che Bergoglio all’età di 21 anni, quand’era seminarista in Argentina, subì una resezione in seguito a una grave forma di polmonite: gli venne asportato il lobo superiore del polmone destro a causa di tre cisti. A quell’epoca malattie polmonari come infezioni fungine o polmoniti erano curate chirurgicamente per la scarsità di antibiotici. Anche nel caso attuale “l’utilizzo precoce di antibiotici e anti-infiammatori è la migliore garanzia di una pronta guarigione”, rilevano ancora fonti mediche.

Il ricovero permette, in una condizione di prudenza, di sottoporre il Pontefice alla terapia in forma endovenosa, mentre continuano il monitoraggio dell’ossigeno e gli esami ematochimici. Intanto in Vaticano è pronto fin da lunedì scorso il piano per i riti della Settimana Santa, a partire dalla messa della Domenica delle Palme che sarà celebrata dal vice decano del Collegio cardinalizio, card. Leonardo Sandri. Quelle del Giovedì Santo, la “crismale” del mattino dal cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis e la pomeridiana “in Coena Domini” dall’arciprete di San Pietro card. Mauro Gambetti. Quella della Domenica di Pasqua, infine, dal cardinale decano Giovanni Battista Re. Non si può certo escludere che, anche in caso il Papa venga presto dimesso dal Gemelli, i medici gli consiglino un periodo di riposo a Casa Santa Marta. A Bergoglio nel frattempo arrivano attestati di vicinanza e auguri di pronta guarigione da tutto il mondo, da autorità istituzionali, ecclesiastiche, associazioni e semplici fedeli. Tra gli altri quelli del presidente Sergio Mattarella, del presidente americano Joe Biden, del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, del presidente della Camera Lorenzo Fontana, dei ministri Antonio Tajani ed Elisabetta Casellati. Tanto che il Papa, in un tweet, si è detto “toccato dai tanti messaggi ricevuti in queste ore”, esprimendo “a tutti” la sua “gratitudine per la vicinanza e la preghiera”.

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Voto di scambio a Sant’Antimo, il giudice: non luogo a procedere

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“Non luogo a procedere”: si è praticamente concluso con un nulla di fatto il processo sul voto di scambio a Sant’Antimo, in provincia di Napoli, iniziato e conclusosi presso il Tribunale di Napoli Nord dopo le eccezioni sollevate dagli avvocati. I reati contestati agli imputati, complessivamente 23, erano l’associazione a delinquere e la corruzione elettorale. I fatti risalgono alle elezioni comunali dell’11 giugno 2017 e il procedimento giudiziario sarebbe dovuto iniziare al massimo entro due anni. Ma così non è stato e quindi, a iniziare dall’avvocato Pietro Rossi, i legali dei difensori hanno puntato le loro discussioni evidenziando il ritardo con il quale ha preso il via il giudizio. Alcune posizioni, comunque, sono state stralciate, per difetti di notifica, e adesso sarà necessaria un’altra udienza, dopo il nuovo invio delle convocazioni, che purtroppo non potrà avere esito diverso da quello cui si è giunti oggi. Il “non luogo a procedere” è stato riconosciuto sussistente, dal giudice, per il reato di corruzione elettorale mentre per l’associazione a delinquere sono stati ritenuti insussistenti i criteri sui quali si sono basati gli inquirenti. Per gli investigatori i presunti componenti dell’associazione a delinquere si sarebbero resi responsabili di avere contattato gli elettori (attraverso il passaparola e appostamenti nei pressi di esercizi commerciali particolarmente frequentati) proponendo denaro e altre utilità (anche posti di lavoro, in taluni casi) in cambio del voto per specifici candidati. Ma l’inizio del processo oltre i limiti prestabiliti ha vanificato gli sforzi della Procura.

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Dieci indagati per ragazza morta nel fiume in Calabria

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Arrivano i primi indagati per la morte della studentessa 19enne trovata morta nel fiume Lao, sul Pollino, dopo una gita scolastica con professori e compagni di istituto. La Procura di Castrovillari ha iscritto nel registro dieci persone, tra cui il sindaco di Laino Borgo, Mariangelina Russo, i responsabili della “Pollino rafting” e sette guide della stessa società. Contestualmente i magistrati hanno disposto anche il sequestro della società che si è occupata dell’escursione fatale per la giovane. Si tratta del primo passo ufficiale dell’inchiesta avviata dalla procura subito dopo la scomparsa della giovane, di cui si erano perse le tracce già martedì in seguito proprio alla caduta nelle acque del fiume.

