Non l’hanno mai vinto nè Puskas, nè Iniesta, nè Baresi, nè Ribery, nè Paolo Mladini (per non parlare di Maradona, escluso della norma del calciatore europeo e poi ricompensato dal Pallone d’oro alla carriera nel ’96). Nella storia del riconoscimento individuale più glamour del calcio, dal ’56 a stasera, l’albo degli esclusi – con annesse polemiche per le scelte del vincitore – e’ ricco di campioni solo un po’ di meno di quello della lista dei vincenti.
Ma il caso di Vinicius, predestinato all’investitura 2024 e poi battuto dallo spagnolo del City Rodri, Pallone d’Oro 2024, assume contorni eclatanti per una protesta del Real Madrid mai vista prima. Un vero e proprio boicottaggio, da parte del club che vanta il maggior numero di palloni dorati ai suoi giocatori (12, come il Barca, quattro in piu’ di Juve e Milan). Alla fine Parigi ha incoronato il centrocampista del Manchester City che due stagioni fa segno’ il gol della vittoria Champions in finale a Istanbul contro l’Inter, e soprattutto ha guidato la Spagna alla conquista di Euro 2024 con il filotto di sette vittorie su sette. Ha battuto tre del Real, mettendo in fila dietro di lui Vinicius, Carvajal e Bellingham.
“Lo merita – le parole del ct spagnolo, De La Fuente, a proposito di Rodri – e che stasera qui non ci sia il Real non e’ bene per il calcio”. C’erano pero’ tantissimi calciatori e calciatrici, e anche l’attrice Usa Natalie Portman, a rendere il red carpet di ingresso al Teatro Chatelet un vero e proprio Oscar del calcio. “Amo il calcio, soprattutto quello femminile”, le parole dell’attrice, prima di annunciare che il Pallone d’Oro al femminile era andato a Aitana Bonmati, attaccante del Barcellona e della Spagna campione del mondo 2023 che aveva gia’ vinto un anno fa.
Poi, mentre via via si svelava la top 10 (Lautaro miglior piazzamento della serie A, settimo, in una classifica priva di italiani), la proclamazione di Rodri A poche ore dalla cerimonia di Parigi, pero’, la scena se l’era presa il clamoroso annuncio: il presidente dei Galacticos, Florentino Perez, annulla il volo privato da Madrid per la Capitale francese, lasciando a terra con il talento brasiliano anche Carvajal, Bellingham, Ancelotti e una delegazione che in tutto contava 50 persone: nessuno di loro e’ salito sul palco quando il Real è stato annunciato come miglior club dell’anno.
“Non andiamo dove il Real non è rispettato, e il Pallone d’Oro non ci ha rispettato”, la spiegazione di Perez, mentre ai giornali spagnoli fonti del club andavano giù più duramente. “Per noi il Pallone d’Oro non esiste più”. Il che non vuol dire che i sette trofei conquistati nelle ultime undici edizioni da calciatori merengues spariranno d’incanto.
Se potesse, Cristiano Ronaldo farebbe sparire quello del 2021 a Messi, che provoco’ una reazione da tutti definita dialettalmente ‘rosicata’. Ad alzare i toni delle contestazioni a un premio tanto ambito e tanto soggettivo – quest’anno si e’ tornati alla formula del voto dei giornalisti, non piu’ capitani e allenatori – e’ forse il dualismo CR7-Messi degli anni passati, che ha convinto molti che tutto fosse predefinito. Resta anche da capire come abbia saputo il Real dell’esito finale, se gli organizzatori assicuravano che con il ritorno al voto di 100 giornalisti l’esito era blindato fino all’ultimo.
Nella serata parigina, premiati anche Lamine Yamal come miglior giovane, il Barcellona donne come miglior squadra, Ancelotti (assente) come miglior tecnico e Emma Hayes (campionessa olimpica con gli Usa) come migliore allenatrice. Premio Socrates per il calcio sociale a Jenny Hermoso, la giocatrice spagnola dello ‘scandaloso’ bacio di Rubiales. “Alle bambine che vogliono diventare calciatrici come noi – ha detto – dobbiamo lasciare un gioco senza violenza di genere”.
