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Pane e olio per alunni morosi, la sindaca di Montevarchi: è il regolamento

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“Non c’è alcuna novità: viene applicato, come è doveroso fare, ogni anno il regolamento. Il vecchio regolamento addirittura prevedeva l’interruzione immediata della somministrazione del pasto in caso di morosità. La sua mancata applicazione aveva portato ad ereditare un buco di bilancio di 500.000 euro a danno della collettività, generando una situazione in cui chi pagava veniva considerato poco furbo perché, tanto, il Comune non controllava. A quanto pare per il Pd è cosa normale fare un danno economico ad un ente e non far rispettare le regole. Per me no”. Lo afferma il sindaco Silvia Chiassai Martini (nella foto) di Montevarchi (Arezzo) rispetto al menù ridotto a pane e olio nelle mense scolastiche per gli alunni le cui famiglie sono morose nel pagare la tariffa del servizio mensa. Chiassai replica con una nota ai commenti del Pd regionale della Toscana e dell’assessore toscano all’Istruzione Alessandra Nardini accusando quest’ultima di “fare propaganda politica sui bambini”.

“Otto anni fa siamo intervenuti e abbiamo introdotto un sistema attraverso il quale le famiglie hanno un mese di comporto durante il quale il Comune garantisce comunque il pasto anche se il genitore è moroso – spiega Chiassai Martini – In questo periodo la famiglia riceve sollecitazioni continue da parte dell’ente tramite telefonate, e-mail e messaggi dove si invita a regolarizzare il pagamento del servizio mensa, altrimenti come da regolamento, al 31/o giorno di morosità si passa al pasto sostitutivo, deciso dalla dietista”.

Rispetto alle accuse di Nardini a Piantedosi, per la sindaca di Montevarchi “è estremamente grave tirare in ballo il ministro in una vicenda che assolutamente non lo riguarda ed associandolo al concetto di umiliazione per gli studenti” mentre invece “se c’è qualcosa di inaccettabile e grave è che dei genitori che hanno le possibilità economiche per pagare il pasto, vogliano fare i furbi gravando due volte su quei cittadini onesti e magari che, con grandi difficoltà non avendo un’Isee abbastanza basso per essere aiutati, comunque in maniera responsabile assolvono al loro dovere. Sono famiglie oneste che casomai fanno salti mortali per arrivare a fine mese ma che non mancano di pagare i servizi richiesti. Sono queste persone in una condizione di fragilità che hanno il diritto di essere ascoltate”.

“L’assessore Nardini – conclude Silvia Chiassai Martini -dovrebbe sapere bene che i genitori che hanno difficoltà economica sono pienamente e doverosamente sostenuti economicamente dai servizi sociali e che la richiesta legittima da parte dell’ente sul pagamento della mensa viene fatta a quei genitori che possono e che devono pagare e che invece cercano di fare i furbi sperando che il Comune non controlli. Quest’anno abbiamo aspettato cinque mesi da inizio dell’anno scolastico per essere elastici, ma si è giunti ad un’insolvenza di 85.000 euro, che in prospettiva avrebbe raggiunto una cifra ancora più critica”. (

“Siamo quindi intervenuti sollecitando le famiglie al pagamento e questo ha portato ad una riduzione immediata dell’insolvenza, che da 85.000 euro è scesa a 6000 euro, con 13 genitori ancora non paganti – prosegue il sindaco di Montevarchi (Arezzo), Silvia Chiassai Martini, nello stesso comunicato – Tra i morosi c’è chi ha accumulato debiti addirittura per 2 o 3.000 euro e ricordo che diamo la possibilità di rateizzare” i pagamenti.

“Resto sconcertata dal fatto che ci siano genitori incuranti di provvedere al costo dei pasti dei propri figli, nonostante le sollecitazioni effettuate dal Comune nel mese di comporto, mentre credo che nessuno resti 30 giorni senza ricaricare il proprio telefonino – aggiunge – Sono fiduciosa che i morosi provvederanno quanto prima a regolarizzare le loro posizioni nel rispetto di tutte le altre famiglie e dei loro figli, che non hanno alcuna colpa”. “Invito chi contesta la norma del regolamento vigente a proporre un’alternativa attuabile ed efficace – conclude Silvia Chiassai Martini – Devo constatare che ad oggi nessuno ha avanzato una procedura diversa e non si è andati oltre la propaganda, neanche lei assessore Nardini”, “sarei lieta di sentire che soluzione propone”.

