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Padre Patriciello e la Terra dei Fuochi: sono stufo di assistere ai litigi tra De Luca e il ministro Costa mentre decine di bambini muoiono di cancro

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Don Maurizio Patriciello, entrato in seminario a 29 anni, diventato sacerdote a 34, con un passato da paramedico in ospedale, voleva solo fare il prete. In questi ultimi anni s’è ritrovato, suo malgrado, a scendere in campo in difesa della sua terra ( è parroco al Parco Verde di Caivano), martoriata e avvelenata dai rifiuti industriali interrati dalla mano criminale di camorristi e imprenditori senza scrupoli. E’ la Terra dei Fuochi. Padre Maurizio è sceso in campo per la sua gente che vedeva ammalarsi di tumore e patire indicibili sofferenze. E lo ha fatto perché quel campo era vuoto, sguarnito. E lui, assieme ai comitati, ai cittadini, alle associazioni, l’ha occupato. Uno spazio che avrebbe dovuto occupare la politica, che intanto restava a guardare. Oggi Padre Maurizio non ne può più di fare la conta dei morti, di celebrare le omelie di bambini, giovani, mamme morti tutti dello stesso male: il cancro. Il prossimo 24 maggio, a cinque anni dall’enciclica Laudato Si’, ispirata proprio dal dramma terribile della Terra dei Fuochi, Papa Francesco sarà ad Acerra. La speranza – confida a Juorno Don Patriciello – è che la venuta del pontefice possa richiamare le istituzioni alle loro responsabilità, iniziando ad affrontare l’emergenza in modo serio, dando risposte a cittadini disperati. Un compito a cui la politica non può più sottrarsi.

Don Patriciello, lei, suo malgrado, è un parroco che da anni si batte contro lo sversamento criminale dei rifiuti. In questi anni la gente è scesa in piazza, c’è stato l’impegno della Chiesa, dei comitati civici… E’ cambiato qualcosa?

Non è cambiato molto, purtroppo. La questione ambientale non è stata studiata e affrontata in modo approfondito. Il problema dei rifiuti tossici dipende soprattutto dalle tante fabbriche che operano in regime di illegalità e di evasione fiscale; contro di loro non è stato fatto niente. Quando arrivò in Regione, De Luca promise subito che nel giro di due anni avrebbe rimosso l’immondizia da Taverna del Re; ma è rimasta là. Mi sembra che il lavoro più grande lo abbiano svolto i volontari e i comitati. Anche la visita del Papa del prossimo 24 maggio è una risposta al nostro impegno; l’ispirazione per la sua enciclica Laudato Si’ gli è venuta proprio sorvolando la Terra dei Fuochi. Al nostro impegno non ha fatto seguito la volontà politica di affrontare il problema in modo serio.

Pensa che la visita del pontefice potrà contribuire scuotere dall’inerzia le nostre istituzioni? 

Sono convinto che nel giorno della visita di Papa Francesco si faranno tutti quanti avanti, succede sempre così; poi però bisogna vedere se metteranno realmente in pratica le sue direttive. Nella Laudato Si’ il Pontefice ha detto chiaramente che se noi maltrattiamo l’ambiente, rimarremo prigionieri di un ambiente malato; abbiamo il dovere di custodirlo per quelli che verranno dopo di noi. Il mio auspicio è che il Papa possa dare una sferzata. Il problema è squisitamente politico: destinare fondi per le bonifiche, aumentare il personale delle caserme, impiegare telecamere e droni; sono tutte scelte politiche. In questi ultimi tempi il governatore della Regione Campania De Luca e il ministro dell’Ambiente Costa non sono d’accordo su niente; questo non fa bene a nessuno. Dovrebbero trovare un accordo per venire incontro ai cittadini che soffrono. Lo stesso De Luca, che spesso alza la voce, dovrebbe apprezzare il lavoro di informazione svolto da medici e scienziati, penso all’apporto fornito dal professor Antonio Giordano. Vogliono solo dare il loro contributo, non certo sostituirsi alle legittime istituzioni. 