“Le indagini in corso – ha spiegato il procuratore di Castrovillari, Alessandro D’Alessio – riguardano sia l’accertamento preciso delle cause della morte della diciannovenne, sia l’esatta ricostruzione della dinamica dell’incidente e della programmazione ed esecuzione dell’attività nel corso della quale si è verificato il decesso”. Stando a quanto raccontato da professori e compagni, il gruppo del liceo statale “Rechichi” di Polistena era in gita da alcuni giorni in provincia di Cosenza. Tra le attività previste dal viaggio d’istruzione c’era anche il rafting sul fiume Lao, nel comune di Laino Borgo. Proprio durante l’escursione, stando ai racconti delle compagne della 19enne, il gommone sul quale viaggiava Denise Galatà avrebbe urtato quello che lo precedeva facendo sbalzare la ragazza in acqua. Una volta finita sott’acqua, in un punto in cui il torrente é profondo alcuni metri, la giovane non avrebbe avuto la forza di risalire in superficie e sarebbe morta annegata.

“All’inizio – ha raccontato una delle ragazze che si trovavano insieme a Denise sul gommone – le acque erano calme, ma subito dopo la forza della corrente è aumentata. I gommoni sfioravano pericolosamente enormi massi nell’alveo del fiume. Ad un certo punto siamo stati sbattuti contro uno di questi massi ed in tre siamo caduti in acqua. Io ed un’altra mia compagna siamo stati soccorsi e portati sulla terraferma, mentre di Denise si é persa ogni traccia”. La procura, che a disposto per domani l’autopsia sul corpo della giovane, assicura che procederà nel minor tempo possibile “a tutti gli accertamenti, anche tecnici, necessari per acquisire gli elementi informativi”. Contemporaneamente proseguono anche le attività del ministero dell’Istruzione che ha attende dall’Ufficio scolastico regionale i risultati delle verifiche disposte per accertare che siano state effettivamente adottate tutte le misure di sicurezza previste in questi casi.

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L’orrore e la gelida opera di depistaggio dell’assassino di Giulia Tramontano

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Una vicina di casa di Alessandro Impagnatiello, il 30enne in carcere per aver ucciso Giulia Tramontano incinta di 7 mesi, ha raccontato agli inquirenti di aver visto nel pomeriggio di domenica 28 maggio “una quantità ingente di cenere provenire dalla porta d’ingresso dell’appartamento” dell’uomo, “continuare sulle scale del condominio sino al box” della coppia. E’ un altro degli elementi agli atti dell’inchiesta. Sempre nel pomeriggio di domenica Impagnatiello, che aveva già ucciso Giulia la sera prima, le mandava messaggi sul suo telefono con scritto “baby dove sei? Ci stiamo preoccupando tutti”. E il giorno dopo: “Dicci solo che sei fuggita in qualche paese lontano”. Nel verbale della sua confessione si leggono frasi gelide come “non sono riuscito nell’intenzione di ridurre il corpo in cenere”.

E ancora: “Quando io faccio la denuncia di scomparsa il cadavere di Giulia era nel box”. E al pm che gli chiede “non ha temuto che i carabinieri aprissero il box?”, lui ha risposto: “Forse speravo lo facessero”. Lunedì avrebbe spostato, a suo dire, “il corpo dal box alla cantina”. Martedì, ha detto ancora, “porto la macchina nel box e carico il corpo nel bagagliaio” dove, stando al suo racconto, sarebbe rimasto fino alla notte successiva, prima di essere gettato in un buco vicino a dei box. Prima, ha messo a verbale l’uomo, “ho comunque usato la macchina andandoci in giro con il cadavere nel bagagliaio”. Ha detto di aver gettato il “telefono di Giulia in un tombino”, così come il bancomat, mentre il passaporto di lei lo avrebbe bruciato. Ha sostenuto di non aver chiesto aiuto ad alcuno: “Forse mia mamma ha dubitato, ma per 30 anni non ho dato mai motivo che potessi mai fare una cosa simile”. Tra le esigenze cautelari contestate il pericolo di inquinamento probatorio (riuscì a “falsificare” anche un test di paternità), quello di fuga, anche perché nei giorni dopo l’omicidio faceva ricerche per acquistare uno “zaino da trekking” per una “fuga veloce”. E infine il pericolo di reiterazione per la sua “pericolosità sociale” e per la “crudeltà” di aver ucciso con “premeditazione” anche il “figlio che ella portava in grembo”. Anche l’amante, scrivono i pm, aveva “timore” di lui: non voleva “subire la medesima sorte” di Giulia.

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