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Open Arms sotto sequestro a Porto Empedocle, ed è scontro Viminale-Difesa su contrasto a immigrazione

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Open Arms non è più a Lampedusa, partita all’alba per Porto Empedocle dove rimarrà sotto sequestro per qualche giorno come disposto dalla Procura di Agrigento, ma le polemiche non si placano. Tra Viminale e Difesa parte un duro botta e risposta sul nuovo piano di pattugliamento entrato in vigore ieri, considerato troppo morbido dal ministero dell’Interno, mentre il governo spagnolo valuta eventuali sanzioni nei confronti dell’organizzazione non governativa, che non avrebbe l’autorizzazione a compiere missioni Sar. Salvini accusa la Trenta di avere “indebolito la lotta all’immigrazione clandestina”, che diventa un fenomeno non più da “contrastare” ma da “contenere”, modificando “unilateralmente i compiti” di chi pattuglia in mare.

“Sono le prime prove tecniche di inciucio Pd-5Stelle sulla pelle degli italiani?”, si chiede Salvini. Il nuovo piano operativo, sottolinea il Viminale, “depotenzia pesantemente alcune forme di collaborazione tra gli assetti militari e gli apparati dello Stato, in primis l’Interno, finalizzate al contrasto e alla repressione dei trafficanti”. Parole pesanti alle quali replica direttamente via XX settembre, prima con lo Stato Maggiore della Difesa – che ha rassicurato su compiti e struttura dell’operazione Mare Sicuro, che “non cambiano” – e poi con la stessa Trenta che ha definito “inqualificabile il tentativo di screditare non solo me ma l’intera Difesa” da parte del vicepremier.

“Ho rispedito sempre ogni attacco al mittente e lo faccio oggi con ancor piu’ convinzione”, la replica stizzita della Trenta che invita Salvini a “rispettare il ruolo delle istituzioni e a non appropriarsene”. Intanto, con la crisi di governo in atto e Open Arms ormai lontana, rimane da gestire il trasferimento dei profughi che si trovano nell’hotspot di Lampedusa, 130 circa.

La Spagna si è detta pronta a trasbordare i profughi che Madrid ha accettato di accogliere, annunciando poi sanzioni nei confronti dell’ong che – come ha detto la vicepremier Carmen Calvo – “non ha il permesso di realizzare salvataggi, il capitano della nave lo sa”.

Il Viminale ha espresso “soddisfazione” per la decisione del governo Sanchez rinnovando la richiesta alla Spagna di farsi carico degli immigrati sbarcati dalla Open Arms. Leggendo il decreto di sequestro della nave, disposto dal capo della Procura di Agrigento, Luigi Patronaggio, emerge che e’ stato fatto per “ragioni di urgenza” che non consentivano “di attendere un provvedimento di sequestro emesso dal giudice” e questo perche’ le persone a bordo si trovavano “in condizioni psicologiche assai critiche come risulta dall’ispezione eseguita a bordo della nave con i consulenti nominati, con pericolo per l’incolumita’ dei migranti, dell’equipaggio e delle forze di polizia che vigilano sulla sicurezza in mare”. Per il pm il perdurare dello stato avrebbe aggravato “gli effetti pregiudizievoli sulla salute psichica e fisica delle persone a bordo, comportando rischi per l’incolumita’ degli stessi”.

Per i consulenti della Procura, saliti a bordo, “le funzioni psichiche” dei profughi erano “fortemente sollecitate da condizioni emozionali estreme in un clima di altissima espressione dove la percezione di ‘morte’ rispetto all’eventuale rimpatrio e la speranza di ‘vita’, anche affrontando a nuoto lo specchio di mare” che li separava dall’isola di Lampedusa, non lasciava “piu’ possibilita’ di valutazione del rischio individuale e collettivo, ne’, da parte di terzi, la possibilita’ di arginare o contenere una ulteriore estensione di situazioni psicopatologiche di ‘dissociazione nevrotica e/o psicotica’”. Ma se il caso Open Arms sembra ormai archiviato, resta da sciogliere ancora il nodo legato all’altra nave ferma tra Lampedusa e Malta, la Ocean Viking di Msf e Sos Mediterranee.

A bordo ci sono 356 profughi, in attesa di un porto sicuro. “Le persone stanno perdendo la cognizione del tempo – spiega il medico di bordo, Luca Pigozzi -, e’ difficile per loro capire cosa sta accadendo”. L’equipaggio oggi ha tracciato nel mare un cuore con la rotta dell’imbarcazione, lanciando un appello alla solidarieta’.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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