Quante terre dei fuochi ci sono in Italia? 

Ci sono altre terre inquinate in Italia, ci mancherebbe altro. Penso all’Ilva di Taranto, al caso Caffaro a Brescia. Lì però la causa è chiara a tutti, è facile scovare il colpevole; ci sono industrie che hanno dato lavoro ma al contempo sono state la fonte di problemi molto gravi. Noi invece non abbiamo neanche l’industria, la nostra era una terra a vocazione agricola; abbiamo solo i problemi per la salute, ma la causa è ben diversa; questo è un aspetto importante che spesso non viene evidenziato. Io l’ho sempre detto: sono un prete, non un ambientalista. Non sono contro nessuno, sono per la mia gente, credo nel Signore che ha detto “ama il Signore Dio tuo e ama il prossimo”. Il mio popolo sta soffrendo atroci sofferenze. Io non ne posso più di celebrare omelie come quella di Giorgino a Cesa, morto di tumore a soli tre anni, con i genitori straziati davanti alla bara bianca, dopo aver perso il loro unico bambino. Oggi c’è stato il funerale di Miriam, 14 anni. E’ morto un giovane sacerdote di Scampia. Sono morte due mamme a Giugliano, altre due a Marcianise; è così quasi ogni giorno, un bollettino di guerra. Non ce la faccio più.

In un incontro il pentito di camorra Carmine Schiavone le disse che quando interrò rifiuti tossici non aveva chiara la percezione della gravità di quell’atto. Cosa pensò in quel momento? 

Sì, Schiavone disse che saremmo morti tutti; oggi mi sembra quasi una profezia che si sta avverando. Mi raccontò in modo chiaro e dettagliato tutto quello che avevano combinato. D’altronde per comprendere cosa è successo basterebbe leggere il libro di Vassallo “Così vi ho avvelenato”; basterebbe seguire un poco i processi, quello all’avvocato Chianese, oppure il processo ai fratelli Pellini di Acerra. Pensate a tutti i siti di stoccaggio che sono bruciati in questi anni, non può essere un caso. Ci sono tante cose che non tornano. A Schiavone ho sempre creduto, perché i camorristi sono sanguinari, non hanno pietà di nessuno e non amano nessuno, nemmeno i loro figli, ma non sono chimici né industriali. Erano gli industriali quelli che sapevano bene cosa stavano interrando, non certo Schiavone. I camorristi però erano furbi, scaltri; sapevano che per essere pagati così tanto c’era qualcosa che non andava in quei rifiuti.

Cosa ha fatto la politica di concreto per risolvere l’emergenza rifiuti, dopo che nel 2007 le nostre strade inondate dalla spazzatura finirono sui giornali di tutto il mondo? 

Quella era la spazzatura urbana; in quel contesto vi fu l’incapacità della politica di gestire la situazione. Il problema della Terra dei Fuochi purtroppo non è legato alla spazzatura urbana, ma a quella industriale. Quando Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, venne a Napoli nel novembre del 2018, propose altri cinque inceneritori. In Campania ogni giorno si producono non meno di seimila  tonnellate di rifiuti speciali industriali e tossici illegali perché prodotti in regime di evasione fiscale, che quindi non potranno mai bruciare in nessun inceneritore. Se avesse continuato a fare il ministro, ci avrebbe appioppato altri cinque inceneritori che non avrebbero risolto il problema. Il tema è molto complesso e va affrontato nella sua complessità.

Sergio Costa. Ministro dell’Ambiente

Da due anni è ministro dell’ambiente Sergio Costa, lei lo conosce ed è persona schietta: in concreto che cosa ha fatto il ministro Costa per invertire il racconto della Terra dei Fuochi? Ha fatto abbastanza o si poteva fare di più? 

