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Esteri

Papa Bergoglio scrive a Maduro e lo gela sul dialogo. Il regime chavista sempre più isolato a livello internazionale

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Nicolas Maduro potrebbe aver perso un interlocutore decisivo per la soluzione della crisi nel cattolico Venezuela. Il Papa ha scritto una lunga lettera, in risposta all’ennesima richiesta di mediazione del leader chavista, sottolineandogli di non aver rispettato gli impegni presi per un dialogo concreto. Il regime ha liquidato come “strumentale” l’interpretazione data al messaggio di Bergoglio, ma il presidente sfiduciato dall’opposizione appare sempre piu’ isolato a livello internazionale mentre il suo sfidante, Juan Guaido’, continua a guadagnare terreno, anche con il sostegno dell’Italia alla richiesta di nuove elezioni. E il suo primo sponsor, Donald Trump, ha chiarito che “tutte le opzioni restano sul tavolo”. Quindi anche l’intervento militare. La lettera del Papa, i cui contenuti sono stati resi noti dal Corriere della Sera, e’ datata 7 febbraio ed indirizzata in modo molto eloquente al “Signor Maduro” e non al presidente. Dal testo – scrive il quotidiano – emerge la delusione di Bergoglio: tutti i tentativi “per tentare di trovare un’uscita dalla crisi, purtroppo, si sono interrotti perche’ quanto era stato concordato nelle riunioni non e’ stato seguito da gesti concreti per realizzare gli accordi”. Il Papa ripercorre il ruolo svolto dalla Santa Sede e dai vescovi del Venezuela dalla fine del 2016 “su richiesta delle parti”. Gia’ allora il Papa fece alcune richieste precise a Maduro, “tuttora necessarie”, tanto piu’ che permangono “le preoccupazioni per la sofferenza della popolazione”. I toni del Pontefice sarebbero stati prudenti, per mantenere un ruolo neutrale tra i due schieramenti. Eppure i contenuti della lettera, di fatto, sembrano prendere le distanze da Maduro. Quanto a Guaido’, l’autoproclamato presidente ad interim continua a tessere la sua tela per ottenere sempre piu’ consensi oltreconfine. A partire dall’Italia, che ieri con un voto in parlamento si e’ schierata a favore della richiesta di elezioni presidenziali al piu’ presto, dichiarando Maduro illegittimo: non ancora il riconoscimento di Guaido’ come capo provvisorio dell’esecutivo, ma comunque un passo in suo favore, tanto che lo stesso leader dell’opposizione ha sottolineato che l’Italia “riconosce la nostra lotta”. I suoi emissari a Roma nel frattempo hanno continuato ad incontrare le istituzioni. Sono stati ascoltati dai senatori in commissione esteri ed hanno chiesto anche che una delegazione dell’assemblea nazionale sia accreditata in Italia. Quasi tutti si sono schierati dalla loro parte per “mettere fine all’usurpazione di Maduro”. Gli M5S, invece, continuano a rivendicare la linea della neutralita’, sottolineando che bisogna parlare con entrambi gli schieramenti. Il vento in Parlamento, insomma, soffia decisamente in direzione di Guaido’, tanto che l’attesa audizione del viceministro per l’Europa di Maduro e’ stata annullata ed e’ stato ascoltato soltanto l’ambasciatore, in quanto ancora accreditato a Roma. Il diplomatico, da parte sua, ha fatto buon viso e cattivo gioco evidenziando che l’Italia mantiene una “posizione di equilibrio”, non riconoscendo la presidenza di Guaido’. Ed ha bollato come “non vere” le ricostruzioni sui contenuti della lettera del Papa a Maduro. A Caracas Guaido’ sta lavorando per far entrare gli aiuti umanitari bloccati al confine dal regime. Il 23 febbraio i suoi volontari caricheranno gli zaini in Colombia, sperando che i militari si facciano da parte. Per i passi successivi, il leader degli anti-chavisti potra’ contare sul sostegno degli Stati Uniti, i primi a riconoscerlo. Se Maduro non dovesse cedere il potere, Trump ha fatto sapere di avere gia’ in mente “un piano B, ma anche C, o D”: i marines sono avvertiti.

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Ucraina e Russia pronte al maxi scambio di prigionieri: in ballo 2.000 vite umane

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Mille prigionieri russi in cambio di mille prigionieri ucraini. È questo l’accordo raggiunto durante i colloqui tra Mosca e Kiev a Istanbul, unico spiraglio di dialogo tra i due Paesi dopo oltre due anni di guerra. Un’intesa mediata da Emirati Arabi, Turchia, Stati Uniti e Vaticano, che potrebbe concretizzarsi già nel prossimo fine settimana.

