Rischiano di finire in mezzo ad una strada, in piena emergenza sanitaria ed economica, con condizioni economiche e di salute estremamente precarie. Sulle teste di C.D.C. e V.A, coniugi residenti a Torre del Greco, pende un ordine di demolizione: la loro abitazione è abusiva. La Procura di Napoli ha disposto l’abbattimento esecutivo per la decade immediatamente successiva a Pasqua. A difendere la coppia c’è l’avvocato Mariella Stanziano del Foro di Nola, che ha di recente ereditato la causa da un collega, dopo due sentenze definitive, del tribunale di primo grado e della corte d’Appello.
“Ho chiesto al Tribunale la sospensione/revoca dell’ordine di demolizione – chiarisce la dottoressa Stanziano – in virtù della sentenza n.423 del 14 dicembre 2020 emessa dalla III sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, che recepisce la giurisprudenza della Corte EDU in tema di principio di proporzionalità fra l’esecuzione di un ordine di demolizione e il rispetto della vita privata, familiare e del domicilio di una persona”. La sentenza in questione chiarisce, cioè, che l’ordine di demolizione non può provocare una ingerenza sproporzionata nella vita delle persone coinvolte. Una proporzionalità che va misurata sulla base di alcuni fattori: stato di salute, condizioni socio-economiche, età dei soggetti residenti, grado di consapevolezza della violazione della legge.
Partiamo dalle condizioni di salute di C.D.C. e V.A. “I miei clienti sono due persone seriamente malate – spiega l’avvocato -; una soffre di ipertensione arteriosa ed è malata di cancro in fase avanzata, l’altro è affetto da una grave forma di diabete, condizioni che abbiamo puntualmente documentato con apposita certificazione medica e ospedaliera”. Non meno problematico è il quadro dal punto di vista economico. “I miei assistiti possono contare su una solo fonte di reddito, lo stipendio del marito che è prevalentemente destinato alle cure mediche di entrambi. La casa in questione, peraltro modesta, è l’unica residenza di cui può disporre il nucleo familiare”. Quanto al grado di consapevolezza della violazione della legge, i coniugi non risultano in realtà coinvolti nelle vicende processuali, ma ereditano il provvedimento di matrice penale/amministrativa dal padre di C.D.C, nonché genero di V.A., deceduto pochi mesi fa.
Nonostante questi elementi, la Procura – la sola che potrebbe sospendere o revocare il suo stesso ordine di demolizione – sembra intenzionata a procedere con lo sgombero e l’abbattimento. “Proprio non comprendo perché in un periodo di pandemia, in cui sono sospesi tutti gli sfratti esecutivi e le esecuzioni immobiliari di natura amministrativa e civile, non avvenga la stessa cosa per sfratti ed esecuzioni di natura penale”, lamenta Stanziano. La legale confida però in un’istanza che la Regione Campania ha presentato al Presidente del Consiglio Mario Draghi per sospendere gli abbattimenti quanto meno fino al 31 dicembre 2021. “Ad oggi il governo non ha preso alcun provvedimento, ma quella potrebbe essere l’unica strada per porre rimedio a questa dolorosa vicenda. Dobbiamo farci sentire per sensibilizzare il governo sul tema”.
Al danno, per i coniugi di Torre del Greco, si aggiunge la beffa. Convinti di poter aderire al condono edilizio del 2003, versarono, fra enormi sacrifici e privazioni, circa 25mila euro. “Gli oneri di concessione ed urbanizzazione ce li faremo restituire, ma quelli di oblazione, intorno ai 15mila euro, non torneranno indietro. La casa è in una zona vincolata, per cui il condono Berlusconi non poteva essere applicato. Il Comune però ha incassato i soldi, pur essendo consapevole dell’impossibilità di applicare il condono. Oggi però si dichiara non competente a bloccare l’abbattimento. I miei clienti – conclude Stanziano – non hanno altre dimore, non so proprio dove potrebbero finire, in questo periodo poi, sarebbe davvero una catastrofe”.