La superstar del baseball dominicano Juan Soto ha accettato di unirsi ai New York Mets con un contratto record della durata di 15 anni ed un compenso di 765 milioni di dollari. Sia ESPN che il sito web ufficiale della Major League Baseball hanno riportato la notizia. E’ il contratto più ricco nella storia dello sport professionistico nordamericano. Eclissa quello da 700 milioni di dollari in 10 anni che i Los Angeles Dodgers hanno firmato con la star giapponese Shohei Ohtani l’anno scorso. Secondo ESPN il contratto di Soto con i Mets potrebbe in realtà valere più di 800 milioni, bonus compresi. Soto, nativo di Santo Domingo, segna un momento cruciale per la franchigia del Queens, che, accarezzato nella scorsa stagione il sogno di tornare alla World Series per la prima volta dal 2015, punta adesso a costruire una squadra in grado di contendere il titolo per le prossime stagioni.
Soto, 26 anni compiuti lo scorso 25 ottobre, è un battitore di straordinarie abilità e intelligenza. Dopo aver debuttato a 19 anni e 207 giorni il 20 maggio del 2018 con i Washington Nationals, Soto ha vinto 5 Silver Slugger Award, un titolo di battuta (nel 2020), e per 4 volte ha ricevuto la convocazione per l’All-Star Game. Nel 2019 ha vinto, da protagonista, una World Series con i Washington Nationals e, tra 2021 e 2024, è finito per due volte nella top-3 MVP, della National League prima e dell’American League poi. Nella stagione appena conclusa è stato determinante nel primo titolo in 15 anni conquistato dai New York Yankees (il pennant American League), piegando i Cleveland Guardians a suon di fuoricampo (3 in cinque partite), l’ultimo dei quali determinante nella decisiva gara cinque.
A 1.696 chilometri di distanza, a Teheran, i mullah osservano con sgomento l’inaspettata avanzata dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) a Damasco. La scena dei miliziani che entrano nella residenza presidenziale di Bashar al-Assad, scattando selfie tra le sue lussuose auto sportive, è un’immagine simbolica del collasso di uno degli ultimi bastioni dell’alleanza sciita in Medio Oriente. Fonti vicine ai funzionari iraniani descrivono un’atmosfera di shock e presagio tra i leader della Repubblica Islamica.
L’Iran, che per anni ha sostenuto Assad con soldi, milizie e supporto strategico, si trova ora a fare i conti con la perdita del suo unico alleato arabo sciita. La caduta del regime di Assad rappresenta per Teheran la terza sconfitta regionale dopo il ridimensionamento di Hamas e Hezbollah da parte di Israele, un colpo pesante per l’asse della resistenza contro il nemico storico: Israele.
Il ruolo dell’Iran e il cambio di strategia
Durante il culmine della guerra civile siriana, l’Iran e la Russia hanno giocato ruoli complementari nel mantenere in vita il regime di Assad. Teheran ha inviato i suoi migliori generali, tra cui il leggendario Qassem Soleimani, e ha schierato Hezbollah per sostenere l’esercito siriano. Ma gli ultimi mesi, segnati dalla guerra a Gaza e dal crescente isolamento, hanno visto indebolirsi questo sodalizio.
Con l’avanzata dell’Hts, l’Iran ha dapprima promesso sostegno totale ad Assad, per poi cambiare tono nelle ultime ore. Il ministro degli Esteri Abbas Araqchi ha parlato di un “approccio adeguato”, segno di una possibile ritirata strategica. Secondo indiscrezioni, l’Iran avrebbe già negoziato con Hts garanzie per la protezione dei siti religiosi sciiti e un’uscita sicura delle proprie truppe dalla Siria.
