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Cronache

Papa Leone XIV: “Il lavoro è dignità, la Chiesa sia accanto a chi lo perde”

Papa Leone XIV in Piazza San Pietro lancia un appello per il lavoro e la dignità dell’uomo: “La Chiesa sia vicina ai lavoratori colpiti dalla crisi, il Vangelo sia speranza concreta”.

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Un messaggio forte e profondamente umano quello lanciato da Papa Leone XIV questa mattina in Piazza San Pietro, davanti a migliaia di pellegrini arrivati dalla Toscana per il loro Giubileo regionale.
Il Pontefice ha richiamato l’urgenza di garantire lavoro a tutti e di affrontare le crisi aziendali nel rispetto della dignità dell’uomo, cuore dell’insegnamento sociale della Chiesa.


La vicinanza della Chiesa ai lavoratori in difficoltà

Tra i pellegrini presenti, probabilmente anche i lavoratori della Beko e di altre aziende toscane in difficoltà.
A loro Leone XIV ha dedicato parole di conforto, ricordando l’impegno del cardinale di Siena Paolo Lojudice e della Chiesa locale:
«In una terra laboriosa come la Toscana — ha detto — è doloroso constatare come la crisi economica costringa tanti lavoratori al licenziamento e altri alla cassa integrazione. Vi esorto a essere una Chiesa vicina al mondo del lavoro, compassionevole e incarnata, perché l’annuncio del Vangelo diventi presenza concreta di consolazione e speranza, ma anche parola profetica che richiami l’importanza di garantire il lavoro a tutti».


Dalla memoria al presente: “Non restate fermi al passato”

Il Pontefice ha poi citato alcune delle figure più luminose della cultura toscana — Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo e Santa Caterina da Siena — per sottolineare che la grandezza del passato deve essere stimolo e non rifugio.
«La ricchezza di tale eredità — ha affermato — non deve farci restare con lo sguardo all’indietro, ma spingerci a rispondere con coraggio alle sfide del presente».


“Una Chiesa sul territorio, vicino all’uomo”

Rilanciando le parole di Paolo VI, Papa Leone XIV ha esortato le comunità cristiane a farsi Chiesa sul territorio, presente nelle case e nelle fabbriche, accanto alle persone e ai loro bisogni:
«Di fronte alla crisi occupazionale e sociale, la Chiesa deve studiare i problemi, elaborare soluzioni e assumere le proprie responsabilità.
Deve essere Chiesa presso l’uomo, Chiesa che cammina accanto a chi soffre».


Con questo discorso, Papa Leone XIV ha voluto ribadire che il lavoro non è solo produzione ma dignità, e che la fede cristiana deve tradursi in gesti concreti di vicinanza a chi vive il dramma della precarietà e della disoccupazione.

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Cronache

Caso “La cattura di San Pietro”: cadono due accuse per Sgarbi, resta il processo per riciclaggio

Cadono autoriciclaggio e contraffazione, ma Sgarbi andrà a processo per riciclaggio nel caso della tela del ’600 “La cattura di San Pietro”. Al centro, il presunto trafugamento e la comparsa in mostra dell’opera modificata.

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Cadono due accuse, resta in piedi la terza. È il primo snodo giudiziario nel caso della pregiata tela del ’600 La cattura di San Pietro, che vede imputato Vittorio Sgarbi. Il gup di Reggio Emilia ha escluso il processo per autoriciclaggio e contraffazione di beni culturali, ma ha disposto il rinvio a giudizio per riciclaggio.

La ricostruzione dell’accusa

Secondo l’impianto accusatorio, il dipinto sarebbe stato trafugato nel 2013 dal castello dell’anziana nobildonna Margherita Buzio. L’opera — attribuita a Rutilio Manetti — sarebbe stata poi modificata: una torcia, inserita da un restauratore che avrebbe ricevuto incarico da Sgarbi, avrebbe alterato l’aspetto originario del quadro.