A confermarlo è il capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov, mentre il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato: «Dobbiamo liberare tutti i nostri, incondizionatamente. Stiamo facendo il massimo». Il 17 maggio il Servizio di sicurezza ucraino (SBU) ha avviato le procedure per la creazione delle liste dei prigionieri, confermate anche dal vicecapo dell’intelligence Vadym Skybytskyi.

Scambi regolari, ma torture sistematiche

Dall’inizio della guerra, nel 2022, gli scambi di prigionieri sono l’unico contatto stabile tra le parti. L’ultimo, il 6 maggio scorso, ha visto Kiev riportare a casa 205 soldati. In totale, l’Ucraina ha rimpatriato 4.757 prigionieri, ma secondo fonti ufficiali circa 16.000 ucraini sarebbero ancora detenuti, tra cui 2.000 civili.

Il problema, però, va oltre la diplomazia. Secondo l’ONU, il 95% dei prigionieri ucraini è stato torturato. Dalle testimonianze emergono racconti agghiaccianti. Durante una conferenza della Media Initiative for Human Rights, il marine Ivan Dibrova, catturato nel 2022, ha denunciato: «Ci hanno fatto strisciare a quattro zampe sotto minaccia delle pistole elettriche, ci mordevano i cani. Eravamo feriti, ma ci hanno costretti a salire su un aereo in quelle condizioni».

Il caso Roshchyna e l’orrore delle prigioni russe

Il 29 aprile, la Russia ha restituito il corpo della giornalista Viktoria Roshchyna senza organi interni: una prassi, secondo l’accusa ucraina, per coprire segni di tortura. Le sue condizioni al momento della morte sono oggetto di un’inchiesta condotta da Ukrainska Pravda e testate internazionali.

La direttrice del giornale, Sevgil Musayeva, ha dichiarato che 186 prigioni russe o nei territori occupati ospitano cittadini ucraini, e in 29 di queste la tortura è sistematica. «I detenuti vengono immersi nell’acqua gelata fino alle convulsioni, sospesi a testa in giù, seviziati con scosse elettriche», ha affermato. «Alcuni sono costretti a giocare con ossa umane, altri picchiati in bare di metallo».

Il richiamo alla Convenzione di Ginevra

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, pur non coinvolto direttamente negli scambi, ha rivelato che oltre 50.000 persone risultano scomparse tra Ucraina e Russia. Una cifra raddoppiata nell’ultimo anno, secondo il direttore dell’Agenzia centrale di ricerca Dusan Vujasanin: «La ricerca dei dispersi durerà anni, forse decenni».

E mentre il commissario per i diritti umani ucraino Dmytro Lubinets invia lettere ufficiali all’Onu e alla Croce Rossa, resta l’urgenza di tutelare i prigionieri civili e politici, inclusi giornalisti. Zelensky ha ribadito che il prossimo scambio dovrà includerli.

Un accordo che porta speranza, ma che fotografa l’orrore silenzioso che si consuma nei campi di prigionia. E che impone all’opinione pubblica internazionale di non distogliere lo sguardo.

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Media, capo Mossad e Dermer a Roma per incontrare Witkoff

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Il capo del Mossad David Barnea (nella foto) e il ministro israeliano per gli Affari strategici Ron Dermer, il più stretto collaboratore del premier Benyamin Netanyahu, saranno domani a Roma per incontrare l’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff a margine del quinto round di colloqui sul nucleare iraniano. Lo riferisce Axios spiegando che Barnea e Dermer stanno cercando di coordinare le posizioni con Witkoff e di essere informati subito dopo la conclusione dei colloqui.

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‘Falso video mostrato da Trump a Ramaphosa su genocidio bianchi’

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Il video mostrato da Donald Trump nello Studio Ovale al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa che mostrava file di croci bianche a perdita d’occhio lungo una strada di campagna era in realtà un falso. Lo rivelano i fact-checkers della Bbc secondo i quali le croci non erano “luoghi di sepoltura di oltre un migliaio di contadini bianchi”, come sostenuto dal tycoon. Il video è stato girato durante una protesta contro l’omicidio di Glen e Vida Rafferty, una coppia di contadini bianchi, uccisi a colpi d’arma da fuoco nella loro proprietà nel 2020. Il filmato è stato condiviso su YouTube il 6 settembre, il giorno dopo le proteste. “Non è un luogo di sepoltura ma un memoriale”, ha detto alla Bbc Rob Hoatson, uno degli organizzatori dell’evento. Le croci sono state poi tolte dopo la commemorazione.

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