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Strage Erba, la Cassazione: no alla revisione del processo per Romano e Bazzi

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I giudici della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso presentato da Olindo Romano e Rosa Bazzi, per la riapertura del processo sulla strage di Erba per cui i due coniugi sono stati condannati all’ergastolo. Il processo quindi non verrà riaperto e i due coniugi resteranno in carcere. Le tre fasi di giudizio, che hanno confermato l’ergastolo per Olindo Romano e Rosa Bazzi quali autori della strage di Erba hanno, secondo i giudici dell’Appello e ribadito poi dal procuratore capo di Como, che respinsero l’istanza di revisione, evidenziato “la correttezza dell’operato” del pm e dei carabinieri che “nella fase delle indagini preliminari, hanno raccolto prove materiali, documentali, dichiarative, scientifiche e logiche incontestabili” e “non certo le sole confessioni”.

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L’omicidio di Diabolik, killer condannato all’ergastolo

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Carcere a vita per il killer di Fabrizio ‘Diabolik’ Piscitelli, l’ultras della Lazio ucciso a Roma in un agguato nell’agosto del 2019. E’ quanto hanno deciso i giudici della terza Corte d’Assise dopo oltre cinque ore di camera di consiglio. Ergastolo ma non aggravante del metodo mafioso per il cittadino argentino noto come Raul Esteban Calderon ma la cui vera identità, secondo quanto emerso nel corso del processo, è quella di Gustavo Aleandro Musumeci. Un blitz di morte messo in atto in pieno giorno, nel parco degli Acquedotti. Un agguato che secondo l’impianto della Distrettuale antimafia si sarebbe consumato nel perimetro di una guerra tra gruppi criminali per la gestione delle piazze di spaccio sul territorio della Capitale.

I giudici hanno, quindi, accolto la richiesta di condanna avanzata dai pm che nel corso della requisitoria hanno ricostruito la genesi e la dinamica di quanto avvenuto nell’estate di sei anni fa. Una azione compiuta, secondo l’accusa, “con metodo mafioso e con l’agevolazione di un gruppo criminale, nato dai contrasti tra associazioni organizzate”, hanno spiegato i pm Cascini, Palazzi e Ceraso definendo l’evento come uno “spartiacque”.

Secondo l’accusa, Diabolik è stato punito perché aveva “esondato”: la sua morte è stata in sostanza un “avviso ai naviganti: una sanzione che doveva essere compresa da tutti”. Piscitelli “non era docile, si atteggiava lui stesso come un capo – ha aggiunto l’accusa -. Piscitelli era tante cose, ha avuto una vita criminale accertata, trattava anche da mammasantissima la pace tra due consorterie mafiose”. Il killer ha “mostrato grande freddezza e professionalità” colpendolo “alle spalle con un solo colpo che coglie la vittima di sorpresa”. Si tratta di un delitto “compiuto in pieno giorno, in un parco pubblico: in quel momento era presente tantissima gente, impegnata nelle attività più disparata”. Nella descrizione di quanto avvenuto, il pm Palazzi ha affermato che il video di una telecamera a circuito chiuso “offre una prova importante, formidabile. Un’immagine piuttosto completa dal momento dell’esecuzione alla fuga del killer. Un filmato che dice tante cose: un runner, atletico, alto, con una vistosa fasciatura sul polpaccio destro proprio lì dove Calderon ha un vistoso tatuaggio”.

I pm di piazzale Clodio, nel corso della requisitoria, hanno citato anche una serie di testimonianze finite agli atti della indagine della Dda. In particolare le parole della ex di Calderon, Rina Bussone che collegata da un sito protetto nel settembre 2023 ha confermato davanti ai giudici le accuse nei confronti dell’imputato. “Lui mi disse ‘ho ammazzato Diabolik’.” Ma se per l’accusa il killer è l’autore materiale di un omicidio, i mandanti sono ancora in via di identificazione in un procedimento che è ancora al vaglio degli inquirenti. Lo stesso Calderon, nel corso del processo, ha fornito la sua versione dei fatti respingendo le accuse e dichiarandosi estraneo a quanto avvenuto. In una memoria depositata nell’ottobre scorso l’imputato si è detto “addolorato” per la morte “del signor Piscitelli” aggiungendo di sperare “che verrà fuori chi ha commesso questo bruttissimo delitto e paghi con la giustizia e verso la famiglia di Piscitelli, liberandomi di questa accusa che pesa su di me come un macigno, anche per la mia famiglia che sta vivendo una bruttissima esperienza”.