Otto anni di reclusione. Li ha chiesti la Procura di Roma nei confronti dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, imputato assieme alla compagna Elisabetta Tulliani, per l’opaca operazione di compravendita, che risale al 2008, di un appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale. I pm Barbara Sargenti e Maria Teresa Gerace hanno sollecitato una pena a 9 anni per la compagna dell’ex segretario di An, e a 10 anni per il fratello Giancarlo Tulliani. Chiesti 5 anni per il padre Sergio.
Nel processo si contesta il solo reato di riciclaggio dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici della quarta sezione collegiale avevano dichiarata prescritta l’accusa di associazione a delinquere, fattispecie contestata ad altri imputati ma non a Fini. La decisione dei giudici è legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. In aula, durante la requisitoria, era presente l’ex presidente della Camera. “Era scontato che la pubblica accusa chiedesse la condanna – ha commentato – continuo ad avere fiducia nella giustizia e ciò in ragione della mia completa estraneità rispetto a quanto addebitatomi”.
Poco prima dell’intervento della Procura ha chiesto di rilasciare una breve dichiarazione Elisabetta Tulliani. Parole con le quali ha sostanzialmente ‘scaricato’ il fratello. “Ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna -. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità”.
L’Avvocatura dello Stato ha chiesto, dal canto suo, l’assoluzione per Fini. Inizialmente il procedimento vedeva coinvolte anche altre persone, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta. Per loro la decisione dei giudici del 29 febbraio ha fatto scattare la prescrizione delle accuse. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere mettevano in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.
Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani.
Quest’ultimi, in base a quanto accertato dagli inquirenti, avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco. ”Questa vicenda – affermò Fini nell’udienza del marzo del 2023 – è stata la più dolorosa per me: sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta. Solo anni dopo ho scoperto che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui. Anche il comportamento di Elisabetta mi ha ferito: ho scoperto solo dagli atti del processo che lei era comproprietaria dell’appartamento e poi appresi anche che il fratello le bonificò una parte di quanto ricavato dalla vendita. Tutti fatti che prima non conoscevo”. La sentenza è attesa per il prossimo 18 aprile.
Si è avvalso della facoltà di non rispondere il sostituto procuratore antimafia Antonio Laudati nell’interrogatorio in procura a Perugia nell’ambito dell’indagine sui presunti accessi abusivi alle banche dati del suo ufficio compiuti dal tenente della guardia di finanza Pasquale Striano. Fascicolo nel quale è indagato lo stesso Laudati. Lo ha riferito il difensore del magistrato uscendo dal palazzo di giustizia.
(Nella foto in evidenza il procuratore Raffaele Cantone)
Dieci agenti di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Foggia sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari con le accuse di tortura, abuso d’ufficio, abuso di autorità contro arrestati o detenuti, omissione di atti d’ufficio, danneggiamento, concussione, falsità ideologica commessa da un pubblico ufficiale in atti pubblici, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri. L’ordinanza è stata emessa dal gip del tribunale di Foggia su richiesta della procura che ha coordinato le indagini dei carabinieri.
Gli indagati sono ritenuti responsabili di aver partecipato a vario titolo ad un violento pestaggio, compiuto l’11 agosto 2023 nel carcere di Foggia, nei confronti di due detenuti. Nel corso delle indagini sarebbe stata accertata la predisposizione e la sottoscrizione di atti falsi finalizzati a nascondere le violenze compiute e a impedire che venissero emesse le diagnosi delle lesioni riportate dai detenuti. Sarebbero state inoltre accertate anche minacce e promesse di ritorsioni attraverso le quali due indagati avrebbero costretto le vittime a sottoscrivere falsi verbali di dichiarazioni in cui fornivano una versione dei fatti smentita dagli esiti delle indagini.