Il ministro ha uno sguardo globale su tutta l’Italia. Ci sono questioni regionali che avrebbe voluto affrontare, ma che sono di competenza squisitamente regionale. In ambito regionale s’è fatto di tutto per dire che la Terra dei Fuochi non esiste, che i prodotti della terra sono buoni, e così via. Credo che in questi ultimi anni si sia un po’ giocato sulla Terra dei Fuochi. Nessuno ha mai detto che i pomodori o altri prodotti non siano buoni, anzi; abbiamo solo chiesto che fosse fatta una mappatura dei terreni per poter affermare con certezza quali sono quelli contaminati e automaticamente quali sono quelli buoni per la coltivazione. Sulle discariche non si coltiva.

Antonio Giordano

Padre, ha da fare un appello al governo in carica?

Dal mio punto di osservazione, mi è sembrato di vedere che tra il ministro Costa e l’ex ministro Salvini non ci fosse proprio nessuna intesa. Adesso le cose mi sembrano cambiate, col Conte II e con Costa e Lamorgese si può fare qualcosa in più. Faccio un appello al ministro Costa: ministro, sei stato generale della forestale prima e dei carabinieri poi, hai il sostegno dei comitati che hanno apprezzato quello che hai fatto in passato per questa terra; adesso cerchiamo di muoverci tutti quanti insieme; sono convinto che questa battaglia la vinceremo solo stando tutti insieme, politica, Chiesa, comitati. Altrimenti dovremo rassegnarci a fare la conta dei morti.

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Nuova Carta della Sismicità in Italia, 72mila eventi in 25 anni

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Racconta i terremoti avvenuti in Italia negli ultimi 25 anni la nuova Carta della Sismicità pubblicata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: la mappa mostra che, dal 1° gennaio 1999 al 31 agosto 2024, ci sono stati 72mila terremoti con magnitudo pari o superiore a 2.0, e questi rappresentano solo una piccola parte di tutti gli eventi registrati dalle stazioni della Rete Sismica Nazionale Integrata. Il maggior numero di terremoti si concentrano in particolare nel 2009, nel 2012 e nel biennio 2016-17: soprattutto il 2016 risulta l’anno con attività più intensa, con quasi 12mila eventi di magnitudo maggiore o uguale a 2.0 e oltre 70mila eventi in totale, tenendo conto anche di quelli più piccoli. I terremoti più forti, di magnitudo uguale o maggiore di 5.0, sono stati 72 in tutto, e 3 hanno raggiunto o superato magnitudo 6.0: la sequenza del 2009 in Abruzzo (6.1), quello dell’agosto 2016 ad Amatrice (6.0) e quello dell’ottobre 2016 a Norcia (6.5). Quest’ultimo è l’evento più forte registrato dalla Rete Sismica Nazionale Integrata dalla sua nascita.

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Campi Flegrei, terremoti più probabili col sollevamento del suolo

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La probabilità dei terremoti nei Campi Flegrei aumenta con il sollevamento del suolo: lo indica l’analisi di 20 anni di dati relativi alla deformazione e alla sismicità registrati nella caldera condotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) tra il 2000 e il 2023 e pubblicata sulla rivista Communications Earth & Environment.

La ricerca, osserva l’Ingv, “ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile”. I dati provengono dall’analisi dei segnali geofisici registrati ai Campi Flegrei dalle reti di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv, sulla base dei quali la situazione è descritta “in un modo il più possibile obiettivo e neutro attraverso un’analisi matematica rigorosa dei dati”, osserva il coordinatore della ricerca Augusto Neri. “Attraverso questa analisi – prosegue – è possibile rappresentare, seppur in termini sintetici e approssimati, il comportamento del vulcano ed evidenziare i suoi cambiamenti nel tempo col fine ultimo di migliorare la comprensione del suo funzionamento”.

Lo studio indica che “su scala decennale il sollevamento del suolo segue un andamento parabolico con un’accelerazione media di circa 0,7-0,8 centimetri l’anno con riferimento alla stazione Gnss del Rione Terra di Pozzuoli, al centro della caldera”, rileva il primo autore dello studio, Andrea Bevilacqua. “L’andamento temporale del tasso di terremoti è invece sovra-esponenziale, ovvero più rapido di un andamento esponenziale”. Non si tratta comunque di andamenti costanti nel tempo, ma “soggetti a oscillazioni di varia frequenza” i cui periodi variano da un minimo di 2-5 mesi a 1,5-3 anni.