Gli scenari futuri per Teheran
La caduta di Assad pone l’Iran di fronte a un bivio:
Accettare un Medio Oriente senza influenza iraniana: Un simile scenario rappresenterebbe un colpo ideologico devastante per la Repubblica Islamica, ma potrebbe facilitare i negoziati con gli Stati Uniti, specialmente su questioni legate al programma nucleare.
Adottare una linea radicale: La paura dell’Occidente è che l’Iran, spinto dai falchi del regime, possa rivedere la sua dottrina nucleare fino a sviluppare un’arma atomica, nel tentativo di recuperare peso geopolitico in un Medio Oriente sempre più frammentato.
Un Medio Oriente in trasformazione
La presa di Damasco da parte dell’Hts non è solo la caduta di un regime, ma anche il simbolo di un nuovo equilibrio geopolitico. Per l’Iran, significa un’erosione del suo ruolo storico nella regione. Per il mondo, è un segnale di instabilità in un’area già segnata da conflitti e rivalità secolari.
Un anno fa, Abu Mohammed al-Jolani si presentava al mondo come un leader trasformato, lontano dall’immagine del jihadista qaedista che inneggiava all’11 settembre. Ora, tornato nel quartiere damasceno di Mazzeh dove è cresciuto, si inginocchia e bacia la strada, ma lascia aperte molte domande: sarà un pragmatico leader locale o un ritorno al jihadismo globale?.
Il suo movimento, l’Hayat Tahrir al-Sham (Hts), si è evoluto negli ultimi anni, distanziandosi dalla retorica globale dell’Isis per concentrarsi su un’agenda locale. Tuttavia, il gruppo resta una presenza controversa, al centro di tensioni politiche e militari che attraversano la Siria.
Un puzzle di alleanze e conflitti
La Siria di oggi è una realtà frammentata, con una moltitudine di attori e interessi contrastanti:
Hts: Da erede di Al-Nusra, il gruppo ha cercato di rimodellarsi come una forza politica e militare pragmatica. Ha unito diverse fazioni ribelli, consolidando il controllo su territori strategici come Idlib e gestendo il confine turco di Bab al-Hawa, fondamentale per il passaggio degli aiuti umanitari.
Esercito Nazionale Siriano (Ens): Sostenuto dalla Turchia, l’Ens è accusato dall’ONU di crimini di guerra e continua a combattere contro Assad, i curdi siriani del Ypg e, talvolta, lo stesso Hts. Tra i suoi ranghi vi sono combattenti arabi e micro-formazioni di mercenari islamisti.
Forze Democratiche Siriane (Fds): Predominantemente curde, le Fds controllano il Nord-Est della Siria, con il supporto americano negli anni della lotta all’Isis. Hanno consolidato le loro posizioni in risposta all’avanzata di al-Jolani, temendo nuovi attacchi.
L’evoluzione dell’Hts e il ruolo di al-Jolani
L’Hts è riuscito a costruire un governo nei territori che controlla, il Governo di Salvezza Siriano, offrendo una relativa sicurezza e amministrazione. Grazie ai finanziamenti dei Paesi del Golfo e a una strategia politica abile, al-Jolani ha consolidato alleanze e preparato un’offensiva che ha portato il suo movimento al centro delle dinamiche siriane.
Secondo Joshua Landis, esperto dell’Università dell’Oklahoma, «al-Jolani si è dimostrato un politico abile, capace di rimodellare il suo gruppo e stringere nuove alleanze». Tuttavia, molti osservatori restano scettici, definendo il pragmatismo dell’Hts come una semplice maschera tattica.
Un futuro incerto
Dopo tredici anni di guerra, la Siria resta un puzzle difficile da comporre. Il Paese è diviso tra fazioni rivali e influenze esterne, con le minoranze cristiane, armene, alawite e sciite che temono per il loro futuro. La domanda centrale, però, resta: che ruolo giocherà al-Jolani nel destino della Siria? La sua figura, tra pragmatismo e passato estremista, continua a generare timori e speranze in un Paese lacerato dalla guerra.