A far arrivare il fascicolo a Reggio Emilia è stata la confessione del pittore Lino Frongia, che ha ammesso di aver aggiunto la fiammella sul dipinto. L’opera sarebbe ricomparsa nel 2021, in una riproduzione 3D esposta nella mostra I pittori della luce a Lucca, curata dallo stesso Sgarbi.

Le zone d’ombra sulle indagini

Il furto, segnalato anche all’Interpol, era stato denunciato nel 2013 ma il reato è prescritto. Nella denuncia compariva già il nome di Sgarbi e quello del suo collaboratore Paolo Bocedi, che secondo i carabinieri avrebbe consegnato la tela — arrotolata e danneggiata — a un restauratore. La replica in 3D sarebbe servita, secondo gli investigatori, a mascherare gli interventi effettuati sull’originale.

La difesa di Sgarbi

Sgarbi sostiene che i quadri siano due e non lo stesso, spiegando di aver trovato l’opera in suo possesso in un castello abbandonato acquistato nel Viterbese. Secondo la difesa, le misure delle due tele non corrisponderebbero e gli archivi personali del critico lo dimostrerebbero.

Gli avvocati Alfonso Furgiuele e Giampaolo Cicconi osservano: «I due reati archiviati sono quelli su cui abbiamo svolto attività difensiva. Per l’imputazione residua ci riserviamo di presentare una memoria».

Il processo proseguirà dunque solo sul fronte del riciclaggio, con una vicenda giudiziaria che resta intricata e ancora lontana dalla conclusione.

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Cronache

Mela annurca, addio a Giugliano: la culla dell’“oro rosso” si svuota mentre la produzione vola nell’alto casertano

La mela annurca non è più a Giugliano: aziende delocalizzate nell’alto casertano, produzione in crescita ma prezzi in calo. Tra nuovi giovani agricoltori e difesa dei territori, l’antica patria dell’annurca perde il suo primato.

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Qualcuno la chiamava l’oro rosso della terra. Ma a Giugliano, che per decenni è stata la patria della mela annurca, oggi restano solo scampoli di coltivazioni: piccoli appezzamenti a Varcaturo, la masseria Casolla a Villaricca, poco altro. Il rosso simbolo della Campania si è spostato altrove.

La produzione si sposta nell’alto casertano

«La produzione ormai non si trova più a Giugliano», spiega Valentina Stinga, presidente Coldiretti Napoli. I produttori resistono, ma i melai si sono spostati. Oggi l’annurca si coltiva a Vairano, Francolise, Presenzano, Teano.

Negli anni Ottanta e Novanta la speculazione edilizia divorò le terre agricole giuglianesi. Molti agricoltori vendettero tutto per trasferirsi nell’alto casertano, dove oggi si concentra la filiera.

Un mercato ancora florido nonostante gli spostamenti

«L’area nord di Napoli non è più la culla dell’annurca», conferma Giuseppe Giaccio, presidente del Consorzio campano. Ma il settore resta fortissimo:

  • 3.000 ettari coltivati in Campania,

  • 600 ettari solo tra i consorziati,

  • 130 soci,

  • un indotto da 100 milioni di euro,

  • distribuzione nei mercati di Milano, Torino, Bergamo, Firenze.

Quest’anno l’offerta è aumentata del 20-30% con un prodotto di qualità altissima, ma i prezzi sono in calo per l’eccesso di produzione.

I giovani che tornano alla terra

La forza dell’annurca attrae anche nuove generazioni. Come Gerardo Rusciano, 26 anni, originario di Chiaiano:

  • laurea in Agraria,

  • trenta ettari a Teano,

  • quattro dipendenti fissi, cinque familiari al lavoro,

  • picchi di 15 operai in fase di raccolta.

Durante il Covid ha creato uno dei primi servizi di delivery: dal 2020 oltre 28mila consegne tra Napoli, provincia e Caserta.

Chi resiste a Giugliano

Qualcuno però non ha lasciato la terra d’origine. Castrese Galluccio difende il suo meleto di sette ettari a Varcaturo, affacciato sui Campi Flegrei.