La relazione tra deformazione del suolo e numero di terremoti registrati è diversa, quindi, da quella lineare osservata nella crisi bradisismica del 1982-1984 e diventata più forte a partire dal 2020 circa, ovvero con l’avvicinarsi del sollevamento della caldera alla quota massima raggiunta durante la crisi del 1982-1984. “La relazione spiega come mai il sollevamento della caldera registrato negli ultimi anni è stato accompagnato da una più intensa attività sismica rispetto agli anni precedenti”, osserva Neri. Un comportamento, aggiunge, che “può essere interpretato come un progressivo deterioramento delle proprietà meccaniche della crosta più superficiale dei Campi Flegrei”.

Anche dopo la pubblicazione, che si ferma ai dati del 2023, lo studio è stato aggiornato e i dati relativi a fine ottobre 2024 “confermano che gli andamenti e le relazioni individuate nel periodo 2000-2023 sono tuttora valide”, osserva Flora Giudicepietro, coautrice dello studio. “Questo significa – prosegue – che al crescere della velocità di sollevamento aumenta anche la probabilità di terremoti nei Campi Flegrei nei mesi successivi”. Un’altra implicazione è che,” qualora tali andamenti continuassero con le stesse caratteristiche nel futuro, un ulteriore sollevamento della caldera potrebbe essere associato a tassi di attività sismica superiori a quelli registrati nel 2023, come già avvenuto nel maggio 2024. Questo scenario – conclude la ricercatrice – rappresenta una possibile evoluzione futura qualora la crisi bradisismica attualmente in corso dovesse perdurare. D’altra parte, è anche possibile che il processo di sollevamento del suolo flegreo si attenui nel tempo, e questo comporterebbe anche una riduzione dell’attività sismica”.

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Piantedosi, key box per alloggi turisti è un modello da superare

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“Io credo che sia un modello da superare”: lo ha detto il ministro dell’interno Matteo Piantedosi al termine di una riunione nella sede della Prefettura di Venezia a proposito della normativa che impone il riconoscimento di persona dei turisti che giungono in città e non le key box. “E’ da superare – ha aggiunto – perchè è molto critico anche in termini di rispetto della normativa che impone una effettività del riconoscimento della persona che poi accede al servizio alberghiero”. Il ministro ha ricordato che “ci sono episodi che testimoniano che viene utilizzato per eludere la completa applicazione della norma”. “Per cui siamo partiti con questa direttiva, intendiamo poi rafforzare anche i controlli – ha concluso – e progressivamente far in modo che sia affermato un controllo ordinario e meno elusivo”.

C – “A noi interessa l’effettività dell’accesso” ha chiarito Piantedosi, “non assecondando meccanismi che di fatto possono creare un’elusione della norma che prevede che chi accede a strutture alberghiere debba essere compiutamente identificato”. E’ stato posto al ministro il caso specifico dei b&b che, dopo una identificazione iniziale del cliente, non essendoci una portineria, di fatto nei giorni successivi non avviene nessuna altra identificazione. “Questo bisogna vedere – ha risposto il ministro – perchè teoricamente anche in un albergo potrebbe esserci che poi vi entri qualcuno di diverso, vorrà dire che chi deve esercitare questa attività dovrà fare in modo che ci sia una effettività del controllo”. Per quanto riguarda le key box “non è tanto un problema di rimozione fisica ma che quel sistema non può funzionare così”. E’ stato citato dai giornalisti il caso di questi giorni di un proprietario di Padova che aveva affittato l’alloggio per una locazione breve e adesso, finito il contratto, non riesce più a rientrare in possesso della casa perchè vi si sono insediati dei presunti turisti. “Questo non dipende dalla key box – ha chiarito – è una forma di occupazione abusiva. Vedremo il caso specifico”.

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