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La strage del lavoro, tre morti tra fabbriche e strade

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Daniel aveva compiuto 22 anni proprio ieri ma invece di festeggiare era al lavoro, nello stabilimento Stm che stampa ingranaggi industriali a Maniago (Pordenone). Lavorava su una macchina a temperature altissime quando all’1.30 di notte una scheggia incandescente lo ha trafitto alla schiena, uccidendolo all’istante. A nulla è servito l’allarme al 112: quando il rianimatore è arrivato non c’era più niente da fare. Ma Daniel non è l’unica vittima sul lavoro in una giornata tragica. Altri due morti in Campania e in Umbria, vittime in una strage che non si ferma e che investe tutta la penisola. L’Inail ricorda che nel 2024 sono stati oltre mille i decessi, in crescita rispetto al 2023. E a gennaio di quest’anno i morti sono già 45 (+36,4% rispetto a gennaio 2024) e 14 in itinere, ovvero nel tragitto tra casa e lavoro (+16,7% rispetto a inizio 2024).

Intanto l’impianto in cui lavorava Daniel è stato posto sotto sequestro dai carabinieri che conducono le indagini. Non è ancora chiaro se il ragazzo sia morto per un malfunzionamento della macchina o per una manovra sbagliata. Il turno di questa mattina intanto è stato sospeso in segno di lutto e per consentire i rilievi. “E’ straziante e inconcepibile che un giovane perda la vita mentre svolge il suo lavoro e non smetteremo mai di impegnarci, come uomini, come politici e come governo, per garantire la sicurezza di tutti i lavoratori”, ha detto Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento. L’altra vittima aveva 38 anni, si chiamava Umberto Rosito, era originario di Bari e faceva l’operaio.

E’ morto investito da un mezzo pesante mentre lavorava sulla carreggiata nord dell’Autosole nei pressi di Orvieto dove era residente. Era dipendente di una ditta del posto impegnata in interventi di manutenzione in autostrada. Sulla dinamica sono in corso indagini della polizia stradale di Orvieto. L’uomo aveva appena iniziato a predisporre la segnaletica per un cantiere stradale quando è stato travolto da un autoarticolato che trasportava alimenti. E’ morto sul colpo. Era sposato e padre di una bambina di tre anni. Il terzo incidente sul lavoro mortale è avvenuto ieri sera, a Sant’ Antonio Abate, (Napoli), dove il dipendente di una ditta di smaltimento rifiuti di 50 anni, Nicola Sicignano, è deceduto perché, secondo una prima ricostruzione, sarebbe rimasto incastrato con il braccio e la testa nel nastro trasportatore della linea di lavoro. L’area è stata sequestrata e sono in corso le indagini della Compagnia di Castellammare di Stabia, del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata con la collaborazione del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro e dell’Asl di Napoli.

A constatare il decesso dell’operaio, nato a Vico Equense e residente a Gragnano, è stato il 118. Regolarmente assunto dalla Sb Ecology srl, Sicignano era sposato e aveva due figli. Sulla salma messa sotto sequestro dagli inquirenti sarà eseguito l’esame autoptico su disposizione dalla procura di Torre Annunziata che sta coordinando le indagini del carabinieri. Un altro incidente sul lavoro, fortunatamente non mortale, alla diga di Cumbidanovu a Orgosolo (Nuoro). Un operaio è caduto da 4 metri mentre lavorava imbragato. Soccorso dal 118 l’uomo è stato portato all’ospedale in codice rosso per un trauma al rachide e sottoposto a ulteriori accertamenti. Sulle morti ha parlato anche la segretaria del Pd, Elly Schlein che sottolinea la necessità “di agire su più fronti”. Per Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil, “queste stragi non si possono fermare con la burocrazia” e la segretaria della Uil, Ivana Veronese, chiede “un segnale da Palazzo Chigi”.

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