«La vera mela annurca si fa qui», dice, rivendicando le caratteristiche uniche dei terreni flegrei. Negli anni ’30 e ’40 la sua era la mela più commercializzata del Mediterraneo, poi soppiantata da varietà americane e giapponesi.

Oggi, per competere, Galluccio non punta sul frutto fresco ma sui principi attivi: la sua produzione è quasi tutta assorbita dalla multinazionale New Nordic, che usa l’annurca per creare pillole e caramelle utili a ridurre colesterolo, migliorare il microbiota e favorire la ricrescita dei capelli nelle donne in menopausa.

L’annurca come simbolo della salute dei territori

La mela annurca è da sempre un termometro del territorio. Lo ricorda anche il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna:
«Fuori gli inquinatori della nostra terra come fece Gesù con i mercanti nel tempio. Difendiamo i nostri prodotti».

Parole che risuonano come un monito: a Giugliano, antica patria dell’annurca, i mercanti hanno vinto. Oggi quell’oro rosso vive altrove, mentre la sua culla originaria ne conserva solo l’ombra.

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Cronache

Addio a Francesco Greco, magistrato rigoroso e sereno: una vita al servizio della giustizia

È morto Francesco Greco, magistrato simbolo di rigore ed equilibrio. Dalle prime indagini sui casalesi alla Procura di Napoli Nord, una carriera dedicata alla giustizia e al contrasto ai reati ambientali.

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Sereno, preparato, equilibrato e determinato. Così amici e colleghi descrivono Francesco Greco (foto Imagoeconomica), morto a 74 anni dopo una malattia. Una figura che ha rappresentato per decenni un presidio indiscutibile della giurisdizione, sempre con autorevolezza e rispetto delle regole.

L’emozione ai funerali al Duomo

I funerali si sono tenuti al Duomo, celebrati dal cardinale Mimmo Battaglia, che ha ricordato lo spessore umano ed etico del magistrato. Presenti colleghi, avvocati e tanti cittadini che negli anni avevano incrociato il suo lavoro. Il capo della Procura nazionale antimafia, Gianni Melillo, è apparso profondamente commosso. A ripercorrerne la figura professionale è stato Carlo Visconti.

Dalle prime indagini ai casalesi al contrasto alla camorra

Greco aveva indossato la toga giovanissimo a Castel Capuano, vera “palestra giuridica” degli anni Settanta e Ottanta. Da lì seguì le prime indagini sui casalesi, insieme a chi condusse il processo Spartacus. Poi si occupò di camorra e malaffare in Campania con un impegno costante e rigoroso.

I ruoli e le sfide

Era stato aggiunto a Nola, capo del pool anticamorra a Napoli, e poi procuratore vicario e reggente della Procura partenopea dopo il pensionamento di Giovandomenico Lepore.
La sfida più significativa fu la guida della nascente Procura di Napoli Nord: Greco ne fu il primo procuratore. Qui approfondì uno dei temi a lui più cari, il contrasto ai crimini ambientali e all’emergenza della terra dei fuochi, lavorando con strumenti giuridici e prevenzione. Da Napoli Nord seguì anche il caso degli abusi sui minori a Caivano dopo la vicenda della piccola Fortuna.

Un uomo rigoroso, ma sempre pronto al dialogo

Colleghi e avvocati lo ricordano come un magistrato serio e giusto, mai arrogante, sempre disponibile al confronto. Il pm Ettore La Ragione lo descrive come «un esempio per molti pubblici ministeri». Rigoroso nella gestione delle inchieste, sapeva dialogare con le controparti senza rinunciare alla fermezza.

Il profilo etico e umano

Austero anche quando era impegnato in indagini di grande impatto mediatico — dai filoni sulle aziende partecipate dello Stato ai casi che sfioravano la politica nazionale — Greco ha sempre mantenuto uno stile sobrio e rispettoso della funzione pubblica.

In pensione si era dedicato al volontariato, alla cultura e ai temi ambientali, continuando a dare contributo civile al territorio.

Francesco Greco lascia la moglie, i due figli, i nipoti e un vuoto profondo in chi ha avuto modo di conoscerlo come uomo e magistrato.

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